Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 6 Num. 14112 Anno 2019
Civile Ord. Sez. 6 Num. 14112 Anno 2019
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 23/05/2019
ORDINANZA
sul ricorso 72-2018 proposto da:
NOME COGNOME tutti in qualità di eredi del Sig. NOMECOGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3995/9/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata il 05/05/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza in data 5 maggio 2017 la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, avverso la decisione di primo grado che aveva parzialmente accolto, limitatamente al recupero a tassazione di una sopravvenienza attiva pari ad C 154.300,00 non dichiarata, il ricorso proposto da NOME COGNOME contro l’avviso di accertamento con il quale, in relazione all’anno di imposta 2009, veniva rettificato il reddito d’impresa del contribuente sulla base di componenti positivi non dichiarati. Osservava la CTR che la posta di C 154.300,00, riportata nelle passività del bilancio 2009, non poteva essere considerata, in assenza di qualsivoglia supporto documentale, un apporto del titolare dell’impresa individuale negli anni 2002, 2003 e 2004; in particolare, l’impresa, in contabilità ordinaria, avrebbe dovuto dimostrare che per poter accedere alla I. n. 488/1992 doveva avere a disposizione – come previsto dalla legge – un ammontare minimo di capitale proprio da immettere nell’impresa, reperito con prestiti personali.
Avverso la suddetta sentenza, con atto del 6/11 dicembre 2017, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità di eredi di NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.
Considerato che:
Con l’unico motivo i ricorrenti deducono «violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. per insufficiente o apparente motivazione su un fatto decisivo della controversia sulla base di una valutazione del motivo di appello non suffragato da idonea documentazione in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c.». Sostengono, in particolare, che la documentazione prodotta dal contribuente in sede di accertamento con adesione era idonea a dimostrare l’effettività dell’apporto finanziario all’impresa.
Il ricorso è infondato.
Le censure mosse dai ricorrenti nei confronti della sentenza impugnata, invero, si pongono in contrasto con i principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite (sent. n. 8053/2014), secondo cui «La riformulazione dell’art. 360, 1 ma, n. 5, 0 com c.p.c., disposta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in I. 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa
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qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione»; «L’art. 360, 1omma, n. 5, c.p.c., riformulato 0 c dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in I. 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli art. 366, 1 n. 0 comma, 6, e 369, 2 comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il 0 «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie».
Va, anzitutto, rilevato che la sentenza impugnata offre un apparato argomentativo che rende palesi le ragioni poste a base della decisione, in relazione al ritenuto insufficiente supporto probatorio della tesi prospettata dal contribuente volta a negare la ricorrenza di una sopravvenienza attiva non dichiarata, ponendosi certamente al di sopra del «minimo costituzionale» e dovendosi pertanto escludere, nella specie, una ipotesi di motivazione apparente.
Il motivo di doglianza, inoltre, è carente in ordine al profilo inerente la decisività del fatto di cui si lamenta l’omesso
Ric. 2018 n. 00072 sez. MT – ud. 15-01-2019 -4-
esame, avendo i ricorrenti prospettato che la valutazione della documentazione prodotta dal contribuente in sede di accertamento con adesione avrebbe dimostrato l’infondatezza della pretesa tributaria, senza tuttavia indicare – neppure sommariamente – nel corpo del ricorso il contenuto di tali documenti e, conseguentemente, omettendo di specificare le ragioni per le quali i documenti in parola, se presi in considerazione dal giudice, avrebbe determinato una decisione diversa.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in C 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 15 gennaio 2019.
Il Presidente