Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14639 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14639 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
Oggetto: Ordinanza di sospensione ex art. 295 cod. proc. civ. – Motivazione apparente Regolamento di competenza ex art. 42 cod. proc. civ.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5757/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE a socio unico in Amministrazione Straordinaria, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale ha indi cato l’indirizzo pec EMAIL
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
e
NOME COGNOME
-intimato -avverso l ‘ordinanza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 151/15/2022, depositata in data 25 gennaio 2022. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 1° aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; l’Avv.
udito per la ricorrente principale e la ricorrente incidentale dello Stato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. L’undici dicembre 2012 RAGIONE_SOCIALE notificava alla RAGIONE_SOCIALE, a socio unico, la cartella di pagamento n. 07120120022966775, di euro 190.459.250,45, sulla base di due ruoli straordinari, formati dall’Agenzia delle entrate, che scaturivano da due avvisi di accertamento – uno per IRES, IRAP e uno per IVA per il periodo d’imposta 2007, emessi nei confronti di RAGIONE_SOCIALE fusa per incorporazione in RAGIONE_SOCIALE, che contestavano alla società: il primo, l’indebita deducibilità dei costi per operazioni soggettivamente inesistenti e perché connessi ad attività qualificabili come reato; il secondo, l’indebita detrazione dell’IVA di cui alle fatture di acquisto dal fornitore RAGIONE_SOCIALE in quanto relative ad operazioni oggettivamente inesistenti.
La cartella di pagamento – impugnata in questo giudizio – era diretta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, in qualità di cessionaria dell’azienda di RAGIONE_SOCIALE e, quindi, come responsabile in solido per i debiti tributari di quest’ultima, ai sensi dell’art. 14, comma 4, d.lgs. 14 dicembre 1997, n. 472, sul presupposto che la cessione dell’azienda fosse stata attuata in frode dei crediti tributari, e cioè per consentire a RAGIONE_SOCIALE di sottrarsi ai gravosissimi obblighi fiscali,
attraverso la cessione del patrimonio a RAGIONE_SOCIALE che, dal canto suo, si sarebbe consapevolmente prestata al disegno fraudolento, anche perché cedente e cessionaria appartenevano al medesimo gruppo societario, riconducibile alle stesse persone.
La contribuente impugnava la cartella innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, che, con sentenza n. 577/05/2013, rigettò il ricorso.
Avverso tale decisione la società interponeva appello innanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania; l’Agenzia delle entrate, nelle proprie controdeduzioni, dedusse che la società era stata sottoposta ad amministrazione straordinaria e perciò chiese l’interruzione del processo; RAGIONE_SOCIALE, nel proprio atto di costituzione, eccepì il difetto di legittimazione attiva dell’appellante e insistette per l’interruzione del giudizio; con comparsa d’intervento volontario si costituì Diego COGNOME, nella qualità di ex amministratore di RAGIONE_SOCIALE, insistendo per l’annullamento della cartella.
Il giudizio fu interrotto e riassunto dal COGNOME; il commissario straordinario della società appellante (NOME COGNOME COGNOME depositò atto di costituzione, insistendo per l’accoglimento del gravame.
La CTR accoglieva l’appello, e, in riforma della sentenza di primo grado, annullò la cartella di pagamento, per quanto ancora interessi, rilevando che: (a) sussiste la legittimazione processuale della società appellante; (b) è fondato il primo motivo d’appello concernente il vizio della cartella a causa dell’omessa notificazione a RAGIONE_SOCIALE degli avvisi prodromici alla cartella medesima, poiché, diversamente da quanto enunciato dalla CTP, la responsabilità illimitata prevista dall’art. 14, comma 4, cit., qualifica il rapporto tra cedente e cessionario dell’azienda come un rapporto solidaristico di tipo paritario, con la conseguenza che, in tale ipotesi – che si discosta da quella del primo comma dello stesso articolo (che configura, in capo al cessionario, una solidarietà dipendente, perché
l’obbligazione di quest’ultimo non ha un fatto generatore autonomo, ma dipende dall’esistenza dell’obbligazione principale del cedente) anche al cessionario va riconosciuto il diritto a ricevere gli atti impositivi; (c) tale motivo di gravame assorbe la censura di mancata allegazione, alla cartella, degli avvisi d’accertamento in essa richiamati; (d) l’appellante ha piena legittimazione a fare valere eccezioni che spetterebbero alla debitrice principale (RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE) in punto di regolarità della notifica degli avvisi ad essa indirizzati, e, in effetti, tale notifica, testualmente, «non ha rispettato i dettami dell’art. 60 comma 4, del dpr 600/73 e dell’art. 142 cod. proc. civ. (notificata a società avente sede all’estero)»; (e) sono invece infondate le censure circa l’illegittimità dell’iscrizione nei ruoli straordinari – che trova la propria giustificazione nella notevole entità del carico iscritto, e nella cancellazione della società cedente dal registro delle imprese – e circa la mancata indicazione, in cartella, del titolo di responsabilità della cessionaria, in quanto in tale atto si fa riferimento all’art. 14, cit., e, ancora, in punto di omessa indicazione del responsabile del procedimento, trattandosi di una figura non immutabile, che può cambiare nel corso dell’iter amministrativo.
Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia proponeva ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi:
«nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. n. 546 del 1992, cit.» per avere la CTR omesso di pronunciarsi sull’eccezione pregiudiziale di carenza di legittimazione ad intervenire del dott. NOME COGNOME;
«violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 14 del d.lgs. n. 472/97, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.» per avere la CTR erroneamente ritenuto che la cartella di pagamento notificata alla
società fosse nulla a causa della mancata notifica dei prodromici avvisi di accertamento emessi nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, in quanto i princìpi enunciati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 219 del 1991) non troverebbero applicazione nel caso di specie, ma riguarderebbero soltanto l’ipotesi di responsabilità limitata del cessionario dell’azienda, ex art. 14, comma 1, del d.P.R. n. 600/1973, e non anche quella del comma 4 dello stesso articolo, che si riferisce alla cessione d’azienda in frode, nella quale la responsabilità del cessionario sarebbe «paritaria» e non «dipendente»; l’ufficio censurava la sentenza impugnata per avere trascurato che le norme in tema di accertamento (art. 42, d.P.R. n. 600/1973) prevedono che l’atto impositivo sia notificato soltanto al contribuente principale e non fanno cenno ad altri soggetti che, a vario titolo, possono essere tenuti al pagamento dell’imposta accertata; affermava, quindi, che alla fattispecie in esame erano applicabili i chiari princìpi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 219 del 1991;
«violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. n. 546 del 1992, cit.», per avere la CTR, nonostante il carattere assorbente dell ‘omessa notifica degli avvisi di accertamento, esaminato l’ulteriore questione della validità della notifica di tali atti alla cedente, debitrice principale, dichiarandone la nullità in quanto non conforme agli artt. 60, comma 4, del d.P.R. n. 600/1973, 142, cod. proc. civ., senza esternarne la ratio decidendi ;
«violazione e falsa applicazione dell’art. 60, comma 4, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546»;
«omesso esame di fatti decisivi che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n.
546» per avere la CTR affermato che l’A.F. aveva commesso un errore nell’individuazione dell’indirizzo della società destinataria della notifica degli avvisi e non aveva dimostrato la veridicità dei propri enunciati circa la sede della società; di contro, l’Ufficio aveva ripetutamente sostenuto (offrendone in giudizio riscontro documentale) che gli avvisi di accertamento erano sempre stati notificati al corretto indirizzo (in San Pau D’Ordal, ovvero in una cittadina che si trova nella provincia di Barcellona); la CTR non avrebbe tenuto conto delle decisive deduzioni e delle relative prove, attestanti la piena legittimità del procedimento notificatorio degli avvisi.
La contribuente resisteva con controricorso, spiegano ricorso incidentale, affidato a quattro motivi:
a) «erroneità della sentenza per violazione dell’art. 15 bis del d.p.r. n. 602/1973 (in relazione all’art. 360, comma 1, del c.p.c.)» per avere la CTR trascurato che, ai fini dell’iscrizione delle somme pretese dall’erario nei ruoli straordinari, è necessaria la notifica di un valido avviso di accertamento (anche non definitivo), mentre, in base agli stessi enunciati del giudice d’appello, nella specie nessun avviso di accertamento era stato notificato al cedente; sotto altra angolazione giuridica, la CTR aveva erroneamente valorizzato, quale presupposto per l’iscrizione dei crediti nei ruoli straordinari, la consistenza delle somme richieste, mentre invece il corretto antecedente normativo di tale iscrizione consiste nella sussistenza di un fondato pericolo, circa la riscossione dei medesimi importi, riferibile al cessionario;
b) «erroneità della sentenza per violazione dell’art. 14, comma 4 del d.lgs. n. 472/1997 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, del c.p.c.)», per avere la CTR ritenuto che, nella cartella, fosse indicato il titolo di responsabilità illimitata con il mero riferimento all’art. 14, d.lgs. n. 472/1997, mentre tale disposizione, quale norma eccezionale per i suoi effetti in capo al cessionario dell’azienda, impone che nella cartella siano illustrati i presupposti e le
conseguenze dell’estensione della responsabilità a carico del detto coobbligato solidale;
«erroneità della sentenza di seconde cure per violazione dell’art. 36, comma 4 ter, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, del c.p.c.)» per avere la CTR reputato non essenziale l’indicazione, nella cartella, del responsabile del procedimento, mentre l’art. 36 cit., al fine di garantire il criterio di legalità, impone di indicare il responsabile del procedimento effettivo al momento della notificazione, essendo irrilevante, invece, il principio di mutabilità (del responsabile del procedimento) evocato dal giudice d’appello a sostegno del proprio enunciato;
«erroneità della sentenza di seconde cure per omessa pronuncia, violazione di legge. Violazione ed errata applicazione dell’art. 112 del c.p.c. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, del c.p.c.)», per non avere la CTR scrutinato la questione, illustrata nel sesto motivo d’appello, relativa alla nullità assoluta della cartella (o anche degli avvisi di accertamento ad essa prodromici), ove fosse stata sottoscritta da un funzionario incaricato di funzioni dirigenziali, che non fosse vincitore di concorso pubblico per un ruolo dirigenziale, trattandosi di una questione risolta dalla Corte costituzionale (giusta sentenza n. 37 del 2015), in senso favorevole alla prospettazione difensiva della società.
3.1. Questa Corte, con ordinanza n. 26480/2020, accoglieva il primo, il secondo ed il quinto motivo di ricorso principale, assorbiti gli altri, così motivando:
in relazione al primo motivo, «la doglianza dell’Agenzia, volta a identificare le «giuste parti» del processo, poggia sul principio giuridico, disatteso dalla Commissione regionale, per il quale possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio soltanto i soggetti che, insieme al ricorrente, siano destinatari dell’atto impugnato o siano parti nel rapporto controverso (nell’enunciare la regula iuris , Cass. 10/12/2019, n. 32188, ha
ritenuto inammissibile l’intervento volontario adesivo dipendente nel giudizio di secondo grado in materia di sanzioni emesse a carico del coobbligato solidale)»;
-in relazione al secondo, «è utile comporre il quadro giurisprudenziale di riferimento, delineato da questa Sezione tributaria (Cass. 14/03/2014, n. 5979), secondo cui: «le disposizioni dell’art. 14 del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 472 introducono misure antielusive a tutela dei crediti tributari, di natura speciale rispetto alla ordinaria disciplina dell’art. 2560 co.2 c.c., evitando che, attraverso il trasferimento dell’azienda o di un ramo d’azienda, od anche mediante il trasferimento frazionato di singoli beni appartenenti al complesso aziendale, l’originaria generale garanzia patrimoniale del debitore possa essere dispersa in pregiudizio dell’interesse pubblico alla riscossione delle entrate finanziare. Tali misure, che trovano giustificazione nella particolare rilevanza che il complesso dei beni destinati all’esercizio di una attività economica organizzata assume rispetto alla generale responsabilità patrimoniale cui il debitore è tenuto ai sensi dell’art. 2741 c.c., si risolvono nella previsione di una responsabilità solidale e sussidiaria del soggetto cessionario per i debiti tributari gravanti sul soggetto cedente, modulata secondo una diversa estensione correlata al legittimo affidamento ingenerato dalle informazioni fornite dalla Amministrazione finanziaria al soggetto cessionario, venendo la norma a distinguere nettamente la ipotesi di cessione d’azienda conforme a legge (art. 14 commi 1, 2 e 3) dal negozio di cessione d’azienda in frode al Fisco (art. 14 commi 4 e 5), nel primo caso conformando la responsabilità del soggetto cessionario come sussidiaria (beneficium excussionis) e limitata nel “quantum” (entro il valore della cessione della azienda o del ramo di azienda) e nell’oggetto (con riferimento alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal soggetto cedente nel triennio anteriore il trasferimento dell’azienda o del ramo, ovvero relative a violazioni commesse anche anteriormente, per sanzioni od imposte già
irrogate o contestate – nel triennio – comma 1 -, ovvero entro i limiti del “debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’Amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi” – commi 2 e 3 -) secondo un criterio incentivante volto a premiare la diligenza del soggetto cessionario nell’acquisire dagli Uffici finanziari, prima della conclusione del negozio traslativo, le informazioni sulla posizione debitoria del soggetto cedente nei confronti del Fisco; nel secondo caso (accordo fraudolento), escludendo espressamente ogni precedente limitazione di responsabilità del cessionario (art. 14 comma 4), ed introducendo una presunzione legale “iuris tantum” di cessione in frode “quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante” (art. 14 comma 5)»; questa Corte, nella stessa sentenza, si è premurata di aggiungere che, in caso di cessione in frode del fisco (art. 14, comma 4, cit.): « vengono espressamente meno, come specificamente indicato dalla norma, tutte le limitazioni alla responsabilità del cessionario previste dai precedenti commi. La “ratio legis” della disposizione del comma 4 appare chiara: il “consilium fraudis” tra cedente e cessionario di azienda è in danno dell’Erario e si attua attraverso il trasferimento della proprietà dei beni aziendali del cedente riducendo in tal modo la garanzia patrimoniale del debitore a soddisfazione dei crediti tributari. Il concorso delle parti contraenti nell’illecito fiscale esclude ogni ragione di tutela del soggetto cessionario (quale parte dell’accordo fraudolento in danno dell’Erario) in ordine al legittimo affidamento sulla situazione debitoria del cedente e dunque esclude alla radice la esigenza di limitare la responsabilità solidale del cessionario di azienda (o di ramo di azienda, o frazionatamente dei singoli beni del complesso aziendale) ad un ambito cronologico predefinito (comma 1) o al debito attestato negli atti dell’ufficio al momento della cessione (comma 2 e 3), con la conseguenza che, venuti meno i limiti previsti nei precedenti commi dell’art. 14, la responsabilità solidale di cui al
comma 4 non potrà che essere considerata illimitata e quindi riferita anche a debiti tributari inevasi dal soggetto cedente pure se anteriori il triennio del trasferimento di azienda ed anche se accertati soltanto in data successiva alla cessione» (conf.: Cass. n. 24425/2008; n. 23380/2009, n. 5979/2014, n. 9219/2017, n. 17264/2017, n. 31654/2019)»;
«nel solco della consueta giurisprudenza di legittimità, si rileva, in sintesi, che la norma in esame (art. 14, cit.), accanto alla responsabilità del cedente per i tributi gravanti sull’azienda ceduta, pone la responsabilità solidale del cessionario d’azienda, della quale modula diversamente l’estensione, a seconda che si verta in ipotesi di cessione conforme alla legge (primi tre commi dell’art. 14) o di cessione in frode dei crediti tributari (quarto e quinto comma dell’art. 14); tanto nella prima ipotesi (responsabilità solidale, sussidiaria e limitata, del cessionario) che nella seconda ipotesi (responsabilità solidale ed illimitata del cessionario) è escluso che al cessionario debba essere notificato l’avviso di accertamento diretto al cedente, in mancanza di un’espressa deroga al principio generale secondo cui l’avvio di accertamento è notificato al contribuente (art. 42, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) e non ad altri soggetti che, a vario titolo, possano essere tenuti al pagamento dell’imposta accertata»;
– in relazione al quinto motivo, «questa Corte di legittimità ha reiteratamente affermato che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del
proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7/04/2017, n. 9097; 07/03/2018, n. 5355); nella fattispecie, le lacune dell’esame e dell’apprezzamento delle circostanze di fatto, da parte della Commissione regionale, stigmatizzate dall’Agenzia, si riflettono in un percorso argomentativo altrettanto carente, sul piano logico-giuridico; laddove la CTR ha stabilito che la notifica all’estero degli avvisi di accertamento non era conforme a diritto e che l’A.F. non aveva dato prova dell’irreperibilità di RAGIONE_SOCIALE ha commesso l’errore di non prendere in considerazione la decisiva circostanza, dedotta dall’ufficio e confermata dall’avviso di ricevimento riprodotto (in ossequio al principio d’autosufficienza) nel ricorso per cassazione, secondo cui la notifica, in Spagna, alla società era stata tentata, ritualmente, presso la sede legale di quest’ultima in «Sant INDIRIZZO (Barcellona) INDIRIZZO» e non era andata a buon fine, a quell’indirizzo, in quanto l’ente collettivo destinatario della notifica era risultata «desconocido» al medesimo recapito».
3.2. Il ricorso incidentale veniva rigettato con la seguente motivazione:
-il primo motivo veniva respinto poiché «la doglianza concernente l’illegittimità dell’iscrizione delle somme oggetto di causa nei ruoli straordinari in assenza della (necessaria e preventiva) notifica, al cedente, dell’atto impositivo, è assorbita dall’accoglimento del quinto motivo del ricorso principale, in quanto, cassata la sentenza, spetterà al giudice del rinvio verificare se la notifica dell’avviso propedeutico all’iscrizione nei ruoli straordinari delle imposte si fosse o meno perfezionata; da un’altra prospettiva, è il caso di ricordare che l’iscrizione nei ruoli straordinari dell’intero importo delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, risultante dall’avviso di accertamento (anche se non definitivo), prevista, in caso di fondato pericolo per la riscossione, dagli artt. 11 e 15-bis,
del d.P.R. n. 602/1973, costituisce misura cautelare posta a garanzia del credito erariale (Cass. 13/01/2017, n. 758); con riferimento al motivo di ricorso, la critica della società non è condivisibile in quanto la CTR, con un apprezzamento di fatto, incensurabile in questa sede di legittimità, illustrando con chiarezza le ragioni del decidere, ha ravvisato gli estremi dell’esigenza cautelare, a causa della consistenza economica del credito erariale (oltre 190 milioni di euro) e della circostanza che la società cedente era stata cancellata dal registro delle imprese»;
– il secondo motivo veniva rigettato evidenziandosi come «la tesi della contribuente trascura il saldo canone nomofilattico, riaffermato anche di recente (Cass. 04/12/2019, n. 31605), in punto di requisiti essenziali della cartella che, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l’apposito modello approvato con d.m. e prevede solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice, la cui carenza (nella fattispecie) non risulta esse stata prospettata dall’interessata»;
– anche il terzo motivo veniva ritenuto infondato: «in tema di diritti e garanzie per il contribuente, sono nulle le cartelle di pagamento relative ai ruoli consegnati successivamente al 01/06/2008 prive dell’indicazione della persona responsabile del procedimento, a prescindere dalla funzione (apicale o meno) effettivamente esercitata, trattandosi di informazione volta ad assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa (Cass. 13/05/2019, n. 12687); erra, quindi, la contribuente nel rimproverare alla Commissione regionale di non avere dichiarato la nullità della cartella per l’omessa indicazione del soggetto responsabile del procedimento non già al momento dell’emissione della cartella, bensì nel diverso segmento cronologico – invero
irrilevante ai fini della regolarità formale della cartella – della sua notificazione al destinatario;
il quarto motivo era dichiarato inammissibile poiché «la critica in esso enunciata è priva di decisività in quanto la contribuente ha prospettato la nullità della cartella, perché non sottoscritta da un funzionario con la qualifica dirigenziale, in termini puramente ipotetici (cfr. pag. 60 del controricorso: «se la cartella di pagamento fosse stata sottoscritta da un funzionario “incaricato di funzioni dirigenziali”»), senza neppure allegare (come invece sarebbe stato necessario affinché la questione avesse carattere dirimente) che, in effetti, nella specie la cartella era stata emessa da un funzionario privo di qualifica dirigenziale».
3.3. In definitiva, questa Corte, accolti il primo, il secondo e il quinto motivo del ricorso principale, assorbiti il terzo e il quarto, rigettati il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale e dichiarato inammissibile il quarto, cassava la sentenza impugnata, in relazione ai motivi del ricorso principale accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Il giudizio veniva riassunto dalla contribuente con due identici atti (rubricati ai NN.RR.GG. 3729/2012 e 3732/2021): dopo aver riproposto i motivi 2, 3 e 7 dell’originario atto di appello, la società chiedeva, in via subordinata, la declaratoria della cessazione della materia del contendere in relazione agli importi (oltre 15 milioni di euro) versati dall’allora compag nia di assicurazione RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE ( oggi RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE) in virtù dell’escussione, da parte dell’Agenzia, delle polizze fi deiussorie stipulate ex art. 6 D.M. n. 11065/1979.
La CTR, previa riunione dei procedimenti, sospendeva il procedimento ex art. 295 cod. proc. civ. con la seguente motivazione:
«visti gli atti di cui ai due procedimenti riuniti di che trattasi e valutata la ricorrenza degli estremi per l’adozione del provvedimento
di sospensione negli stessi sensi prospettati da ll’appellata Agenzia, per come poi ribadite all’udienza di discussione, non ravvisandosi nel contempo gli estremi per la declaratoria di cessazione della materia del contendere di cui alle conclusioni dell’appellante ».
Avverso la decisione della CTR in sede di rinvio propone ricorso ex artt. 42 e 47 cod. proc. civ. l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi.
La contribuente ha resistito con controricorso.
L’ADER ha depositato controricorso con ricorso incidentale adesivo.
All’udienza pubblica del 01/04/2025 il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dr. NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso. L’avvocato dello Stato, NOME COGNOME ha chiesto accogliersi il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va, preliminarmente, affermata l’ammissibilità del ricorso proposto ai sensi dell’art. 42 cod. proc. civ. avverso l’ordinanza di sospensione ex art. 295 cod. proc. civ.; invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte «nel processo tributario, l’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo cui “non si applicano le disposizioni del codice di procedura civile sui regolamenti di competenza”, è inserito in un complesso normativo, integrante microsistema, contenuto negli artt. 4 e 5 del detto decreto, che riguarda la disciplina della competenza, essenzialmente per territorio, delle commissioni tributarie, e si riferisce soltanto alle questioni che queste possono essere chiamate a rendere in ordine a tale competenza, sicché, in conformità all’esigenza di tutelare i diritti fondamentali garantiti dagli artt. 24, comma 1, 111, comma 2, Cost. e 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, deve ritenersi che la norma sopra citata non esclude la proposizione del regolamento di
competenza avverso i provvedimenti di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., impugnazione senz’altro ammissibile alla stregua del combinato disposto degli artt. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 e 42 c.p.c.» (Cass. 20/06/2018, n. 16210).
2. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la « nullità dell’ordinanza per omessa e/o apparente motivazione. Violazione dell’art. 134 c.p.c. » . In particolare, l’ordinanza rinvia ad una non meglio precisata istanza formulata dall’Agenzia ed asseritamente reiterata in sede di discussione. Di contro, dal contenuto della comparsa depositata in sede di rinvio (riportata in parte nel corpo del ricorso per cassazione, ed allo stesso allegata per intero) e dai verbali di causa emerge che alcuna istanza di sospensione ex art. 295 cod. proc. civ. era stata formulata. Di qui la lamentata nullità dell’ordinanza in quanto carente di motivazione.
Analogo motivo risulta spiegato dall’ADER nel ricorso incidentale.
Il motivo è fondato.
1.1. Giova premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa
qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass., Sez. U., 07/94/2014 n. 8053).
Inoltre, la motivazione è solo «apparente» e la sentenza è nulla quando benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.).
Si è, più recentemente, precisato che «in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. 03/03/2022, n. 7090).
1.2 . I medesimi principi valgono anche nell’ipotesi in cui sia impugnato un provvedimento avente forma dell’ordinanza, dovendo questa essere motivata, benché succintamente (arg. ex Cass. 25/11/2010, n. 23977).
1.3. Nella specie la CTR ha sospeso il giudizio ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. ritenendo sussistenti i relativi presupposti ‘negli stessi sensi prospettati dall’appellata Agenzia’; ora, non solo il provvedimento non reca alcuna minima indicazione di tali ‘stessi sensi’, ma addirittura l’Agenzia non ha mai prospettato l’esistenza dei presupposti per disporre la sospensione del giudizio ex art. 295
cod. proc. civ.; nemmeno viene, infine, indicato quale sia il giudizio pregiudicante in attesa della definizione del quale viene sospeso il procedimento.
Trattasi, in definitiva, di affermazioni, apodittiche ed assertive, che non consentono in alcun modo di verificare le ragioni che hanno indotto la CTR a sospendere il giudizio.
L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo (con il quale l’Agenzia lamenta l’insussistenza, nella fattispecie, dei presupposti per disporre la sospensione).
In definitiva, va accolto il primo motivo dei ricorsi, assorbito il secondo, e l’ordinanza di sospensione va cassata; va ordinata la prosecuzione del giudizio innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, con la riassunzione nel termine di legge.
La CGT-2 provvederà a liquidare le spese processuali del presente regolamento di competenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo dei ricorsi, assorbito il secondo, cassa l ‘ordinanza impugnata e dispone la prosecuzione del giudizio n. 3729/2021 (vi è riunito il n. 3732/2021) RG pendente dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, con riassunzione nel termine di legge. La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania provvederà a liquidare le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio del 1° aprile 2025 e