Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2929 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2929 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10000/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende,
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) -controricorrente-
nonchè
sul controricorso e ricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente e ricorrente incidentaleavverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. VENETO n. 1557/2015 depositata il 15/10/2015, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.RAGIONE_SOCIALE ha impugnato l’avviso di accertamento ed irrogazione sanzioni n. 30244458 del RAGIONE_SOCIALE di Venezia, avente ad oggetto i.c.i. 2005, relativo ad aree che ospitano il polo integrato di trattamento rifiuti di Fusina, identificati al catasto del RAGIONE_SOCIALE di Venezia sezione MC, foglio 7, mappali n. 514, sub 1, n. 515, sub 1, sub 516, n. 1, deducendo il difetto di motivazione; la violazione del divieto di doppia imposizione, in considerazione dell’avviso uguale, per lo stesso immobile, emesso nei confronti di RAGIONE_SOCIALE; la propria carenza di soggettività passiva, in quanto titolare di un diritto di godimento derivante da contratto di locazione; l’errata classificazione catastale degli immobili in esame, che, essendo sede di svolgimento di attività di pubblico servizio, sono riconducibili alla classe E e, quindi, esenti; l’illegittimità delle sanzioni per difetto di colpevolezza; la carenza di sottoscrizione e l’inesistenza/nullità della notifica dell’atto impugnato.
Analoga impugnazione è stata proposta da RAGIONE_SOCIALE avverso avviso di accertamento nei propri confronti riguardante la
medesima annualità dell’i.c.i. per lo stesso complesso immobiliare.
3.La Commissione tributaria provinciale di Venezia, riuniti i ricorsi proposti da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avverso i due distinti avvisi di accertamento riguardanti la medesima annualità dell’i.c.i. per lo stesso complesso immobiliare, ha dichiarato l’illegittimità degli atti impugnati, evidenziando che negli avvisi non sono descritti gli immobili e non è indicato il diritto che giustifica la pretesa, per cui, di fondo, il RAGIONE_SOCIALE, esercitando la medesima pretesa tributaria nei confronti di due soggetti passivi, ha rinunciato alla propria funzione di accertamento, devolvendola al giudice tributario, a cui è precluso un ruolo di tipo consultivo.
All’esito dell’appello la Commissione tributaria regionale del Veneto ha confermato l’annullamento dell’avviso nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, mentre dichiarato la legittimità dell’avviso di accertamento nei confronti di RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE.
Si è costituito il RAGIONE_SOCIALE di Venezia con controricorso in cui ha proposto anche ricorso incidentale.
Si è costituita la RAGIONE_SOCIALE che, rispetto alle difese comuni a COGNOME, ha aderito alle deduzioni della ricorrente principale e, in via subordinata, in caso di riforma della sentenza impugnata, ha concluso per l’infondatezza della pretesa nei propri confronti e conseguentemente per il rigetto del ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE.
La causa è stata trattata all’udienza pubblica del 17 gennaio 2024, in cui è stata decisa.
Risultano depositate memorie di COGNOME e del RAGIONE_SOCIALE.
10.La Procura Generale della Cassazione ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con i primi due motivi la ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., la violazione degli artt. 329, secondo comma, cod.proc.civ., 53 e 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, non avendo preso atto il giudice di appello della formazione del giudicato con riferimento alla statuizione del giudice di primo grado in ordine alla carenza motivazionale dell’avviso impugnato.
I motivi sono infondati, in quanto, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo cui il ricorso in appello deve contenere «i motivi specifici dell’impugnazione» e non già «nuovi motivi», atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (così Cass., Sez. 5, 29 febbraio 2012, n. 3064, Cass., Sez. 5, 28 febbraio 2011, n. 4784, Cass., Sez. 5, 16 giugno 2006, n. 14031). Cass., Sez. 5, 27 maggio 2016, n. 11001 ha anche affermato che la Corte di cassazione «non è legittimata a sostituirsi alla commissione tributaria regionale negli apprezzamenti di fatto circa la sussistenza del requisito di specificità dei motivi di appello». Da tale premessa deriva che, ai fini dell’impugnazione della statuizione del giudice di primo grado sulla carenza motivazionale degli avvisi impugnati, come
ha ritenuto la sentenza impugnata, è sufficiente quella parte dell’appello in cui il RAGIONE_SOCIALE ha ribadito che «gli atti contengono tutti i requisiti necessari ad esplicare l’an e quantum della pretesa tributaria», contrapponendosi così alla opposta valutazione della sentenza della Commissione tributaria provinciale (vedi punto B dell’atto di appello, ultima pagina).
2.Con il terzo ed il quarto motivo la ricorrente ha denunciato la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., degli artt. 11, comma 2-bis, del d.lgs. n. 504 del 1990, 3, comma 1, della l. n. 241 del 1990 e 7 della l. n. 211 del 2000, e l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le pari, essendo la sentenza incorsa in error in iudicando in ordine all’adeguatezza della motivazione, affermata con un mero rinvio alla nota 1 ed alla scheda tecnica allegate ad atto impositivo, e non essendosi soffermata sulla omessa indicazione del diritto reale dell’asserito soggetto passivo individuato, nonostante i dubbi esistenti, che hanno indotto all’adozione di due avvisi di accertamento nei confronti di soggetti diversi per lo stesso immobile.
Il terzo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente, in quanto pongono la medesima questione, sono infondati. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di imposta comunale sugli immobili, l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili
dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (tra le tante, Cass., Sez. 5, 8 novembre 2017, n. 26431).
Il giudice di merito si è conformato a tale principio, evidenziando, peraltro, che l’avviso di accertamento, che ha indicato chiaramente i riferimenti normativi e gli estremi catastali degli immobili, ha consentito alla parte di impostare la sua difesa, sicché non è ravvisabile alcun error in iudicando . In proposito deve rilevarsi che le deduzioni dalle parti confermano che la motivazione dell’avviso di accertamento ha consentito di individuare gli immobili oggetto di tassazione e di sviluppare le proprie difese in ordine alla debenza del tributo e fondamentalmente alla sussistenza di un diritto di superficie in capo a COGNOME ed alla corretta classificazione catastale dei beni de quibus (questioni oggetto di contestazione). Del resto, in materia tributaria, la completezza della motivazione di un avviso di accertamento va valutata tenendo conto, oltre che della natura vincolata dell’atto tributario e dell’assenza di discrezionalità, del principio di buona fede che deve improntare i rapporti tra l’Amministrazione ed il contribuente.
Solo per completezza deve aggiungersi che l’adozione di un altro avviso di accertamento, relativamente al medesimo immobile, nei confronti di altro soggetto passivo, non incide sulla completezza motivazionale dell’atto, ma al più sulla legittimità della pretesa tributaria.
Con il quinto, il sesto, settimo e ottavo motivo parte ricorrente ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, n. 5 e n. 1, cod.proc.civ., l’apparenza della motivazione della sentenza, che ha acriticamente aderito alla tesi del RAGIONE_SOCIALE senza prendere in minima considerazione le difese della
contribuente in ordine all’impossibilità per l’Ufficio di devolvere al giudice tributario l’attività accertativa ed in particolare l’individuazione del soggetto passivo dell’imposta, oltre che la violazione degli artt. 2 e 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, non potendo il giudice tributario svolgere una funzione di amministrazione attiva, consistente nell’individuazione del soggetto passivo dell’obbligazione tributaria.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, perché pongono la medesima questione, sono infondati, essendosi la sentenza tributaria soffermata sulle problematiche poste dal contribuente ed avendole superate in forza dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità relativo alla natura di impugnazione-merito del giudizio tributario (v., da ultimo, Cass., Sez. 5, 25 novembre 2022, n. 34723, secondo cui il processo tributario è annoverabile tra quelli di impugnazione merito, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia, eventualmente, dell’avviso di accertamento o di rettifica dell’ufficio). In particolare il giudice di merito ha richiamato quell’orientamento delle Sezioni Unite, secondo cui la tutela giurisdizionale dei contribuenti, nella disciplina risultante già dall’art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.636, e quindi dall’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (ancor più nel testo sostituito dall’art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, ed integrato dall’art. 3-bis del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito in legge 2 dicembre 2005, n. 248), è affidata in via esclusiva alla giurisdizione delle commissioni tributarie (ora Corti di giustizia), concepita come comprensiva di ogni questione afferente all’esistenza ed alla consistenza dell’obbligazione tributaria, e pertanto anche all’individuazione del soggetto tenuto a corrispondere l’imposta o ai limiti nei quali esso, per la sua qualità, sia obbligato (Cass., Sez. U, 4 aprile 2006, n. 7805).
In aggiunta alle argomentazioni già sviluppate nella sentenza impugnata, deve sottolinearsi che, nel caso di specie, il RAGIONE_SOCIALE ha esercitato i suoi poteri con l’adozione di due avvisi di accertamento nei confronti di due soggetti e che, quindi, il giudice tributario è stato chiamato a verificare la legittimità degli avvisi di accertamento riguardo a profili formali (quali, ad esempio, la motivazione) ed a profili sostanziali (quali, ad esempio, la titolarità dell’obbligazione tributaria), in modo del tutto conforme al sistema delineato dal d.lgs. n. 546 del 1992, che configura il giudizio tributario come un giudizio di impugnazione. Invero, la richiesta da parte del RAGIONE_SOCIALE di accertare il soggetto passivo dell’obbligazione tributario non si è tradotta nella proposizione di un’autonoma azione di accertamento, ma piuttosto nella difesa dei provvedimenti adottati ed impugnati, rectius di almeno uno dei provvedimenti adottati ed impugnati dai contribuenti.
Né può ravvisarsi alcuna violazione delle regole procedimentali o sostanziali nella condotta del RAGIONE_SOCIALE, che, in una situazione di obiettiva incertezza, di fronte alle contestazioni di entrambi i possibili soggetti passivi, ha formulato la pretesa tributaria nei confronti di entrambi, tenuto conto della necessità di evitare decadenze e prescrizioni.
4. Con il decimo motivo la ricorrente ha censurato, con riferimento al n. 4 dell’art. 360 cod.proc.civ., la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che fosse titolare del diritto di superficie e, quindi, soggetto passivo d’imposta, atteso che la motivazione sul punto è meramente apparente, consistendo in un generico rinvio ai patti contrattuali tra i soggetti coinvolti (il cui contenuto non è neppure menzionato) ed ai principi di diritto in materia di i.c.i., senza alcun esame delle proprie difese sul punto e delle conclusioni del RAGIONE_SOCIALE, che aveva individuato in corso di
giudizio quale obbligata la RAGIONE_SOCIALE e solo in via subordinata la RAGIONE_SOCIALE.
Il decimo motivo è fondato.
La motivazione della sentenza, in ordine alla titolarità passiva del rapporto obbligatorio in capo alla ricorrente (questione fondamentale del giudizio in esame, visto che l’incertezza circa la configurabilità di un diritto reale di superficie in capo a COGNOME ha indotto il RAGIONE_SOCIALE all’adozione dell’avviso di accertamento anche nei confronti della proprietaria del suolo), consiste in tale passaggio motivazionale: «tenuto conto dei patti contrattuali siglati tra i vari soggetti pubblici e privati a vario titolo coinvolti nella realizzazione e gestione dei fabbricati cui si riferisce l’imposta in contestazione, questa Commissione ritiene che il soggetto passivo d’imposta va individuato in RAGIONE_SOCIALE».
La sentenza non si è, però, minimamente soffermata sul contenuto dei patti contrattuali intercorsi, che non viene neanche descritto. Neppure è chiarito a quali patti si è fatto riferimento, non essendone precisate né le date né le parti. Tale lacuna si traduce in una motivazione del tutto apparente, che non consente di individuare i presupposti di fatto dell’asserito diritto di superficie in capo alla ricorrente ed in relazione ai singoli cespiti immobiliari facenti parte del complesso in esame.
In proposito deve ribadirsi che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (tra le tante, Cass., Sez. 6-5, 7 aprile 2017, n. 9105). Si è anche precisato che la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve
ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost (Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248). Ciò è avvenuto nel caso in esame, in cui la sentenza impugnata si è diffusamente soffermata sulla soggettività passiva del proprietario superficiario, senza, però, chiarire in base a quali clausole contrattuali è stato attribuito un diritto reale in luogo di un diritto personale e senza neppure affrontare le problematiche connesse alla ripartizione dell’onere probatorio.
Questa Corte ha già affermato, ancorché con riferimento ad altra questione, che stabilire se un determinato atto abbia ad oggetto la costituzione di un diritto di superficie ovvero una locazione (o altro atto a contenuto meramente obbligatorio) rappresenta una questione interpretativa, la cui soluzione richiede una valutazione analitica del complesso delle clausole e delle condizioni contrattuali da svolgersi sulla base dei canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 e ss. c.c. da parte del giudice di merito; di talché, al fine di sancire se una concessione ad aedificandum sia costitutiva di diritti di natura reale o meramente obbligatoria, è decisiva l’interpretazione complessiva del contratto e, in particolare, della disciplina relativa alla sorte delle opere costruite dal concessionario al momento della cessazione del rapporto concessorio (Cass., Sez. 5, 15 ottobre 2021, n. 28261, in materia di imposta di registro; ma v. anche Cass., Sez. 5, 16 aprile 2008, n. 9938, in materia di i.c.i., ai fini della soggezione all’imposta comunale sugli immobili, nel caso di concessione amministrativa su un bene appartenente al demanio marittimo, per stabilire se il provvedimento amministrativo sia
costitutivo del diritto reale di superficie o di diritti aventi natura obbligatoria risulta decisiva la complessiva interpretazione dell’atto – di competenza del giudice di merito, trattandosi di apprezzamenti di fatto – che deve essere condotta alla stregua del suo contenuto e delle clausole in cui si articola). Prima della dell’art. 18 della l. n. 388 del 2000, che, modificando l’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, ha esteso espressamente la soggettività passiva dell’imposta ai concessionari di aree demaniali, rendendo di conseguenza irrilevante la questione afferente gli effetti reali o obbligatori della concessione, si è affermato che, ai fini della soggezione all’imposta comunale sugli immobili, nel caso di assegnazione di un’area demaniale per la costruzione di un opificio industriale, per stabilire se il provvedimento amministrativo, qualificabile come concessione “ad aedificandum”, sia costitutivo di un diritto reale di superficie, con conseguente imponibilità, ovvero di un diritto avente natura meramente personale, assume rilievo decisivo la destinazione dell’opera costruita dal concessionario al momento della cessazione del rapporto, atteso che, se essa torna nella disponibilità del concedente, si è in presenza di un rapporto obbligatorio, mentre, se essa passa in proprietà del concessionario, il diritto in virtù del quale questi l’ha realizzata ha sicuramente la natura reale del diritto di superficie (Cass., Sez. 5, 21 giugno 2016, n. 12798).
Alla luce di tali principi il giudice di merito deve risolvere la questione controversa, soffermandosi in modo puntuale, nella motivazione, sul contenuto dei patti contrattuali intercorsi tra le parti e sulla sorte degli immobili costruito al momento della cessazione del rapporto contrattuale.
L’accoglimento del decimo motivo comporta, da un lato, l’assorbimento dell’undicesimo, con cui si è denunciato l’omesso esame di fatti decisivi sempre in merito alla ritenuta titolarità del
diritto di superficie di COGNOME, e, dall’altro, il rinvio del giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà motivare in ordine alla eventuale titolarità passiva dell’obbligazione tributaria in esame in capo alla ricorrente, in base ad un’analisi complessiva dei patti contrattuali, soffermandosi e descrivendo il contenuto delle clausole su cui fonda la sua conclusione e tenendo conto della destinazione dell’opera costruita al momento della cessazione del rapporto, atteso che, se essa torna nella disponibilità del proprietario del suolo, si è in presenza di un rapporto obbligatorio, mentre, se essa passa in proprietà del soggetto che ha realizzato l’opera, il diritto ha la natura reale del diritto di superficie.
Con il dodicesimo ed il tredicesimo motivo la ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., la violazione del principio di doppia imposizione e conseguentemente di capacità contributiva.
I motivi in esame devono essere rigettati.
Invero, dal punto di vista normativo, l’i.c.i. in ordine ad un immobile grava su un unico soggetto passivo, per cui non vi è una doppia imposizione giuridica interna a livello normativo. Il problema del presente contenzioso attiene piuttosto all’individuazione dell’effettivo soggetto passivo del tributo.
Neppure si può ritenere violato alcun principio di natura procedimentale, atteso che la Pubblica amministrazione si è limitata a rivolgere la sua pretesa tributaria, senza ricevere alcuna soddisfazione, in modo non ancora definitivo, in una situazione di obiettiva incertezza. In proposito questa Corte ha già chiarito che viola il divieto di doppia imposizione la richiesta dell’Amministrazione finanziaria di pagamento dell’imposta quando, rispetto allo stesso tributo, abbia già esercitato ed esaurito il potere impositivo in dipendenza del medesimo presupposto (Cass., Sez. 5, 18 dicembre 2015, n. 25498):
ipotesi diversa da quella in esame, in cui la pretesa deve ancora realizzarsi ed è contestata. Deve, pertanto, affermarsi il principio: in tema di i.c.i., in assenza di uno specifico ed espresso divieto, in caso di incertezza o contestazioni, prima di un accertamento definitivo, l’Amministrazione può rivolgere la pretesa tributaria nei confronti dei possibili soggetti passivi, onde evitare di incorrere in decadenza o prescrizione, salvo il divieto, desumibile anche dalle regole generali in materia di indebito, di riscuotere lo stesso tributo più volte.
Con il quattordicesimo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza nella parte in cui ha escluso che, nella specie, potesse vantarsi l’esenzione per la classificazione catastale dell’area nella categoria E/9, come riconosciuto dalla Corte di cassazione con sentenza n. 3358 del 19.2.2015.
Il motivo è infondato, atteso che, in tema di ICI, l’art. 7, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1992, nella parte in cui prevede che sono esenti dal imposta i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9 deve essere inteso -secondo i criteri dell’interpretazione letterale, in coerenza con i principi generali dell’ordinamento e con l’art. 5, comma 3, dello stesso decreto -nel senso che l’esenzione si riferisce ai fabbricati così classificati oppure a quelli non ancora iscritti al catasto per i quali nel medesimo periodo sussistono i presupposti per l’iscrizione nelle categorie indicate, con esclusione, pertanto, degli immobili già iscritti in categorie diverse da quelle indicate con le sigle E/3 a E/9, ad iniziativa del contribuente, atteso che quest’ultimo non può, per beneficiare della suddetta esenzione, invocare a suo favore l’errore se non nei limiti e con gli effetti temporali propri della variazione della classificazione (Cass., Sez. 5, 30 settembre 2019, n. 24279).
La sentenza impugnata ha correttamente applicato tale principio, sottolineando che solo successivamente all’anno di
imposta in esame sono intervenute variazioni catastali su impulso di parte.
Premesso che la sentenza di questa Corte n. 3358 del 2015, a cui fanno riferimento RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, menziona una d.o.c.f.a del 2008 e, pertanto, ad una variazione catastale intervenuta non su impulso dell’ufficio, ma del contribuente, successivamente all’annualità in esame, senza neppure chiarire i beni oggetto dell’avviso impugnato e senza alcun riferimento ad un errore originario della classificazione, parte ricorrente, con la proposizione della censura in esame, formulata quale violazione di legge, introduce, in modo, peraltro, non chiaro, circostanze di fatto (rilevanti ai fini di un orientamento giurisprudenziale diverso da quello applicato nella sentenza impugnata), che sono estranee all’accertamento del giudice di merito e che non sono suscettibili di verifica in questa sede di legittimità.
Con il quindicesimo motivo, la ricorrente ha censurato la sentenza nella parte in cui ha escluso che il RAGIONE_SOCIALE di Venezia (che nel giudizio di appello ha concluso in via principale per la conferma dell’avviso nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e solo in via subordinata per la conferma dell’avviso nei confronti di RAGIONE_SOCIALE) avesse revocato in autotutela l’avviso di accertamento.
Il motivo è infondato, atteso che, come ritenuto dal giudice di merito, le conclusioni processuali del RAGIONE_SOCIALE non si traducono in alcun atto di autotutela, tenuto conto, del resto, della circostanza che il RAGIONE_SOCIALE, nelle conclusioni del giudizio di appello, non ha rinunciato alla sua pretesa nei confronti della ricorrente, ma l’ha solo formulata in via subordinata rispetto a quella rivolta all’altra parte RAGIONE_SOCIALE.
Con il sedicesimo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento anche nella parte relativa alle sanzioni, dovendosi
escludere un comportamento doloso della ricorrente in considerazione dell’incertezza circa la sussistenza dell’obbligazione tributaria, confermata dall’adozione di un avviso di accertamento nei confronti di due soggetti diversi.
Il motivo è assorbito in conseguenza dell’accoglimento del decimo e della necessità di accertare la effettiva debenza del tributo, presupposto dell’applicazione delle sanzioni.
In conclusione, va accolto il decimo motivo di ricorso, assorbiti l’undicesimo ed il sedicesimo e rigettati tutti gli altri, e conseguentemente la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado, che dovrà motivare in ordine alla eventuale titolarità, in capo alla ricorrente, del rapporto tributario, in base ad un’analisi complessiva dei patti contrattuali, soffermandosi e descrivendo il contenuto delle clausole contrattuali su cui fonda la sua conclusione e tenendo conto della destinazione dell’opera costruita al momento della cessazione del rapporto, atteso che, se essa torna nella disponibilità del proprietario del suolo, si è in presenza di un rapporto obbligatorio, mentre, se essa passa in proprietà del soggetto che ha realizzato l’opera, il diritto ha la natura reale del diritto di superficie.
La cassazione della statuizione della sentenza che accerta la legittimità dell’avviso di accertamento nei confronti della ricorrente ha effetto, ai sensi dell’art. 336 cod.proc.civ., anche relativamente alla statuizione dipendente avente ad oggetto l’illegittimità dell’avviso di accertamento nei confronti di RAGIONE_SOCIALE. Difatti, la legittimità della pretesa tributaria del RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE è stata esclusa in conseguenza dell’accertamento dell’obbligazione tributaria in capo a RAGIONE_SOCIALE. Invero, in tema di i.c.i., posto che la sussistenza di un diritto reale di superficie esclude la soggettività passiva del proprietario, la decisione della causa avente ad oggetto la
legittimità dell’avviso di accertamento nei confronti del proprietario è dipendente da quella avente ad oggetto la legittimità dell’avviso di accertamento nei confronti dell’asserito titolare di un diritto reale di superficie, in modo analogo a quanto avviene nelle controversie civili in cui il convenuto debitore chiama in causa un terzo indicandolo quale unico responsabile dell’obbligazione (Cass., Sez. 1, 28 febbraio 2018, n. 4722, in materia di procedimento civile, con la chiamata in causa del terzo quale unico responsabile si realizza un’ipotesi di dipendenza di cause, in quanto la decisione della controversia fra l’attore ed il convenuto, essendo alternativa rispetto a quella fra l’attore ed il terzo, si estende necessariamente a quest’ultima, sicché i diversi rapporti processuali diventano inscindibili, legati da un nesso di litisconsorzio necessario processuale per dipendenza di cause o litisconsorzio alternativo che, permanendo la contestazione in ordine all’individuazione dell’obbligato, non può essere sciolto neppure in sede d’impugnazione). Il rigetto del motivo di ricorso di COGNOME in ordine alla titolarità passiva dell’obbligazione tributaria in esame è, difatti, alternativo a quello analogo formulato da RAGIONE_SOCIALE.
Da tale premessa deriva che tutte le questioni aventi ad oggetto l’individuazione del soggetto passivo del tributo in esame, che sono state riproposte anche delle controricorrenti e che riguardano pure RAGIONE_SOCIALE, non possono essere affrontante in questa sede, ma devono essere decise dal giudice del rinvio, dipendendo dalla decisione del ricorso proposto da COGNOME. Non vi è, dunque, pronuncia sul ricorso incidentale proposto dal RAGIONE_SOCIALE, che deve considerarsi assorbito (sia pur in senso atecnico) in conseguenza della caducazione ex art. 336 c.p.c. della statuizione avente ad oggetto l’illegittimità dell’avviso di accertamento nei confronti di RAGIONE_SOCIALE. Per quanto concerne RAGIONE_SOCIALE, le questioni comuni a RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sono state
affrontate, anche in questa sede, nel pieno contraddittorio di tutte le parti e rigettate, sicchè resta in discussione solo l’individuazione del soggetto passivo del tributo, rimessa al giudice del rinvio.
In conclusione, rigettati i primi nove motivi, oltre al dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo, assorbiti l’undicesimo ed il sedicesimo motivo, va accolto il decimo motivo e conseguentemente cassata la sentenza in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, per la decisione, anche nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, di tutte le questioni relative all’individuazione del soggetto passivo del tributo, oltre che per la regolamentazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il decimo motivo di ricorso, rigetta i primi nove motivi, il dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo motivo;
dichiara assorbiti l’undicesimo ed il sedicesimo motivo ed il ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di giustizia di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, 17 gennaio 2024.