Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18054 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18054 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 12485/2020, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE soc.
coop. , in persona del legale rapp.te pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura a margine del controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l’Avv. NOME COGNOME in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 7062/2019 della Commissione tributaria regionale della Sicilia, depositata il 3 dicembre 2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 giugno 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Il 25 ottobre 2011 Banca di Credito Cooperativo Valle del Torto RAGIONE_SOCIALE (d’innanzi ‘BCC’) rivolse all’amministrazione finanziaria un’istanza di rimborso di importi (denominata ‘sollecito di liquidazione’), corrispondenti a crediti d’imposta della quale si assumeva titolare, come risultanti da dichiarazioni da lei presentate in diversi anni d’imposta compresi fra il 1984 e il 1995.
A tale istanza l’Amministrazione diede parziale riscontro con diniego espresso riferito ad alcuni crediti; tale atto, insieme al silenziodiniego sul residuo importo, fu impugnato dalla contribuente con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Palermo, che ne riconobbe le ragioni, eccezion fatta che per tre specifiche istanze, già oggetto di separato giudizio.
Il successivo appello erariale fu respinto con la sentenza in epigrafe.
I giudici regionali, premesso il rilievo in base al quale il diritto della contribuente al rimborso era supportato da prova documentale, ritennero che fosse infondata l’eccezione di prescrizione formulata dall’Amministrazione, sia per la sussistenza di «nu merosi e ripetuti» atti interruttivi, sia, in ogni caso, perché, in relazione alle richieste di rimborso di tributi risultanti dalle dichiarazioni presentate fino al 30 giugno 1997 e non soddisfatte dall’Ufficio, non poteva esser fatta valere alcuna prescr izione in forza del disposto di cui all’art. 2, comma 58, della l. n. 350 del 2003.
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’Amministrazione con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La società contribuente ha depositato controricorso, illustrato da successiva memoria.
Considerato che:
Il primo motivo di ricorso è rubricato «violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 2967 c.c. nonché difetto assoluto di motivazione in violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, applicabile ex art. 61 dello stesso atto normativ o, nonché dell’art. 111, comma 6, Cost., ex art. 360 n. 4 c.p.c.»
La sentenza impugnata è criticata nella parte in cui ha ritenuto fondata la domanda di rimborso sul mero assunto dell’avvenuta produzione, da parte della BCC, «di una copiosa documentazione inerente le vicende legate ai crediti vantati per i vari anni».
Di tale statuizione è dedotta l’erroneità, per mancato rispetto della regola di carico dell’onere probatorio al contribuente in caso di rimborso, nonché, in ogni caso, la mancanza di adeguato supporto argomentativo, risultando la stessa fondata su motivazione meramente apparente.
Con il secondo motivo, denunziando nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, la ricorrente lamenta che la C.T.R. avrebbe omesso di pronunziarsi sul suo motivo di appello con il quale aveva dedotto l’infondatezza, per intervenuta decadenza, della domanda di rimborso relativa alle annualità 1994 e 1995.
Con il terzo motivo, formulato in via subordinata al precedente, l’Amministrazione lamenta che, ove si volesse ritenere che in punto alle indicate annualità la C.T.R. avesse deciso mediante il rigetto generale
dell’eccezione di prescrizione, la statuizione sarebbe errata perché sul punto essa aveva sollevato eccezione di decadenza.
Infine, con il quarto motivo, la sentenza d’appello è censurata nella parte relativa al rigetto delle eccezioni di prescrizione.
Per un verso, infatti, la decisione sarebbe supportata da motivazione «largamente insufficiente», laddove evidenziava la sussistenza di atti interruttivi dei quali non specificava né il contenuto, né la data.
Per altro verso, poi, e per la parte inerente all’applicazione dell’art. 2, comma 58, della l. n. 350 del 2003, la sentenza sarebbe errata, avendo attribuito valore modificativo dei termini di prescrizione ad una disposizione adottata dal legislatore al solo fine «di invitare l’Amministrazione a non far valere» la relativa eccezione.
Il primo motivo è fondato in relazione alla denunziata violazione dell’art. 360, comma primo, num. 4), cod. proc. civ .
I giudici d’appello, infatti, pur facendo corretta applicazione delle regole di riparto della prova in tema di rimborso, non hanno adeguatamente motivato la scelta di ritenere assolto l’onere che grava, sul punto, in capo al contribuente.
5.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che il difetto di motivazione della sentenza ricorre allorquando il giudice -in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111, comma sesto, Cost.) e fissato dall’art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ. e dall’omologa previsione contenuta nell’art. 36, comma 2, n. 4), del d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario -omette di esporre (anche concisamente) i motivi in fatto e diritto della decisione.
Ciò si verifica quando non sono illustrate le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ovvero non vengono chiarite le prove sulle quali il giudice ha fondato il proprio convincimento e le argomentazioni sulla cui base è pervenuto alla
propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata , e senza che a tal fine l’interprete debba integrare la decisione con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 30178/2023; Cass. n. 5335/2018; Cass. n. 2876/2017).
È poi noto, in tal senso, che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» ovvero una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053/2014), ma anche quelle sorrette da una motivazione che, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, è tuttavia tale da non consentire la verifica di cui si è detto poc ‘anzi.
5.2. S i è in presenza, dunque, di una ‘motivazione apparente’ quando la stessa, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, così da non attingere la richiamata soglia del ‘minimo costituzionale’.
In tale caso, la mera apparenza della motivazione è causa di nullità della sentenza, in quanto ne comporta il venir meno della finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016).
5.3. La fattispecie descritta appare sussistere nel caso in esame.
Davanti ai giudici regionali, infatti, l’Ufficio aveva dedotto, con articolata argomentazione, un difetto di allegazione e prova circa i
presupposti del rimborso, che riguardava un ampio novero di tributi asseritamente versati (o di crediti d’imposta non ottenuti) ; ciò si evince dallo stralcio dell’atto di appello riportato alle pag. 8 e 9 del ricorso.
Ed invero, a fronte di tale deduzione, certamente munita del carattere di specificità -in particolare laddove era riferita, con specifiche considerazioni, partitamente ad ogni anno d’imposta interessato dall’istanza di rimborso, con indicazione di insuffi cienza della documentazione in atti -la C.T.R. si è limitata a rilevare quanto segue: « sin da subito parte appellata ha fornito una copiosa documentazione inerente le vicende legate ai crediti vantati per vari anni, senza che potesse vedersi riconosciuto il diritto al rimborso ».
Sul punto, pertanto, la sentenza d’appello non contiene alcuna disamina delle eccezioni sollevate dall’Ufficio, e non esplicita, nemmeno sinteticamente, le ragioni per le quali ha ritenuto giustificata l’istanza di rimborso e condivisibile l’assunto della società contribuente in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti.
Anche il secondo motivo è fondato.
Il ricorso riporta, alle pagine 10 e 11, un estratto dell’appello erariale con il quale veniva eccepita l’intervenuta decadenza della società dal diritto ad ottenere il rimborso richiesto in relazione alle annualità 1994 e 1995, sul rilievo del fatto che, secondo la disciplina all’epoca vigente per il relativo periodo, non era sufficiente la mera indicazione del credito d’imposta a Mod. 770.
La deduzione è riportata anche nella sentenza d’appello (pag. 3), nella parte in fatto che ricostruisce lo svolgimento del processo.
La sentenza impugnata, tuttavia, ha completamente omesso di provvedere sul punto.
Resta in tale statuizione assorbito l’esame del terzo motivo, formulato in via di subordine.
È invece infondato il quarto motivo.
La tesi della ricorrente confligge con quanto recentemente statuito da questa Corte a Sezioni Unite (sentenza n. 12284/2024), compendiato dal seguente principio di diritto: «L’art. 2 co. 58 legge 350/2003 pone a carico dell’Amministrazione Finanziaria un vero e proprio obbligo di non far valere la prescrizione del diritto del contribuente al rimborso delle eccedenze Irpef ed Irpeg sulle dichiarazioni presentate fino al 30 giugno 1997; questo obbligo, la cui violazione è rilevabile anche d’ufficio dal giudice, viene a cessare dopo un decennio, pari al decorso di un nuovo termine prescrizionale, dall’entrata in vigore (1 ° gennaio 2004) della legge stessa».
A tale principio si è conformata la decisione della C.T.R. che, pertanto, sul punto è esente dal vizio prospettato.
In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente ai primi due motivi, assorbito il terzo e con rigetto del quarto.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio al giudice a quo , affinché provveda al riesame della vicenda conformemente ai principii indicati, liquidando altresì le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione ai primi due motivi, assorbito il terzo e respinto il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema