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Motivazione apparente: no se il ritardo è abnorme

La Cassazione ha respinto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, stabilendo che il riferimento a un ritardo abnorme di 45 anni nel pagamento di un’indennità non costituisce una motivazione apparente. La Corte ha ritenuto che tale riferimento fosse sufficiente a individuare la responsabilità dell’ente pubblico e a giustificare la decisione, rispettando il “minimo costituzionale” richiesto per la motivazione di una sentenza.

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Pubblicato il 2 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione Apparente: quando il ritardo della PA giustifica la decisione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto processuale: la motivazione apparente di una sentenza. Il caso esaminato offre uno spunto fondamentale per capire quando il ragionamento di un giudice, seppur sintetico, possa essere considerato sufficiente e quando, invece, si trasformi in un vizio che invalida la pronuncia. La vicenda, nata da una richiesta di rimborso per una ritenuta su un’indennità di esproprio pagata con 45 anni di ritardo, ha visto l’Amministrazione finanziaria soccombere proprio sulla contestazione di questo presunto difetto.

Fatti di Causa

La controversia trae origine dalla richiesta di alcuni contribuenti di ottenere il rimborso di una ritenuta d’acconto applicata su un’indennità di esproprio. La particolarità del caso risiede nel lasso di tempo eccezionalmente lungo tra l’avvio della procedura ablatoria, risalente al 1967, e l’effettiva erogazione delle somme, avvenuta ben 45 anni dopo.

Il percorso giudiziario è stato complesso:
1. La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) accoglieva il ricorso dei contribuenti.
2. La Commissione Tributaria Regionale (CTR) riformava la decisione, dando ragione all’ente impositore.
3. I contribuenti si rivolgevano alla Corte di Cassazione, che cassava la sentenza della CTR e rinviava la causa a un altro giudice per una nuova valutazione.
4. Nel giudizio di rinvio, il giudice confermava la sentenza di primo grado, favorevole ai contribuenti.

Contro quest’ultima decisione, l’Amministrazione finanziaria ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione, lamentando un unico motivo: la violazione di legge per motivazione apparente. Secondo l’ente, la sentenza si sarebbe basata su una petizione di principio, facendo riferimento al ‘ritardo abnorme’ senza analizzarlo compiutamente.

La Decisione della Corte

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il motivo di ricorso manifestamente infondato, rigettando le pretese dell’Amministrazione finanziaria.

I giudici di legittimità hanno chiarito che il vizio di motivazione, alla luce dell’orientamento consolidato delle Sezioni Unite, è configurabile solo in casi estremi, quali:
* Mancanza assoluta di motivi.
* Motivazione apparente, ovvero un ragionamento che non permette di ricostruire l’iter logico seguito.
* Contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
* Motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile.

Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che il riferimento del giudice di rinvio al ‘ritardo abnorme’ con cui l’Amministrazione ha gestito la procedura non costituisce affatto una motivazione apparente.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra una motivazione insufficiente e una motivazione apparente. La Corte Suprema ha sottolineato che, dopo la riforma del 2012, il sindacato di legittimità è limitato a verificare che la motivazione esista e rispetti il cosiddetto ‘minimo costituzionale’. Non è più possibile censurare una sentenza solo perché la sua motivazione non è ‘sufficiente’.

Secondo gli Ermellini, il riferimento al ritardo pluridecennale dell’ente pubblico è un’argomentazione chiara, inequivoca e sufficiente. Questo elemento, infatti, rappresenta la causa diretta del danno subito dalla parte privata e permette di imputare le conseguenze dannose all’Amministrazione procedente. Tale ragionamento, per quanto sintetico, è una ‘inequivoca argomentazione’ che spiega le ragioni della decisione e rispetta pienamente il canone del ‘minimo costituzionale’.

Inoltre, la Corte ha rigettato la richiesta di integrazione del contraddittorio e ha deciso di non condannare l’Amministrazione al pagamento delle spese legali, poiché la parte resistente si era limitata a un tardivo ‘mero atto di resistenza’ senza depositare un controricorso tempestivo.

Le Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: una motivazione non deve essere prolissa per essere valida. Se il giudice individua un fatto centrale e decisivo – in questo caso, un ritardo di 45 anni – e lo pone a fondamento della propria decisione, la motivazione non può essere definita ‘apparente’. Per i cittadini e le imprese, ciò significa che l’inerzia e i ritardi abnormi della Pubblica Amministrazione sono elementi fattuali così potenti da poter fondare, da soli, una motivazione di condanna, senza che il giudice debba perdersi in analisi più complesse. Per la Pubblica Amministrazione, è un monito a rispettare i termini procedurali, poiché i ritardi ingiustificati possono diventare la ragione stessa della sua soccombenza in giudizio.

Quando una motivazione di una sentenza è considerata “apparente”?
Secondo la Corte, una motivazione è apparente quando si esaurisce in una “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, in un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o in una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”. Non è apparente se, pur sintetica, permette di comprendere il ragionamento del giudice.

Il riferimento a un “ritardo abnorme” della Pubblica Amministrazione è una motivazione sufficiente per una sentenza?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il riferimento a un ritardo abnorme e pluridecennale costituisce una motivazione chiara e sufficiente per imputare le responsabilità all’ente pubblico e giustificare la decisione, rispettando il “minimo costituzionale” richiesto.

La parte che si difende in Cassazione senza depositare un controricorso tempestivo ha diritto al rimborso delle spese legali in caso di vittoria?
No. La Corte ha chiarito che, se la parte si limita a un mero atto di resistenza depositato tardivamente, senza un controricorso tempestivo, non può ottenere la condanna della parte soccombente al rimborso delle spese di difesa, poiché la sua attività processuale è stata limitata e non pienamente formale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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