Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13627 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13627 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
AVV. ACC. IRPEF 2006
–
2007 – 2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22821/2016 R.G. proposto da:
CONSIGLIO ANNUNZIATINA, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA 1213/2016, depositata in data 4 marzo 2016.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 marzo 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entratedirezione provinciale di Lodi – emetteva nei confronti di NOME COGNOME, gli avvisi di accertamento n. T9R01E200755, n. T9R01E200756 e n. T9R01E200755 ai fini IRPEF, per gli anni di imposta 2006, 2007 e 2008, con i quali
rideterminava sinteticamente il reddito complessivo ex art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertando un reddito di € 40.259,00; la rettifica originava dal riscontro, operato dall’Ufficio, della disponibilità da parte del la contribuente di beni e situazioni indicativi di capacità contributiva quali, segnatamente: due autovetture immatricolate nel 2001e nel 2005, un appartamento di mq 85, un box di mq. 17, acquisto di un immobile per un importo di mq 140 e di un’altra autovettura nel 2015.
Avverso l’avviso di accertamento, la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Lodi; si costituiva l’Agenzia delle Entrate che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Lodi, con sentenza 120/2014 riuniva i ricorsi, e in parziale accoglimento, rideterminava i redditi accertati nella misura proposta dall’Ufficio in sede di adesione.
Contro tale sentenza proponeva appello la contribuente dinanzi alla C.t.r. della Lombardia; l’Ufficio si costituiva in giudizio chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 1213/2016, depositata in data 4 marzo 2016, la C.t.r. rigettata l’appello.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 18 marzo 2025 in prossimità della quale la ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato «Falsa applicazione dell’art. 53, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.)» la contribuente lamenta l’ error in iudicando, nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r ha ritenuto che l’appellante si sia limitata a riproporre acriticamente le
medesime censure avanzate in primo grado, senza esplicitare i motivi di gravame.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato «Violazione dell’art. 36, d.lgs. 546/1992. Difetto assoluto di motivazione (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.)» la contribuente lamenta l’ error in procedendo, nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r rende una motivazione apparente, o comunque inidonea a manifestare il percorso logico giuridico posto alla base della sentenza impugnata.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato «Omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.)», la contribuente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio , nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r ha omesso di esaminare la copiosa documentazione prodotta in secondo grado dalla ricorrente.
Il primo motivo è inammissibile.
Rileva, invero, il difetto di interesse in capo alla ricorrente atteso che la C.t.r., pur avendo accertato la genericità dei motivi di appello, non si era limitata a dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione procedendo invece poi alla disamina del merito della controversia.
Invero, l’interesse ad agire deve essere concreto ed attuale e richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore, senza che siano ammissibili questioni d’interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato
utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire. (Cass. 09/05/2024, n. 12733).
Il secondo motivo è fondato.
3.1. In tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2021, n. 27811). Il sistema del ‹‹redditometro›› collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta
salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588).
3.2. Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire,
in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, 37985; Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
3.3 Nella fattispecie in esame, la C.t.r. non ha fatto buon governo dei principi normativi e giurisprudenziali declinati ed ha addirittura
obliterato una motivazione della quale evincere l’iter logico giuridico sottostante allorquando si è limitata ad affermare che l’accertamento dell’Ufficio era sorretto da concreti elementi di fatto che portavano a ritenere la congruenza con il reddito sintetico individuato sulla base dei parametri che denotavano una capacità contributiva adeguata laddove l’appellante si era limitato a fornire le medesime giustificazioni già avanzate nel precedente grado di giudizio prive di documentazioni avente idonea valenza probatoria senza sostanzialmente contestare gli elementi utilizzati dall’Ufficio.
3.4. Indubbiamente, si tratta di una motivazione apparente, secondo l’accezione più volte illustrata da questa Corte (ex plurimis, Cass. 17/03/2023, n. 7908; Cass. 28/02/2023, n. 6037; Cass. 19/01/2023, n. 1618; Cass. 23/12/2022, n. 37770, che richiama Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) che ha sottolineato che «nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione». Pertanto, «a motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo
sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost.» (Cass. 30/06/2020, n. 13248 del 30/06/2020).
Dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso discende l’assorbimento del terzo motivo.
In conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso e, rigettato il primo ed assorbito il terzo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio del giudizio innanzi al giudice a quo, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e, rigettato il primo ed assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata con rinvio del giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2025.