Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31657 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31657 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20138/2016 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente
-controricorrente incidentale-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
-ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. GENOVA n. 271/2016 depositata il 18/02/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe della Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Liguria che, a seguito di appello erariale contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Genova, aveva parzialmente confermato l’avviso di accertamento emesso nei confronti del contribuente, titolare di un commercio al dettaglio di prodotti di profumeria, recante la determinazione di maggiori redditi ai fini IRPEF , IVA e IRAP per l’anno 2007 sulla base degli studi di settore.
La CTR riteneva che l’accertamento non fosse fondato soltanto sugli studi di settore ma anche su « una serie di incongruenze » che rendevano « presuntivamente sottodimensionata la dichiarazione » del contribuente: infatti, dal 2006 al 2010, il COGNOME aveva dichiarato costantemente un valore della produzione esiguo rispetto al volume d’affari nonché un reddito di impresa minimo, nonostante la presenza di tre addetti e la presenta di quattro locali, cosicché l’attività doveva considerarsi antieconomica.
La CTR, inoltre, riteneva di dover aumentare, rispetto a quanto dichiarato dal contribuente (10%), la percentuale del venduto agli operatori professionali e di dover diminuire la percentuale di ricarico sul venduto ai privati (da 1,82 calcolato dall’Ufficio a 1,50), accertava così maggiori ricavi pari ad euro 79.348,00 e un maggior reddito di euro 94.882,00, contro euro 237.467,00 accertato dall’Ufficio.
Il ricorso si fonda su sei motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate che propone ricorso incidentale fondato su due motivi a cui replica con controricorso il contribuente che deposita anche memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronunzia, in quanto la CTR non aveva preso in considerazione il motivo d’appello con cui si era contestato l’avviso impugnato che non aveva valutato le osservazioni del contribuente nel corso del procedimento.
1.1. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 7 della l. n. 212/2000 e dell’art. 3 della l. n. 241/1990, perché la CTR avrebbe dovuto annullare l’avviso impugnato che non aveva preso in considerazione le osservazioni svolte dal contribuente durante la fase istruttoria.
1.2. Con il terzo motivo si deduce , in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronunzia sul motivo d’appello che reiterava la questione, già proposta in primo grado, relativa all’assenza dei presupposti dell’accertamento induttivo ex art. 39 comma 2 d.P.R. n. 600/1973, difettando in particolare la sostanziale inattendibilità delle risultanze contabili.
1.3. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.c., violazione dell’art. 7 della l. n. 212/2000, dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 56 del d.P.R. n. 633/1972, degli artt. 18, 19 e 24 del d.lgs. n. 546/1992, perché la CTR aveva ricostruito il maggior reddito modificando gli elementi addotti dall’Agenzia nella motivazione dell’avviso di accertamento.
1.4. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., nullità della sentenza per assenza o apparenza della motivazione, in violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992, sulla rettifica in aumento della percentuale del venduto agli operatori professionali con arbitraria quantificazione di tale quota in euro 100.000,00.
1.5. Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti, osservandosi quanto segue: la CTR ha accertato che dal 2006 al 2010 il contribuente aveva costantemente dichiarato un valore della produzione netta esiguo rispetto al volume d’affari e un reddito minimo, quando l’Ufficio non aveva contestato tale raffronto; ha affermato la disponibilità di « 4 locali » mentre invece i locali posseduti dalla impresa erano due; ha fatto riferimento a tre addetti, tutti partecipanti all’impresa familiare, trascurando di considerare che il COGNOME all’epoca era già pensionato e percepiva euro 22.066,00.
Con il ricorso incidentale l’Agenzia deduce, con il primo motivo, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e 2727 – 2729 c.c. e 115 c.p.c., avendo la CTR modificato la percentuale del venduto agli utilizzatori professionali, indicata dal contribuente nella misura del 10%, in assenza di prova che giustificasse tale rettifica.
2.1. Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per inosservanza dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992, avendo la CTR fornito una motivazione meramente apparente sulle ragioni della modifica della percentuale del venduto gli operatori professionali, della quantificazione di quest’importo in euro 100.000,00 e della riduzione del ricarico del venduto ai privati ad 1,50.
I primi due motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente e vanno disattesi. Non ricorre omessa pronunzia ma rigetto implicito della questione quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. n. 2151 del 2021; Cass. n. 24953 del 2020); la CTR ha valutato il merito dell’accertamento
intervenendo sul quantum della pretesa, implicitamente ritenendo legittima l’iniziativa impositiva e quindi infondata la questione del vizio di motivazione dell’atto impugnato. Non si ravvisa neppure violazione di legge, atteso che è valido l’avviso di accertamento che non menziona le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, in quanto la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali è espressamente prevista dalla legge oppure da cui deriva una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, comunque l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo (Cass. n. 12343 del 2024; Cass. n. 8378 del 2017).
4. Il terzo motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi . Il Giudice del merito, che non è vincolato alle indicazioni normative contenute nell’atto poiché rilevano soltanto i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche ivi esposte (Cass. n. 9899 del 2017), ha riconosciuto nell’avviso impugnato non un accertamento induttivo ‘puro’, di cui all’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, che richiede necessariamente la presenza di irregolarità delle scritture contabili, gravi, numerose e ripetute, tali da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica (Cass. n. 28476 del 2024), ma un accertamento analitico – induttivo: infatti, all’iniziale innesco dello scostamento rispetto ai dati dello studio di settore si sono aggiunte « una serie di incongruenze », derivanti dal confronto tra i risultati dichiarati dell’attività e le caratteristiche dell’impresa, a cui la CTR ha riconosciuto pregnante valore indiziario concludendo che « l’attività svolta in tali condizioni risulta evidentemente antieconomica» . La CTR si è mossa nel solco dell’orientamento di questa Corte secondo cui « l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi
incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili ‘dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta’ sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente » (Cass. n. 16430 del 2011; Cass. n. 33340 del 2019). 5. Anche il quarto motivo è infondato, perché la CTR non ha deciso ultra petita o extra petita ma ha modificato singoli dati all’interno dei valori indicati dall’Ufficio giungendo alla determinazione di un reddito d’impresa (euro 98.882,00) sensibilmente inferiore a quanto accertato (euro 237.467,00). La decisione del giudice che rettifichi il reddito così come determinato nell’atto di accertamento impugnato, a fronte della richiesta del contribuente di annullamento dell’atto impositivo per motivi non formali, ma sostanziali, non è affetta da vizio di ultrapetizione qualora il giudice si ponga all’interno del perimetro tracciato dall’atto dì accertamento (cfr. Cass. n.22400 del 2014).
Il quinto motivo è inammissibile per carenza di interesse. Il ricorrente si duole della mancanza o apparente motivazione sulle ragioni che hanno indotto la CTR ad aumentare la quota del venduto agli operatori professionali; peraltro, dato che la percentuale di ricarico su tale quota è inferiore a quella applicata sul venduto ai consumatori (« 1,27 per i primi e 1,50 per i secondi »), quella decisione non è pregiudizievole per il contribuente.
Il sesto motivo è inammissibile. Non si indicano fatti decisivi il cui esame sarebbe stato omesso ma si censura la valutazione di elementi istruttori, allegandosi divergenze rispetto alle risultanze di causa. Come noto, la censura ex n. 5 dell’art. 360 c.p.c. deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico –
naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e ha carattere decisivo (Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017), senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti – come in questo caso -un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio ( ex multis , v. Cass. n. 10525 del 2022; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 5795 del 2017).
Il secondo motivo del ricorso incidentale dell’Ufficio è fondato, il primo resta assorbito.
8.1. Va premesso che n on essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione,
perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
8.2. Nello specifico la CTR ha ritenuto che «l’individuazione nella misura del 10% del venduto agli utilizzatori professionali» apparisse «ridotta e che, pur provenendo la relativa dichiarazione del contribuente», alla stessa non si potesse attribuire « valore in ogni caso confessorio , tenendo conto del fatto che le dichiarazioni della parte sovente non conseguono a precise statistiche interne, ma a valutazioni di massima, qualora ne conseguano effetti incompatibili con i dati della residua documentazione fornita dall’imprenditore, non contestata dall’Ufficio, quali la evoca (sic) del credito ed il rientro dai fidi». «Su tal basi » la CTR ha ritenuto di quantificare «in euro 100.000,00 il venduto agli utilizzatori professionali e nei residui euro 351.509,00 quello per i consumatori privati», utilizzando poi «l’indice 1,27 per i primi e 1,50 per i secondi».
8.3. Pur ammessa la libera valutabilità delle dichiarazioni rese dal contribuente, la spiegazione del perché il Giudice ha ritenuto di doversi discostare da quanto dichiarato dal contribuente resta incomprensibile, non risultando un evidente nesso logico tra revoca del credito e rientro dai fidi, da un lato, e indicazione della percentuale del venduto agli operatori professionali, dall’altro; né
può soddisfare il riferimento alle « valutazioni di massima » e alla mancanza di « precise statistiche interne » che restano mere congetture; inoltre, non viene in alcun modo giustificata la quantificazione di quella quota del venduto proprio in euro 100.000,00, così come nessuna spiegazione viene offerta sulle ragioni per cui è stata ridotta la percentuale di ricarico sul venduto ai privati. Deve concludersi per la mera apparenza della motivazione su questi punti, data l’assenza di elementi idonei a far comprendere il percorso logico – giuridico seguito.
Conclusivamente, accolto il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il primo e rigettato il ricorso principale, la sentenza deve essere cassata con rinvio al giudice del merito.
p.q.m.
accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il primo e rigettato il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 26/09/2024.