Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 232 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 232 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
Avv. Acc. IRPEF 2006/2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27317/2015 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma presso il suo studio sito in INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore . elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende.
-resistente –
MINISTERO DELLE FINANZE, in p. del legale rappresentante pro tempore ,
–
intimata –
Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LAZIO n. 2377/28/2015, depositata in data 21 aprile 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Il contribuente riceveva notifica dall’Agenzia delle Entrate direzione provinciale Roma I -dell’avviso di accertamento n. TK3018306491/2011, relativo all’anno di imposta 2006 e dell’avviso di accertamento n. TK3018306498/2011 per l’anno di imposta 2008; la verifica recuperava a tassazione la maggiore imposta relativa al reddito IRPEF, operata induttivamente ex art. 38, comma quarto ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, riscontrando la presenza di beni indice di capacità contributiva non dichiarata. Avverso i detti avvisi di accertamento, il contribuente presentava distinte istanze di annullamento in autotutela . L’ufficio non forniva alcuna risposta, cosicché il contribuente avanzava distinte istanze di accertamento con adesione, accertamento che, tuttavia, aveva esito negativo.
Avverso gli avvisi di accertamento, il contribuente proponeva allora ricorso dinanzi la C.t.p. di Roma; resisteva l’ufficio con controdeduzioni.
La RAGIONE_SOCIALE Roma, con sentenza n. 3123/12/2014, rigettava il ricorso.
Contro la sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. del Lazio; resisteva l’ufficio con controdeduzioni .
Con sentenza n. 2377/28/2015, depositata in data 21 aprile 2015, la C.t.r. adita accoglieva parzialmente il gravame rideterminando, in diminuzione, il maggior reddito accertato al contribuente per le dette annualità.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’ Agenzia delle Entrate non ha notificato e depositato controricorso, ma ha prodotto mera nota di costituzione al dichiarato solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica .
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 30 novembre 2023.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Radicale nullità della sentenza impugnata per motivazione totalmente apparente; violazione della legge processuale (art. 36, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), in rapporto con l’art. 360, primo comma, n n. 4 e 5, cod. proc. civ.» il contribuent e lamenta l’ error in procedendo e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di contestazione tra le parti nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha reso una motivazione esigua e apparente laddove ha statuito che ‘ la parte si è limitata ad evidenziare movimenti economici con cui si sono operati gli acquisti su cui l’ufficio impositore ha fondato il proprio accertamento (e quindi con movimentazione bancaria e contratti ipotecari), senza tuttavia incidere sul profilo fondamentale, relativo alla congruità delle spese sostenute con il reddito prodotto. In base a tali emergenze probatorie la commissione condivide la valutazione con cui i giudici di primo grado hanno ritenuto che il contributo conoscitivo fornito in fase di contraddittorio, anche in sede di accertamento con adesione, sia stato sostanzialmente inidoneo a contrastare le valutazioni svolte dall’ufficio impositore, se non nei limiti delle riduzioni operate in via di autotutela ‘.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto)» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto di non dover dare nessuna rilevanza giuridica agli errori materiali, omissioni e manipolazioni, ampiamente documentati negli atti del processo di primo e secondo grado, nell’iter seguito per la rideterminazione del reddito sintetico.
Preliminarmente, va rilevata l’inammissibilità del ricorso notificato al Ministero delle Finanze perché il Ministero non rappresenta né l’Agenzia delle Entrate né l’eventuale ufficio
periferico della stessa (Cass. 11/04/2011, n. 8177); peraltro, in considerazione della costituzione dell’Agenzia dell’Entrate a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato, il ricorso non è inammissibile tout court perché la nullità del ricorso proposto nei confronti di soggetto privo di legittimazione ” ad causam ” è sanabile, con effetto ” ex tunc “, dal momento della costituzione in giudizio del soggetto passivamente legittimato, impedendo detta costituzione sempre e comunque l’inammissibilità per tardività del gravame, nel caso dei giudizi iniziati dopo il 30 aprile 1995, cui si applica l’art. 164, terzo comma, cod. proc. civ., come novellato dall’art. 9 della legge 26 novembre 1991, n. 353. (Sulla base di tale principio, la S.C., rilevato che il ricorso contro la cartella di pagamento per la restituzione della tassa di concessione governativa di iscrizione nel registro delle imprese, erroneamente rimborsata due volte al contribuente, era stato proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, lo ha dichiarato inammissibile, peraltro ritenendo sanato il difetto di contraddittorio per la spontanea costituzione dell’Agenzia delle entrate, quale parte legittimata).
Quanto alla disamina dei motivi, va premesso che la sentenza impugnata erroneamente, nell’ incipit , riferisce di applicazione di studi di settore, ma realtà si è in presenza di determinazione effettuata con metodo sintetico.
3.1. In tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare
che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2021, n. 27811). Il sistema del ‹‹redditometro›› collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla
loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588). Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le
spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, 37985; Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
3.2. Infine, nel contenzioso tributario conseguente ad accertamenti sintetici-induttivi mediante cd. redditometro, per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto passivo d’imposta costituisce principio a tutela della parità delle parti e del regolare contraddittorio processuale quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere abbia adempiuto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo relativa agli indici di spesa. (In applicazione del principio, la S.C., nella specie, ha cassato la sentenza della C.t.r. che aveva omesso di valutare la documentazione presentata dal contribuente relativa ad
operazioni di smobilizzo eseguite dal coniuge ed a versamenti bancari tracciabili concessi dai genitori, aventi elevati redditi annuali, alla base delle spese poste a fondamento dell’accertamento) (Cass. 08/10/2020, n. 21700).
4. Il primo motivo è fondato.
Risulta assolutamente obliterata la valutazione del compendio probatorio -dedotto in primo ed in secondo grado per come, in ossequio al principio di autosufficienza, ben evidenziato in ricorso -offerto nei gradi di merito dal contribuente ed elencati dalla pgg. 8 alla pgg. 20 del ricorso, essendosi la C.t.r. limitata ad affermare, tautologicamente, che ‘ la parte si è limitata ad evidenziare movimenti economici con cui ci sono operati di acquisti su cui l’ufficio impositore ha fondato il proprio accertamento (e, quindi, con movimentazione bancaria contratti ipotecari), senza tuttavia incidere sul profilo fondamentale, relativo alla congruità delle spese sostenute con il reddito prodotto. in base a tali emergenze probatorie la commissione condivide la valutazione con cui i giudici di primo grado hanno ritenuto che il contributo conoscitivo fornito in fase di contraddittorio, anche in sede di accertamento con adesione, sia stato sostanzialmente idoneo a contrastare le valutazioni svolte dall’ufficio impositore, se non nei limiti delle riduzioni operate in via di autotutela ‘.
4.1. Costituisce principio consolidato giurisprudenziale quello secondo cui la mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, si configura quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione -ovvero … essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue
argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (Cass., Sez. U., n. 8053/2014, con riferimento al nuovo testo dell’art. 360 cod. proc. civ., a seguito alla riforma di cui all’art. 54, comma 1, lett. b) del d.l. 22/06/2012, n. 83, conv. in l. 7/08/2012, n. 134, applicabile al caso in esame trattandosi di sentenza emessa dopo il 10 settembre 2012); successivamente tra le tante Cass. n. 6626/2022; Cass. n. 22598/2018).
4.2. Nel caso in esame, la C.t.r. ha deciso con una motivazione apparente che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie ed ipotetiche congetture.
5 . Dall’accoglimento del primo motivo di ricorso discende l’assorbimento del secondo motivo.
In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso e, assorbito il secondo, la sentenza va cassata ed il giudizio va rinviato al giudice a quo affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e
motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto contro il Ministero delle Finanze, nulla sulle relative spese, non essendosi costituito tale Ufficio.
P.Q.M.
La Corte, dichiarato inammissibile il ricorso contro il Ministero delle Finanze, ne accoglie il primo motivo nei confronti dell’Agenzia delle entrate e, assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinviando innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame e provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 30 novembre 2023.