Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15510 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15510 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
Oggetto: II.DD- – IVA – avviso di accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22723/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOME NOME (PEC: ), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato NOME in ROMA, INDIRIZZO (PEC: );
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale Campania, sez. staccata di Salerno, n. 1751/9/2022, depositata il 15.2.2022 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 13 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, n. 1751/9/2022, depositata il 15.2.2022 veniva rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Avellino n. 442/3/2020.
Il giudice di prime cure e poi quello di appello avevano disatteso le difese della società e confermato l’avviso di accertamento con il quale venivano recuperate per il periodo di imposta 2014 le maggiori imposte dirette e l’Iva a seguito della incongruenza delle rimanenze iniziali anno 2014 con le rimanenze finali anno 2013, pari ad una differenza di euro 78.400, e al disconoscimento di costi non documentati per euro 151.819,00 ai fini delle II.DD. e IVA, nonché, ai fini IVA, operazioni attive non dichiarate pari ad euro 49.584.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente deducendo quattro motivi, cui replica l’Agenzia con controricorso.
Considerato che:
Preliminarmente va dato atto del l’eccezione sollevata dalla controricorrente di inammissibilità del ricorso in quanto la ricorrente con l’atto si duole in sede di legittimità di come il giudice abbia complessivamente valutato le prove, eccezione scrutinabile unitamente alle singole doglianze.
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione da parte della sentenza degli artt.36 e 61 d.lgs n. 546/1992, 132 cod. proc. civ. e 111, comma 6, Cost..
Il motivo non può essere accolto.
3.1. La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016). La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
3.2. La ricorrente lamenta la riproduzione da parte del giudice d’appello della motivazione e delle conclusioni della sentenza di primo grado, ma la decisione impugnata è adeguatamente specifica dal momento che nel corpo dell’argomentazione richiama i motivi di appello (es. «si rimarca, rispetto al primo motivo di gravame» e ancora «nel gravame si legge», cfr. p.3 sentenza, e, poi, « l’appellante si duole altresì dell’omessa valutazione da parte dell’Ufficio della documentazione esibita successivamente alla notif ica dell’avviso di accertamento», v. p.4 sentenza).
Perciò, la sentenza non è completamente priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle, né si è limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, ben potendo il giudice d’appello aderire motivatamente alle argomentazioni espresse dal giudice di prime cure. La sentenza perciò rispetta il minimo costituzionale.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 109 TUIR e 19 del d.P.R. n. 633/1972.
Il motivo è inammissibile. Sulla questione dell’indeducibilità dei costi oggetto della censura la CTR ha così motivato: «si rimarca, rispetto al primo motivo di gravame, che l’accertamento si fonda sulla incongruenza, rilevata mediante lo spesometro, tra l’importo delle operazioni passive comunicate, di 156.108,00 euro, e quello ricostruito, di euro 4.289,00. Al riguardo si sottolinea che l’Ufficio ha proceduto alla puntuale individuazione dei costi disconosciuti attesa l’omessa produzione di documentazione idonea a giustificare l’asserita deducibilità. A ciò aggiungasi che la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, tra i principali fornitori della contribuente, non presentava la dichiarazione dei redditi per l’anno 2014 e non dava seguito all’invito a produrre documentazione contabile per la medesima annualità; tale circostanza ha consentito di dedurre un maggior reddito ai sensi dell’art. 39, comma 2, lettera d), bis del d.P.R. 600/1973 in conseguenza del disconoscimento del costo contabilizzato dalla prima. Del resto, con riguardo alla RAGIONE_SOCIALE ed alla RAGIONE_SOCIALE ovvero ai maggiori fornitori della RAGIONE_SOCIALE, l’Ufficio ha dimostrato documentalmente che per le due fatture passive del 2014 – la fattura passiva n. 4 del 17/1/2014 per un imponibile pari ad euro 94.594,50 + IVA al 22% e la fattura passiva n. 2/V del 30/4/2014 per un imponibile pari ad euro 50.400,00 + IVA al 22% – non risulta provato l’incasso da parte delle creditrici e che recano, tra l’altro, importi
significativamente inferiori a quello complessivamente dovuto. Ora, in conseguenza del disconoscimento di tali costi, di importo pari a 151.819,00 euro, si determinava una maggiore IRES e IRAP e veniva recuperata la corrispondente IVA. (…) A proposito delle fatture Enel si rileva che non essendone provato il pagamento il relativo costo non può essere dedotto» (cfr. pp.3 e 4 sentenza). A fronte di tale ampio e argomentato accertamento fattuale, conforme a quello del giudice di primo grado, il mezzo di impugnazione sostanzialmente ripropone in termini inammissibili le proprie difese di merito, ai fini della dimostrazione dei requisiti di competenza, certezza, determinabilità e inerenza dei costi in relazione alle fatture di acquisto oggetto di contestazione.
Il terzo motivo della contribuente lamenta, in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., l’illegittimità della sentenza per violazione degli artt. 57 d.lgs n. 546/1992 e 7 bis del d.P.R. n. 633/1972 con riferimento al capo della sentenza impugnata che ha dichiarato inammissibile, perché nuova, la questione del reverse charge in relazione ai costi recati dalla fattura 4 del 17.1.2014 emessa dal fornitore RAGIONE_SOCIALE
Il motivo non può trovare ingresso, poiché in ricorso non si fornisce prova della tempestiva introduzione della questione in primo grado, ma solo nella fase amministrativa e la questione non è né rilevabile d’ufficio né una mera specificazione a difesa della deducibilità del costo, dal momento che il funzionamento del reverse charge presuppone la dimostrazione dei presupposti fattuali per l’operatività del meccanismo, inclusa l’autofatturazione e ciò dilata il thema decidendum in violazione dell’art. 57 del d.lgs. 546/1992.
Con il quarto motivo si deduce, senza indicazione di alcun paradigma dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., l’i llegittimità della sentenza per violazione dell’art. 39, comma 2, d.P.R. 600/1973 in combinato disposto con gli artt. 32, comma 1, nn. 3 e 4 e comma 5 del d.lgs. 546/92 e art. 51, comma 2, n. 3 e 4 del d.P.R. n. 633/1972.
9. Il motivo è inammissibile, perché costituisce riproposizione di argomentazioni di merito già vagliate nei primi due gradi di giudizio in modo conforme, da ultimo dalla CTR nei seguenti termini: «a proposito della denunciata illegittimità dell’avviso per difetto di motivazione deve precisarsi che trattasi di eccezione formulata in modo del tutto generico, e che in ogni caso ‘ L’obbligo di motivazione dell’atto impositivo persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur. Detti elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato, non solo tempestivamente (e cioè inserendo/i ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa” (Cass. Sent. 20211 del 3/09/2013). Nell’ipotesi in disamina il contenuto dell’avviso ha consentito senza dubbio alcuno alla contribuente la piena comprensione delle ragioni della pretesa impositiva, conclusione avvalorata dalla molteplicità e dalla complessità delle argomentazioni esposte a sostegno dell’originario ricorso e del gravame.» (p.4 sentenza).
Con riferimento poi alla presunta violazione dell’art.32 il motivo non censura compiutamente la ratio decidendi del giudice d’appello che, tra l’altro, ha anche affermato alle pagg.4 e 5 della decisione che la documentazione è stata comunque vagliata: «Il contribuente si duole altresì dell’omessa valutazione da parte dell’Ufficio della documentazione esibita successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento. L’eccezione è priva di fondamento poiché tale documentazione peraltro inutilizzabile ex art. 32 del d.P.R. n. 600/197 -vagliata, per quanto evincibile dall’avviso, in sede di adesione, veniva considerata ininfluente rispetto alla pretesa impositiva.». Ne consegue, anche sotto tale profilo, l’i nammissibilità della censura che non si confronta pienamente con la ragione della decisione.
10. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate per l’agente della riscossione in euro 4.300 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13.3.2025