Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2955 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2955 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
Oggetto:
motivazione della
apparente
sentenza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27822/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa ex lege dell’Avvocatura General e dello Stato (PEC: EMAIL)
– resistente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 2708/22/2016 depositata in data 06/05/2016, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-la società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento notificatole per rettifica dell’iva relativa al periodo d’imposta 2008; tale avviso aveva origine dall’esame della documentazione contabile a seguito di richiesta di rimborso iva con particolare riguardo ai rapporti intercorsi con la società RAGIONE_SOCIALE (nel prosieguo anche solo RAGIONE_SOCIALE);
-il giudice di primo grado rigettava il ricorso;
-appellava la società contribuente;
-con la sentenza qui gravata il giudice del merito ha valutato come fondata la pretesa impositiva, confermando la sentenza di primo grado, poiché a fronte degli elementi indiziari dedotti e provati dall’Amministrazione Finanziaria ha ritenuto fosse onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni oggetto di rilievo prova che nella fattispecie non era stata fornita;
-ricorre a questa Corte la società RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a sette motivi di doglianza;
-l’Agenzia delle entrate ha unicamente depositato atto di costituzione in vista della pubblica udienza;
Considerato che:
-il primo motivo di ricorso censura la pronuncia impugnata denunciando la nullità della sentenza in relazione agli artt. 36 c. 2 del d. Lgs. n. 546 del 1992 e 111 c. 6 Cost.: secondo parte ricorrente il giudice del merito ha reso motivazione apparente quanto al vizio di motivazione dell’avviso di accertamento e alla mancata dimostrazione della pretesa;
il quarto motivo si incentra ancora sulla nullità della sentenza impugnata in relazione alla medesima disposizione di cui al primo
motivo con particolare riguardo alla ritenuta mancanza della prestazione imponibile a fini dell’iva;
i motivi possono esaminarsi congiuntamente in quanto costituenti entrambi censure di natura motivazionale;
gli stessi si rivelano infondati;
va ricordato che la violazione denunciata si configura quando la motivazione «manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione ovvero … essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata» (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053; successivamente tra le tante Cass. 01/03/2022, n. 6626; Cass. 25/09/2018, n. 22598). In particolare, si è in presenza di una «motivazione apparente» allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie ed ipotetiche congetture. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella «perplessa e
incomprensibile»; in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass., Sez. Un., 03/11/2016, n. 22232 e le sentenze in essa citate);
ebbene, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, la CTR ha qui correttamente ritenuto adeguatamente motivato l’atto impugnato, il quale fa menzione -come si riporta a pag. 1 della sentenza di merito qui censurata, alle righe dalla n. 11 in poi -proprio del ‘memorandum terreno Capoterra’ vale a dire dell’ accordo intercorso tra GADA TRE e SUD SARDEGNA; tali elementi sono stati quindi debitamente considerati nella motivazione, come subito dopo si precisa (‘L’Agenzia motivava nell’avviso nel senso che…’ scrive la sentenza di appello);
-pertanto, anche in forza del rimando a tali documenti, nel complesso bene ha operato il giudice del merito riconoscendo il contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento del tutto idoneo a far comprendere alla contribuente le ragioni di fatto e di diritto poste dall’Ufficio a base della pretesa azionata;
inoltre, con riguardo alla mancanza della prestazione imponibile e fini iva, la CTR ha parimenti motivato, scrivendo ‘… Dalla documentazione depositata emerge solo una serie di atti intesi, nella sostanza, a trasferire dalla Sud Sardegna alla RAGIONE_SOCIALE i contratti preliminari a suo tempo stipulati dal COGNOME con i proprietari dei terreni, mentre non vi è alcun elemento da cui desumere che la Sud Sardegna si sia impegnata per stare ed abbia prestato un ben determinato servizio, dando titolo a un corrispettivo’; ciò si evince, secondo sempre il giudice dell’appello, in quanto ‘… Prova ne sia che non vi è alcun documento da cui desumere la pattuizione del preteso servizio il suo soggetto e ancor meno corrispettivo spettante”.
Prosegue poi la sentenza specificando, ancora con riguardo alla fattispecie concreta, che ‘… la fattispecie in esame non è sussumibile nello schema di cessione di contratto preliminare di compravendita immobiliare perché a prescindere da tutte le altre circostanze, manca una condizione fondamentale ossia al consenso del contraente ceduto (i proprietari dei terreni) da esprimere con atto scritto”;
tali affermazioni risultano del tutto idonee a far comprendere le ragioni del decisum il cui contenuto si colloca al di sopra del c.d. ‘minimo costituzionale’ (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014);
il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della L. 212 del 2000 e in materia di iva dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 23 del d. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 2697 c.c. per avere, in sintesi, il giudice dell’appello erroneamente ritenuto motivato l’avviso di accertamento qui impugnato;
il motivo è infondato;
come si evince dalla lettura dell’avviso di accertamento in argomento, debitamente prodotta questa Corte a cura del ricorrente nel rispetto del principio di specificità e localizzazione, in esso l’Ufficio ha fornito idonea motivazione con riguarda la regione alle ragioni di fatto e di diritto che sostenevano le pretese azionate, illustrando con chiarezza e completezza il percorso logico e giuridico seguito per manifestare tali pretese nei confronti della società contribuente;
a riprova ulteriore di ciò vi è la circostanza che nel corso dei gradi di merito la società medesima si è ampiamente difesa dimostrando con ciò di aver compreso esattamente e puntualmente i rilievi mossi dall’Agenzia delle Entrate;
il terzo motivo di ricorso si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione alla legittimazione del capo area firmatario per delega dell’avviso;
il motivo è inammissibile;
invero, la CTR ha affrontato e risolto la questione di diritto relativa alla delega di firma in argomento; il motivo -diversamente -pone invece l’autonoma e differente eccezione relativa alla mancata produzione in giudizio della delega stessa, profilo che non risulta, dalla lettura della sentenza impugnata, esser stato sottoposto nei termini prospettati di fronte a questa Corte, all’attenzione dei giudici nei gradi di merito e che quindi non può essere oggetto di disamina da parte della Corte che deve dichiararne quindi la inammissibilità;
il quinto motivo di ricorso lamenta ancora la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al tentativo di ricostruzione ad opera dei giudici in luogo dell’Ufficio e della fattispecie giuridica rinvenibile della violazione commessa con particolare riguardo alla mancata considerazione dell’esistenza di più obbligazioni cui riferire l’iva contestate e dell’inesistenza di una detrazione iva;
secondo la RAGIONE_SOCIALE qui ricorrente, in sintesi, la sentenza non avrebbe considerato che le prestazioni oggetto dei rapporti contrattuali erano due: la prima consistente nel far procurare l’acquisto dei terreni in capo alla società contribuente e la seconda avente per autonomo oggetto quello di far ottenere alla società contribuente apposita convenzione con il Comune in relazione a detti terreni;
il motivo è infondato;
dalla lettura della pronuncia impugnata si evince come il giudice di secondo grado, una volta ritenuta non integrata la prestazione relativa al procurato acquisto dei terreni, ha ciò desunto che ‘… neppure può considerarsi integrata la prestazione di servizi, onde a vicenda in esame si sottrae alla sottoposizione ad iva’;
il ragionamento seguito dalla sentenza di appello è quindi chiaro: accertato il difetto della prestazione relativa alla cessione dei contratti riguardanti i terreni, che nel concreto non sono mai stati oggetto di trasferimento né impegno effettivo a trasferirli, si è -giustamente e
conseguentemente -anche esclusa la ulteriore, secondaria ed accessoria prestazione di servizi riguardante l’ottenimento della convenzione con il comune, il cui presupposto fattuale logico e giuridico è da individuarsi nella (non ottenuta) disponibilità dei terreni;
-esclusa quindi detta disponibilità, la CTR con consequenziale ulteriore accertamento di fatto intangibile in questa sede ha fatto derivare la susseguente e necessaria esclusione della prestazione che tale disponibilità presupponeva quale elemento imprescindibile e necessario; nel terzultimo periodo della parte emotiva della sentenza la CTR ha quindi espressamente pronunciato sul profilo che in ricorso si adombra come pretermesso;
il sesto motivo censura la pronuncia impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 c. 1 e c. 2 n. 5, 19 e 30 del d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 1381, 1406 e 2697 c.c. per avere la CTR erroneamente non ritenuto che le prestazioni oggetto dei contratti intercorsi tra le parti non fossero assoggettabili ad iva;
il motivo è inammissibile, in quanto privo di collegamento con la ratio decidendi della sentenza impugnata;
come si è illustrato in occasione della disamina dei motivi che precedono, è qui dirimente il rilievo secondo il quale il giudice del merito, per le ragioni sopraddette, ha escluso la venuta di esistenza delle prestazioni;
tale accertamento, non più suscettibile di contestazioni di fronte alla Corte di Legittimità, è ora inattaccabile e rende irrilevante e superfluo l’esame del regime iva di tali (ventilate) prestazioni perché le stesse non hanno avuto luogo;
il motivo, quindi, appuntandosi sul regime giuridico di prestazioni che non sono state realizzate, risulta fuori bersaglio rispetto alla ratio decidendi della sentenza, che si è fondata su altro;
-poiché esso introduce questioni del tutto estranee all’ ordito motivazionale fornito dalla sentenza impugnata senza muovere
invece alcuna critica alla ratio decidendi posta a base della decisione (“in tema di ricorso per cassazione è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata”; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017) il motivo è inammissibile;
ancora più precisamente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, va detto che il motivo d’ impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’ esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’ esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata;
-queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza 14/3/2017 n. 6496, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17330 del 31/08/2015, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005);
-il settimo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’accordo intervenuto tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE e le prestazioni ivi previste;
– il motivo è inammissibile, vertendosi nella fattispecie in situazione di c.d. ‘doppia conforme’ (essendo risultata la società RAGIONE_SOCIALE soccombente in ambo i gradi di merito) prevista dall’art. 348 – ter, comma 5 c.p.c.; invero, in siffatta situazione il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (tra molte, Cass. Sez.3, Ordinanza n. 5947 del 28/02/2023; Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018); il che qui non avviene e da ciò deriva l’inammissibilità della censura;
in conclusione, il ricorso va rigettato;
-non vi è luogo a pronuncia sulle spese stante la mancata costituzione della intimata Agenzia delle entrate;
p.q.m.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2024.