Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26272 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26272 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2235/2024 proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore e COGNOME, in proprio, entrambi rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura speciale in atti (PEC: EMAIL
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
-resistente – per la cassazione della sentenza della Corte di giustizia di secondo grado della Calabria n. 3800/04/22 depositata in data 06/12/2022;
Oggetto: motivazione apparente della sentenza
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 10/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-la società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE quest’ultimo in proprio, impugnavano l’avviso di accertamento n. TD9020100847/2016 per l’anno 2012 del 15.12.2016 notificato in data 28/12/2016 che ingiungeva alla società ricorrente di pagare € 4.250,00 a titolo di IRAP, oltre interessi di € 539,58, € 11.095,00 a titolo di IVA, oltre interessi di € 1.505,42, € 14.978,25 a titolo di sanzione pecuniaria; tale avviso di accertamento era parzialmente annullato con comunicazione del provvedimento di autotutela parziale che rideterminava gli anzidetti importi;
-la CTP rigettava il ricorso; appellavano i contribuenti;
-con la sentenza impugnata di fronte a questa Corte la CGT di secondo grado ha ritenuto inammissibile il ricorso per carenza di interesse , in quanto dopo la notifica dell’avviso di accertamento la società aveva provveduto a rettificare il suo reddito, ciò che determina acquiescenza.
-ricorrono RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Domenico con atto affidato a tre motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.;
-l’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione in vista della pubblica udienza e successivamente ha depositato memoria;
Considerato che:
-va in primo luogo dichiarata inammissibile la memoria depositata dall’Amministrazione Finanziaria in data 29 marzo 2024; invero, essa Amministrazione non ha depositato nei termini proprio controricorso -non potendo qualificarsi in tal
senso il mero atto di costituzione depositato in data 12 marzo 2024 -e pertanto ha perduto la facoltà di depositare memorie;
-nel giudizio di cassazione è infatti irricevibile la memoria difensiva presentata in prossimità dell’udienza con la quale la parte che non ha depositato il controricorso spiega, per la prima volta, le ragioni di resistenza al ricorso, perché, in assenza di controricorso, la parte intimata non può presentare memorie (v. Cass., 15/11/2017, n. 27140 citata in motivazione da Cass. n. 5798/2019);
-venendo ora all’esame del ricorso, osserva la Corte che il primo motivo di doglianza censura la pronuncia impugnata denunciandone la nullità per violazione degli artt. 36 e 61 d. Lgs. n. 546 del 1992 e 132 comma 1 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., 111 comma 6 e 24 Cost., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.; secondo i ricorrenti l’impugnata sentenza non contiene alcuno dei suddetti elementi e la motivazione, non riporta le pretese impositive, non valuta i motivi di appello sopra trascritti e non contiene il riferimento a nessuna norma giuridica, con una seguente dicitura generica e pretestuosa tale da costituire motivazione apparente;
-in particolare, dalla sentenza -sempre secondo i ricorrenti – si rileva non esservi alcuna connessione tra le dichiarazioni integrative e l’acquiescenza ad un atto impositivo; anzi le rettifiche apportate mediante le dichiarazioni integrative dimostravano che i ricorrenti non hanno mai accettato l’atto impositivo che non teneva conto degli errori dichiarativi;
-inoltre, la sentenza impugnata contiene un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili tra il punto in cui ha accertato che il reddito della Società per l’anno d’imposta 2012 ammonta ad
una perdita di € – (meno) 14.186,00 per come confermato dalla consulenza tecnica d’Ufficio ed il punto in cui contraddittoriamente afferma la mancanza di interesse ad impugnare una pretesa tributaria fondata su un reddito positivo (di € 326.975,33);
-il motivo in argomento può esaminarsi congiuntamente con il terzo motivo di ricorso, che si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ovverosia dell’art. 15 del d. Lgs. n. 218 del 1997, nonché dell’art. 2, comma 8 d.P.R. 322 del 1998, come modificato dall’art. 5 del d.L. 22/10/2016 n. 193 conv. dalla L. 1/12/2016 n. 225, e dell’art. 8, comma 6 bis d.P.R. 322 del 1998, come modificato dagli artt. 4, comma 4 e 5, comma 1 decretolegge 22 ottobre 2016 n. 193, e dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; secondo i ricorrenti l’impugnata sentenza ha omesso di valutare i motivi di appello sulla base di una presunta, ma inesistente, acquiescenza della società ricorrente all’atto impositivo;
-i motivi, connessi tra di loro, risultano fondati;
-questa Corte ha reiteratamente affermato che sussiste una motivazione apparente, come tale suscettiva di integrare il vizio di nullità della sentenza in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. quando l’apparato argomentativo, pur graficamente esistente (come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale), non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, così precludendo ogni effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (cfr., tra le tante, Cass. n. 11473/2022, che richiama
Cass. nn. 16057/2018, 9097/2017, Sez. U 22232/2016, Sez. U 16599/2016, Sez. U 8053/2014 ed ancora Cass. nn. 4891/2000, 1756/2006, 24985/2006, 11880/2007, 161/2009, 871/2009, 20112/2009, nonché Cass. n. 9105/2017; 20921/2019 ed ancora Cass. n. 13248/2020, oltre Cass. nn. 8534/2022 e 8524/2022);
-orbene, proprio questo è ciò che si verifica nel caso di specie;
-dopo aver premesso una sintetica descrizione dei rilievi posti dall’Ufficio alla base dell’accertamento analitico induttivo concretamente operati, la CGT di secondo grado riassume le argomentazioni e conclusioni della CTU disposta dal giudice di merito che fa riferimento al contenuto delle dichiarazioni integrative presentate dalla società contribuente successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento;
-qui si palesa un primo profilo di incomprensibilità della motivazione, consistente nell’affermazione della sentenza di appello secondo la quale – dopo aver preso in esame le risultanze della CTU ‘…il reddito lordo è pari a euro -14.186,00’; orbene, non è dato comprendere come si possa rigettare il ricorso dei contribuenti ove si sia accertata la presenza di un reddito negativo, circostanza del tutto incompatibile con la sussistenza di un maggior reddito, elemento questo essenziale ove l’Ufficio manifesti la pretesa di maggiori tributi per imposta sul reddito e iva;
-non solo; ciò posto, la pronuncia impugnata espone ex abrupto che ‘ ad avviso del collegio, infatti, la circostanza non contestata che, dopo la notifica dell’avviso di accertamento, la società abbia rettificato il proprio reddito imponibile, determina
acquiescenza e rende inammissibile il ricorso per carenza di interesse ‘;
-tale affermazione costituisce il secondo profilo di ulteriore incomprensibilità della motivazione;
-scrivendo come sopra, la CGT di secondo grado rende manifesto come la ratio decidendi della sentenza si radichi sull’esser venuto meno l’interesse ad agire (scrive la pronuncia ‘…stante la natura formale della decisione…’ quando nel prosieguo viene a trattare delle spese processuali) poiché la società -pare di comprendere – ha in sostanza accettato i rilievi posti a base dell’atto impugnato, presentando la dichiarazione integrativa come avrebbe riconosciuto la CTU; lo si evince anche alla successiva espressione del giudice di appello che definisce la propria decisione ‘di natura formale’ in sede di liquidazione delle spese di lite;
-tale complessiva statuizione configura effettivamente, così come espressa, motivazione apparente, in quanto non comprensibile, nel senso sopra esposto;
-oltre che non consentire di comprendere le ragioni di conferma della legittimità dell’atto impugnato (a fronte di una CTU, condivisa, che determina un reddito negativo) non è dato di comprendere, neppure, come la sentenza di merito abbia collegato la ritenuta acquiescenza del contribuente (disciplinata dall’art. 15 del d. Lgs. n. 217 del 1998) con l’effetto della dichiarazione integrativa presentata (di cui all’art. 2 c. 8 del d.P.R. n. 322 del 1998): dichiarazione della quale non si conosce peraltro neppure l’esser stata la stessa o meno seguita dal versamento del dovuto;
-va ricordato che secondo l’art. 15 del d. Lgs. n. 217 del 1998 ‘le sanzioni irrogate per le violazioni indicate nell’articolo 2, comma 5, del presente decreto, negli articoli 71 e 72 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e negli articoli 50 e 51 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 ottobre 1990, n. 346, sono ridotte a un terzo se il contribuente rinuncia ad impugnare l’avviso di accertamento o di liquidazione e a formulare istanza di accertamento con adesione, provvedendo a pagare, entro il termine per la proposizione del ricorso, le somme complessivamente dovute, tenuto conto della predetta riduzione. In ogni caso la misura delle sanzioni non può essere inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo’;
-nel presente caso, non è dato comprendere dalla pronuncia gravata, tra l’altro, se e quando il contribuente abbia rinunciato a impugnare l’avviso di accertamento (anzi, dalla pendenza del giudizio deve concludersi, all’opposto, che questi abbia invece impugnato, il che escluderebbe in radice l’applicazione dell’istituto di cui al ridetto art. 15 d. Lgs. n. 217 del 1998); neppure si evince se e quando -oltre che quanto -questi abbia pagato le somme dovute come è necessario nel caso di acquiescenza;
-l’invocata acquiescenza, quindi, pare evocata dal giudice dell’appello del tutto a sproposito, senza minimamente esser la stessa collocata in motivazione nella situazione fattuale e processuale; ma non solo;
-va altresì considerato che l’art. 2 c. 8 del d.P.R. n. 322 del 1998, nella versione in vigore ratione temporis , che regola la modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive e all’imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell’art. 3, comma 136, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (nel nostro caso la c.d. dichiarazione integrative), stabilisce con chiarezza al comma 8 che ‘salva l’applicazione delle sanzioni e ferma restando l’applicazione dell’art. 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti d’imposta possono essere integrate per correggere errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore reddito o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito, mediante successiva dichiarazione da presentare, secondo le disposizioni di cui all’articolo 3, utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione, non oltre i termini stabiliti dall’art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni’;
-la disposizione prevede in sintesi, per quanto qui è d’interesse, la possibilità per il contribuente con tale strumento di ‘correggere errori od omissioni’; tale strumento quindi riguarda situazioni in cui il contribuente -resosene conto -emendi tali errori od omissioni spontaneamente, indipendentemente cioè dall’esercizio dell’azione di controllo da parte dell’Ufficio; errori od omissioni che sono cosa ben diversa dai rilievi per cui è
processo, che costituiscono invece -come si evince dalla trascrizione in ricorso anche della sentenza di primo grado che li ha puntualmente esaminati in modo analitico -violazioni sostanziali alla disciplina tributaria, sia pure nella prospettiva dell’Ufficio;
-ciò in quanto nel sistema dei tributi va sempre garantita l’emendabilità, in generale, di qualsiasi errore, di fatto o di diritto, contenuto in una dichiarazione resa dal contribuente all’Amministrazione tributaria, anche se non direttamente rilevabile dalla stessa dichiarazione per l’impossibilità di assoggettare il dichiarante ad oneri diversi e più gravosi di quelli che, per legge, devono restare a suo carico, in conformità con i principi costituzionali della capacità contributiva (art. 53 Cost.), e della oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.);
-nondimeno, come questa Corte ha chiarito, in tema di imposte sui redditi, ma con affermazioni di carattere generale trasponibili anche nell’ambito delle imposte indirette, consolidato è l’insegnamento (sin da Cass. Sez. 5, n. 5398 del 04/04/2012) secondo il quale costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa, di cui all’art. 2, comma 8, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, la notifica della contestazione di una violazione commessa nella redazione di precedente dichiarazione in quanto, se fosse possibile porre rimedio alle irregolarità anche dopo la contestazione delle stesse, la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni previste dal legislatore (Cass. n. 11488/2024); nel presente caso è pacifico che la dichiarazione integrativa sia stata presentata il 5 luglio 2017,
dopo la notifica dell’avviso di accertamento perfezionata il 28 dicembre 2016;
-ebbene anche tale profilo -necessariamente qui da prendersi in esame da parte della CGT di secondo grado per la decisione della presente controversia -non è minimamente accennato in sentenza, neppure per implicito;
-da tali considerazioni deriva che resta del tutto oscuro – alla lettura della motivazione della pronuncia impugnata -comprendere sia la situazione di fatto, specialmente con riguardo alle risultanze della CTU alla quale il giudice dichiara di aderire (che paiono andare di opposto avviso rispetto alla determinazione dei maggior reddito, evidenziando essa CTU invece un reddito negativo) sia la situazione processuale, sia soprattutto la rilevanza e l’effetto (nonché l’adempimento, con il versamento dei relativi maggiori tributi, interessi e sanzioni che ne conseguono, che resta circostanza del tutto ignota) della dichiarazione integrativa sul rapporto tributario oggetto dell’accertamento;
-l’assenza di tali elementi rende, in conclusione, del tutto impossibile la ricostruzione dell’iter logico giuridico seguito dal giudice di merito per addivenire a decisione; ne deriva l’apparenza motivazionale denunciata in ricorso;
-in conclusione, in accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso, la sentenza va cassata con rinvio al giudice del merito;
-il secondo motivo, con cui si deduce « nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c. e dell’art. 61 D.Lgs. n. 546/1992 (cosiddetta sentenza “della terza via” o “a sorpresa”) », è assorbito in quanto irrilevante ai fini del decidere;
p.q.m.
accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione personale, alla quale demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME