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Motivazione apparente: quando una sentenza è nulla

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21095/2024, ha rigettato il ricorso di una contribuente contro una decisione della Commissione Tributaria Regionale. Il caso verteva su avvisi di accertamento ICI per immobili che la ricorrente riteneva pertinenze dell’abitazione principale. La Corte ha colto l’occasione per chiarire la differenza tra una motivazione apparente, che rende nulla la sentenza, e un semplice disaccordo con la valutazione delle prove operata dal giudice di merito. La Cassazione ha stabilito che la motivazione, seppur sintetica, non era apparente, in quanto permetteva di comprendere l’iter logico-giuridico seguito dai giudici, respingendo così il ricorso.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione Apparente: La Cassazione Chiarisce Quando una Sentenza è Valida

Il concetto di motivazione apparente è un baluardo fondamentale del nostro ordinamento giuridico, posto a garanzia del diritto di ogni cittadino a comprendere le ragioni di una decisione giudiziaria. Ma cosa succede quando una parte processuale ritiene la motivazione insufficiente o errata? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 21095 del 29 luglio 2024, offre un’importante lezione sulla distinzione tra un vizio di nullità e un semplice disaccordo con la valutazione del giudice. Analizziamo il caso per capire meglio.

I Fatti del Caso: Una Disputa Fiscale sulle Pertinenze

La vicenda nasce da una controversia tributaria tra una contribuente e un Comune riguardo ad alcuni avvisi di accertamento per l’ICI relativa agli anni 2009, 2010 e 2011. La contribuente sosteneva che determinati immobili fossero pertinenze della sua abitazione principale e, come tali, non soggetti a imposizione autonoma.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR), in sede di rinvio, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado. Pur annullando in parte gli atti per un’erronea stima dei beni, aveva escluso la natura pertinenziale degli stessi, confermandone l’assoggettamento a imposta. Insoddisfatta, la contribuente aveva proposto un ricorso per revocazione, che la stessa CTR aveva dichiarato inammissibile. Contro quest’ultima decisione, la contribuente ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi, tra cui la violazione di legge e la presenza di una motivazione meramente apparente.

L’analisi della Corte: Distinguere tra Vizio e Merito

La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso, rigettandoli tutti. Il cuore della decisione si concentra sulla censura relativa alla motivazione apparente, sollevata nel secondo e quarto motivo. La ricorrente lamentava che i giudici di merito avessero adottato una motivazione superficiale sia sulla natura pertinenziale dei terreni, sia sulla non decisività dell’errore revocatorio dedotto.

La Suprema Corte ha affrontato questi motivi congiuntamente, richiamando i principi consolidati espressi dalle Sezioni Unite. Ha ribadito che una motivazione è nulla per error in procedendo solo quando, pur esistendo graficamente, non rende percepibile il fondamento della decisione. Questo accade se le argomentazioni sono oggettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito dal giudice, lasciando all’interprete il compito di integrare la decisione con mere congetture.

La non configurabilità della motivazione apparente nel caso specifico

Nel caso in esame, la Cassazione ha stabilito che non si poteva parlare di motivazione apparente. La CTR aveva infatti motivato la sua decisione, valutando l’insussistenza dei presupposti per la revocazione. Secondo i giudici regionali, l’errore sull’individuazione dei beni era in parte insussistente e in parte non determinante, poiché i giudici del rinvio avevano basato la loro decisione su una serie di altri elementi probatori per escludere la natura pertinenziale dei beni.

In sintesi, la decisione della CTR, sebbene contestata dalla ricorrente, era basata su una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie. Era, dunque, una decisione motivata in modo esaustivo e tutt’altro che apparente. Il disaccordo della ricorrente non riguardava un’anomalia del processo decisionale, ma la sostanza della valutazione probatoria, un aspetto che non può essere censurato in sede di legittimità sotto il profilo della motivazione apparente.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso per diverse ragioni chiave. In primo luogo, ha chiarito che il vizio di motivazione apparente si configura solo in casi estremi: mancanza assoluta di motivi, contrasto insanabile tra affermazioni o motivazione perplessa e oggettivamente incomprensibile. Non ricorre, invece, quando la motivazione è semplicemente insufficiente o quando la parte non condivide la valutazione del giudice.

In secondo luogo, la Corte ha ritenuto infondato anche il terzo motivo, con cui la ricorrente lamentava il contrasto con una precedente sentenza della Cassazione. I giudici hanno specificato che la CTR aveva compiuto una valutazione probatoria autonoma, e che la questione della violazione di un principio di diritto non può essere fatta valere in sede di revocazione.

Infine, per quanto riguarda il primo motivo, la Corte lo ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse, poiché censurava un’argomentazione svolta dalla CTR ad abundantiam, ovvero non essenziale per la decisione finale e quindi priva di effetti giuridici.

Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: per denunciare con successo una motivazione apparente, non è sufficiente essere in disaccordo con il risultato di una sentenza. È necessario dimostrare che il percorso logico del giudice è indecifrabile o inesistente. Questa decisione consolida la distinzione tra il controllo di legittimità, proprio della Cassazione, e il giudizio di merito, riservato ai gradi precedenti. Per le parti in causa, ciò significa che le critiche alla valutazione delle prove devono essere articolate e provate nei primi gradi di giudizio, poiché in Cassazione lo spazio per rimettere in discussione i fatti è estremamente limitato, se non per vizi procedurali gravi come, appunto, una vera e propria motivazione mancante o meramente apparente.

Quando una motivazione è considerata ‘apparente’ dalla Corte di Cassazione?
Una motivazione è considerata apparente quando, pur essendo graficamente presente, reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice, risultando incomprensibile o lasciando all’interprete il compito di integrarla con congetture. Si tratta di casi di mancanza assoluta di motivi, contrasto irriducibile tra affermazioni o motivazione perplessa.

Un disaccordo con la valutazione delle prove da parte del giudice costituisce una motivazione apparente?
No. La Corte chiarisce che una motivazione non è apparente se il giudice ha valutato le risultanze istruttorie e ha spiegato, anche sinteticamente, le ragioni della sua decisione. Il semplice disaccordo della parte soccombente con l’esito di tale valutazione non configura il vizio di motivazione apparente, ma attiene al merito della controversia.

È possibile impugnare un’argomentazione ‘ad abundantiam’ contenuta in una sentenza?
No. Un’argomentazione svolta ‘ad abundantiam’ (cioè in aggiunta, per completezza, ma non essenziale alla decisione) non costituisce la ‘ratio decidendi’ della sentenza. Essendo improduttiva di effetti giuridici, la sua impugnazione è considerata inammissibile per carenza di interesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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