Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2801 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2801 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11124 -20 24 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Omarc COGNOME (pec: EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
Oggetto:
TRIBUTI
–
operazioni inesistenti
avverso la sentenza n. 3311/25/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della LOMBARDIA, Sezione staccata di BRESCIA, depositata in data 10/11/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del
15 gennaio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate, sulla scorta di un processo verbale di constatazione redatto in data 20/01/2020 dalla G.d.F. di Cremona nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, da cui emergeva il coinvolgimento della stessa, unitamente a svariate società ritenute cartiere, in una frode carosello comunitaria in materia di commercio di materiale plastico, emetteva nei confronti della società contribuente tre avvisi di accertamento ai fini IVA, IRES ed IRAP per gli anni d’imposta 2012, 2104 e 2015, con cui contestav a l’utilizzo di fatture oggettivamente e soggettivamente inesistenti emesse dalle sopra indicate società cartiere, e disconosceva i costi di cui alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE per consulenze commerciali, per difetto di inerenza.
I separati ricorsi proposti dalla RAGIONE_SOCIALE avverso i predetti avvisi di accertamento venivano riuniti e quindi rigettati dalla CTP di Cremona sentenza 105/02/2021.
L’impugnazione in appello della predetta sentenza veniva rigettata dalla CTR della Lombardia con la sentenza in epigrafe indicata
I giudici di appello, ricostruito il meccanismo frodatorio messo in atto dalle società in esso coinvolte, affermava:
«Quanto al primo motivo (Erronea valutazione dell’onere probatorio gravante sull’Amministrazione Finanziaria in caso di contestazione di fatture soggettivamente inesistenti) L’Agenzia delle Entrate ha dimostrato che i fornitori della ricorrente erano cartiere perché’ non avevano azienda o a dimensioni e capacità tecniche non congrui con le operazioni in discussione e il ricorrente non ha portato
niente per contraddirre che trattavasi di aziende che operavano correttamente quali sono le prove della presenza del documento di trasporto la fattura e i pagamenti tracciabili ma manca la prova della effettività dell’operazione che non inizia con il documento di trasporto , ma con le trattative, proposte di ordini accettazione, esecuzione consegna merce e pagamento nonche garanzia».
« Quanto alla conoscibilità della prova della frode nel comportamento concludente della Societa’ sono date da una negligenza inverosimile che rasenta la colpa grave. Operare con un fornitore da cui si acquista diverse centinaia di migliaia di euri di materie prime o merci senza conoscerlo completamente con informazioni date da Societa’ di informazioni commerciali di esperienza secolare (presenti sul mercato italiano) e’ quantomeno sospetto, I rischi prodotto del venditore sono delle realta’ giuridiche dalle quali non ci si puo’ sottrarre perche’ e’ un comando normativa con rischi di risarcimento molto elevati salvo che si siano stipulate delle polizze assicurative allo scopo che non abbiamo visto agli atti Ma non ci sono soltanto i rischi prodotto ma anche i rischi sulla capacita’ di credito che trova una diminuzione da parte delle aziende di credito in caso di contestazioni di un certo livello sulla bonta’ del prodotto perche’ la liquidazione del credito commerciale di tali operazioni effettuata dalla azienda di credito a favore dell’appellante diventa problematica. Quindi e’ impossibile che l’appellante non conoscesse la “moralita’ commerciale” dei suoi fornitori».
«Quanto al terzo motivo (non economicita’ delle operazioni asseritamente fraudolente. adeguatezza dei prezzi rispetto al mercato I prezzi di mercato commerciale non sono come quelli della borsa valori o merci perche’ i relativi contratti genetici hanno delle condizioni contrattuali e garanzia completamente diversi anche per materi trattate dall’appellante. Alla contestazione da parte della Polizia tributaria di incongruenze dei prezzi fatti con quelli di mercato
non sono stati presentati dal contribuente le condizioni contrattuali compresa la garanzia suoi e dei concorrenti per dimostrare la mancanza di anomalie nei prezzi. Si rigetta tale motivo».
Quanto alla « omessa motivazione in relazione alla ritenuta legittimita’ delle contestazioni relative alle fatture oggettivamente inesistenti Il giudice di fronte alle motivazioni di parte puo aderire ad una parte e cio e’ leggittimo , quanto all’adozione di tali motivi acriticamente i primi giudici . invece contestano l’effettivita’ delle operazioni alle mancanza della quale la contribuente non porta niente di sostanziale».
Quanto alla « erronea valutazione in relazione alla non inerenza dei costi per i compensi relativi alle consulenze L ‘inerenza puo ‘ essere oltre che diretta anche indiretta e comunque quest’ultima non puo ‘ essere solo uno dei costi che possono essere sostenute dalla azienda. Cioe’ nei costi indiretti quali possono essere la pubblicita’ consulenza ecc deve esserci tra la spesa e l ‘oggetto di rifèrimento uno stretto rapporto biunivoco senza il quale non vi e’ inerenza . Un costo inerente influisce direttamente s Si rigetta il motivo ulla massa dei ricavi e non di un singolo ricavo. Nella fattispecie concreta la societa ‘ non ha dato la prova di questa stretta biunivocità ».
Avverso tale statuizione la società propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
La ricorrente deposita memoria in cui dà atto dell’intervenuta assoluzione in sede penale, con sentenza irrevocabile (che allega), del proprio legale rappresentante, NOME COGNOME dall’ imputazione del reato di cui all’art. 2 del d.lgs. 74/2000 contestatogli anche con riferimento ai fatti oggetto del presente giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la «illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. sia in riferimento alla soggettiva inesistenza delle operazioni sia in riferimento alla consapevolezza della contribuente di partecipare ad un meccanismo fraudolento in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.»
1.1. Premette la ricorrente che la sentenza presenta «gravissimi vizi espositivi, che appaiono evidenti dalla mera lettura del testo riportato al punto II, che hanno reso difficile la comprensione delle ragioni poste alla base della decisione e che, in certi punti, sono sfociati in un vero e proprio vizio di carenza di motivazione».
1.2. Precisa, comunque, che «la sentenza impugnata merita innanzitutto di essere cassata in quanto l’impianto logico motivazionale, per quanto è stato possibile comprendere, risulta essere:
carente della concreta verifica degli elementi giustificanti la pretesa erariale, costituiti dalle ragioni di inesistenza soggettiva delle operazioni sottese alle fatture, presupposto del recupero da indebita detrazione Iva e indebita deduzione di costi;
carente della verifica di elementi a conferma della diligenza prestata dal contribuente nella gestione dei rapporti commerciali con ciascun fornitore;
fondato su elementi estranei alla fattispecie in esame e comunque su requisiti non previsti dalla giurisprudenza espressasi in tema di onere probatorio posto a carico del contribuente nelle false fatturazioni soggettive».
1.3. «In considerazione della complessità della vicenda e delle diverse figure coinvolte, la Corte di secondo grado avrebbe dovuto indicare, anche in via sommaria, per ciascun fornitore, gli elementi probatori dai quali era giunta a trarre la conclusione per cui il medesimo risulta essere effettivamente una cartiera; al contrario, i
giudici si sono limitati a riportare indicazioni assolutamente vaghe che hanno le caratteristiche di mere formule di stile e che non consentono di effettuare una verifica della sussistenza degli elementi probatori richiesti dalle norme in questione».
1.4. Sostiene, ancora la ricorrente che la CTR, nel ritenere sussistente una colpa grava in capo alla RAGIONE_SOCIALE per non aver assunto informazioni commerciali complete da società con esperienza secolare sul mercato italiano e per non aver stipulato polizze assicurative, hanno di fatto preteso dalla società contribuente «un grado di diligenza e di accortezza che non è quella individuata dalla giurisprudenza, ma che è ad un livello impossibile da soddisfare nell’ambito di una qualsivoglia attività commerciale».
1.5. Lamenta, quindi, la ricorrente la completa pretermissione da parte della CTR della «documentata attività di verifica posta in essere dalla contribuente nei confronti dei sopra citati fornitori», effettuata attraverso l’acquisizione di copia delle visure so cietarie nonché dei documenti di identità dei legali rappresentanti, pure prodotti in giudizio; «neppure viene considerata la corrispondenza scambiata tra le parti, che attesta la sussistenza di rapporti effettivi tra RAGIONE_SOCIALE e i fornitori».
1.6. Evidenzia, inoltre, che il legale rappresentante della società contribuente era stata assolto dai reati contestatigli con riferimento ai fatti oggetto del presente giudizio con sentenza irrevocabile (allegata al ricorso) che aveva escluso la consapevolezza del COGNOME della natura di cartiere delle società fornitrici.
Con il secondo motivo viene dedotta la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e dell’art. 36 D.Lgs. n. 546/1992 per omessa motivazione in merito alla sussistenza o meno di elementi probatori in ordine alla buona fede del contribuente in relazione all’art. 360 c omma 1 n. 4 c.p.c.».
2.1. La ricorrente, «in subordine, in caso di mancato accoglimento del precedente motivo di ricorso, censura la sentenza di secondo grado, sempre nella parte in cui ha respinto il motivo di appello inerente l’erronea valutazione dell’onere probatorio gravante sull’Amministr RAGIONE_SOCIALE in caso di contestazione di fattura soggettivamente inesistenti, anche in quanto sostanzialmente carente di motivazione. Come già evidenziato nel motivo precedente, i giudici dell’appello hanno ritenuta provata la presunta inesistenza soggettiva delle prestazioni fatturate dagli undici fornitori senza aver effettuato alcuna analisi sia in relazione alla natura del singolo venditore, sia in relazione alla sussistenza o meno degli indici rivelatori della consapevolezza di RAGIONE_SOCIALE di partecipare ad una frode fiscale, omettendo quindi di valutare e di dare conto, con congrua motivazione, dell’effettiva sussistenza congiunta delle predette circostanze».
2.2. «Nel caso di specie, pur sussistendo nella pronuncia un’apparente giustificazione in ordine alla statuizione sul rigetto del motivo di appello, in realtà non è dato sapere in base a quali elementi i giudici abbiano ravvisato in capo a ciascun fornitore la ritenuta generica assenza di congruità tra l’azienda, per dimensioni e capacità tecniche e le operazioni fatturate tali da poterlo qualificare quale cartiera».
Con il terzo motivo deduce la illegittimità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (sussistenza di rapporti effettivi tra RAGIONE_SOCIALE e i fornitori) che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.», « ossia la sussistenza di un effettivo rapporto commerciale tra RAGIONE_SOCIALE e i propri fornitori, che risulta peraltro ampiamente documentata in giudizio».
Con il quarto motivo deduce la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e dell’art. 36 D.Lgs. n.
546/1992 per omessa motivazione in ordine al rigetto del motivo di appello inerente l’illegittimità della contestazione di inesistenza oggettiva delle prestazioni in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.».
Con il quinto motivo deduce la «violazione dell’art. 109 comma 5 del Tuir per falsa interpretazione del concetto di inerenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.» con riferimento al recupero dei costi per consulenze finanziarie di cui alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE
Vanno esaminati preliminarmente, per evidenti ragioni di priorità logico-giuridica, il secondo e quarto motivo di ricorso, incentrati sul vizio di difetto di motivazione della sentenza impugnata, che sono fondati e vanno accolti.
Nel presente giudizio si verte in materia di operazioni sia soggettivamente che oggettivamente inesistenti. In relazione alle prime, l’orientamento giurisprudenziale (cfr. tra le tante, Cass. n. 9851 del 10/04/2018; Cass. n. 5339 del 27/02/2020; Cass. n. 15369 del 20/07/2020; da ultimo Cass. n. Cass. 25891/2023; in linea con Corte di giustizia, 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14 e, recentemente, 11 novembre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C-281/20) è consolidato nel ritenere che tale tipo di operazioni fraudolenti, presupponendo, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice della fattura o della prestazione dei servizi in essa indicati e, dall’altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce o la prestazione del servizio da soggetto economico diverso da quella risultante dalla fattura emessa, ricade sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura è stata posta in essere da soggetto diverso dall’emittente della fattura (senza necessità di individuazione del diverso soggetto), indicando gli elementi presuntivi o anche solo
indiziari sui quali fonda la contestazione, tra cui, a titolo esemplificativo, che il cedente o prestatore del servizio, che ha emesso la fattura, era privo di idonea struttura organizzativa, ovvero di locali, di mezzi, di personale, di utenze (cfr., in materia di prova della natura di società cartiera, Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851, punto 6.8).
7.1. L’amministrazione finanziaria deve inoltre provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, che non si sostanzia nella prova della partecipazione del soggetto all’accordo criminoso né nella prova della sua piena consapevolezza della frode, ma solo che il contribuente «sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale» (in linea con la Corte di giustizia si precisa che egli ‘disponeva di indizi id onei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente’).
7.2. Una volta accertato che l’amministrazione finanziaria ha assolto il proprio onere probatorio, questo si sposta sul contribuente che deve dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, ovvero che l’operazione è effettiva mente intercorsa tra i soggetti risultanti dalla fattura, con la precisazione però che non è sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
7.3. Al contribuente che non riesca a fornire tale prova, per non essere coinvolto in una tale situazione e, quindi, per poter contabilizzare la fattura relativa all’operazione contestata, non rimane altra via che quella di provare di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale messa in atto
dal oggetto emittente la fattura, e ciò deve fare dimostrando di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.
7.4. In relazione alle operazioni oggettivamente inesistenti, gli oneri probatori oneri probatori ed il loro riparto sono sostanzialmente identici a quanto detto con riferimento alle operazioni soggettivamente inesistenti, con la peculiarità che l’amministrazio ne finanziaria è tenuta a fornire solo indizi di inesistenza oggettiva delle stesse ma non dell’elemento soggettivo poiché se l’operazione non è mai avvenuta non può che esservi consapevolezza della sua inesistenza e, di contro, il contribuente, una volta che l’amministrazione finanziaria abbia assolto al proprio onere, è tenuto soltanto a fornire la prova dell’esistenza dell’operazione contestata.
7.5. Quanto ai doveri del giudice tributario, questi, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto con cui l’amministrazione finanziaria contesta l’inesistenza soggettiva di un’operazione economica, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ.
7.6. Degli esiti della valutazione degli elementi presuntivi o anche indiziari forniti dall’amministrazione finanziaria, nonché degli eventuali elementi di prova contraria forniti dal contribuente, il giudice tributario deve dare ragionata illustrazione nella motivazione della sentenza, non potendosi limitare ad enunciare in sentenza il risultato del proprio ragionamento, omettendo di indicare gli
elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indicandoli senza un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, ma anche di verificare se ha giudicato iuxta alligata et probata .
7.7. E’, quindi, nulla la sentenza che dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, contenga una motivazione che non consente di “comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato”, non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi ” (Cass. Sez. U., n. 22232 del 3/11/2016).
7.8. Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, n. 22232 del 2016, cit.; Cass. sez. 6- 5, ord. n. 14927 del 15/6/2017 conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019; cass. n. 29124/2021). Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto
dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021).
In tale grave forma di vizio incorre la sentenza impugnata che deve ritenersi del tutto insufficiente sul piano della logica giuridica in quanto i giudici di appello , nonostante l’amministrazione finanziaria avesse contestato alla società contribuente l’utilizzo di fatture inesistenti emesse da ben undici diverse società, si sono limitati ad affermare, con riferimento alle contestate operazioni soggettivamente inesistenti, che l’Agenzia delle entrate aveva fornito la prova «che i fornitori della ricorrente erano cartiere perche’ non avevano azienda o a dimensioni e capacità tecniche non congrui con le operazioni in discussione», senza specificare a quali delle diverse società apparteneva l’una o l’altra carenza e da quali elementi probatori ciò risultasse.
Al limite della comprensibilità è, invece, il rigetto del motivo di appello proposto dalla società contribuente con riferimento alle operazioni oggettivamente inesistenti, che i giudici di appello così motivano: « Il giudice di fronte alle motivazioni di parte puo aderire ad una parte e cio e’ leggittimo , quanto all’adozione di tali motivi acriticamente i primi giudici . invece contestano l’effettivita’ delle operazioni alle mancanza della quale la contribuente non porta niente di sostanziale ».
Anche a voler ricavare da tale passo argomentativo la condivisione da parte della CTR della statuizione resa sul punto dai giudici di primo grado, deve ricordarsi che la sentenza d’appello può essere motivata per relationem a quella di prime cure, purché, tuttavia, il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a
quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (Cass., Sez. 1, 5.8.2019, n. 20883, Rv. 654951-01): ne consegue che è meramente apparente, non costituendo espressione di un autonomo processo deliberativo, la motivazione della sentenza di appello -la quale va pertanto cassata – che, attraverso una relatio alla decisione di prime cure, si limiti -come nel caso di specie – ad una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni ivi svolte, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (arg. da Cass., Sez. L, 5.11.2018, n. 28139, Rv. 651516-01; Cass., Sez. L, 25.10.2018, n. 27112, Rv. 651205-01).
L’ accoglimento del secondo e quarto motivo di ricorso assorbe il primo ed il terzo.
Resta da esaminare il quinto, incentrato sulla deducibilità dei costi sostenuti dalla società contribuente per consulenze finanziarie rese in suo favore dalla RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è fondato e va accolto.
Deve ricordarsi che è consolidato l’orientamento di questa Corte in materia di inerenza dei costi di impresa. Si afferma che «In tema di imposte sui redditi delle società, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dall’art. 75, comma 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, ora art. 109, comma 5, del medesimo d.P.R., riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese,
perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo» (Cass. n. 450 del 2018; conf. Cass. n. 22938 del 2018; Cass. n. 29404 del 2019; Cass. n. 30366 del 2019); Cass. n. 33568 del 2022).
14.1. La CTR non si è attenuta a tale principio allorquando ha affermato che, ai fini della sussistenza dell’inerenza, la ‘biunivocità’ «tra la spesa e l’oggetto di riferimento» andava valutata sulla massa dei ricavi e non del singolo ricavo. Infatti, seppur abbia fatto distinzione tra ricavo singolo o complessivo della società, ha valutato la spesa con riferimento alla sua utilità concreta, invece esclusa in base al citato principio giurisprudenziale.
15. Conclusivamente, vanno accolti il secondo, il quarto e quinto motivo di ricorso, restando assorbiti il primo e terzo. La sentenza d’appello va quindi cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo, quarto e quinto motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 15 gennaio 2025