Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9099 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9099 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
ATTO DI CONTESTAZIONE ED IRROGAZIONE SANZIONI 2004-2009.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27182/2017 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
– ricorrente –
contro
COGNOME, non costituito,
-intimato – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 4303/23/2017, depositata il 15 maggio 2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 gennaio 2025 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri;
FATTI DI CAUSA
1. l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale II di Napoli notificava, in data 10 dicembre 2012, a COGNOME atto di contestazione n. CODICE_FISCALE, con il quale, dopo avere proceduto ad una quantificazione delle disponibilità estere detenute in RAGIONE_SOCIALE dal 2004 al 2009 ed in RAGIONE_SOCIALE dal 2007 al 2009, ed in applicazione della disciplina sul ‘raddoppio dei termini’ di cui all’art. 20 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 ed all’art. 12, comma 2 -ter , d.l. 1° luglio 2009, n. 78, conv, dalla l. 3 agosto 2009 n. 102, contestava, per gli anni d’imposta dal 2004 al 2009: a ) l’omessa indicazione, nella dichiarazione dei redditi o nell’apposito modulo, degli investimenti o alt re attività finanziarie all’est ero, attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera d’impor to superiore ad euro 10.329,14, di cui all’art. 5, commi 4 e 6, del d.l. 28 giugno 1990, n. 167, conv. dalla legge 4 agosto 1990, n. 227 (nel testo vigente ratione temporis ); b ) l’omessa indicazione, nella dichiarazione dei redditi o nell’apposito modulo, dei trasferimenti da, verso e sull’estero relativi ad investimenti ed altre attività finanziarie all’estero, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, commi 5 e 6, d.l. n. 167/1990 .
Con tale atto di contestazione veniva quindi irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria unica di € 22.222.758,98, corrispondente al cumulo materiale delle sanzioni previste a fronte delle disposizioni violate.
Il contribuente impugnava il suddetto atto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli la quale, con sentenza n. 24739/40/2015, depositata il 9 novembre 2015, accoglieva parzialmente il ricorso, compensando le spese.
In particolare, la Corte di primo grado: a ) annullava l’atto di contestazione relativamente alle sanzioni irrogate per gli anni d’imposta 2004 e 2005, in quanto, per tali annualità, gli obblighi dichiarativi erano stati assolti dalla RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE e comunque per intervenuta decadenza dei termini per l’accertamento; b ) annullava le sanzioni irrogate per gli anni dal 2004 al 2008 ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.l. n. 167/1990, conv. dalla legge n. 227/1990, come richiesto dall’Ufficio in sede di memorie aggi untive; c ) rigettava per il resto il ricorso, confermando l’atto impugnato relativamente alle sanzioni irrogate ai sensi dell’art. 5, comma 4, d.l. n. 167/1990, rispettivamente per € 4.019.041,78 per l’anno 2006, € 2.012.972,12 per l’anno 2007 ed € 2.354.283,26 per l’anno 2008.
Interposto gravame sia dall’Agenzia delle Entrate che dal contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 4303/23/2017, pronunciata il 9 maggio 2017 e depositata in segreteria il 15 maggio 2017, rigettava entrambi gli appelli, confermando la sentenza impugnata e compensando le spese di lite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate , sulla base di cinque motivi (ricorso notificato il 16 novembre 2017).
Non si è costituito in giudizio NOME COGNOME rimasto intimato.
Con decreto del 3 ottobre 2024 è stata fissata per la discussione del ricorso l’udienza pubblica del 17 gennaio 2025.
All’udienza suddetta è comparso l’Avvocato dello Stato, in rappresentanza dell’Agenzia delle Entrate, che ha concluso come da verbale in atti.
E’ intervenuto il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, rigettato il resto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a cinque motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, comma 2, num. 4), c.p.c., nonché dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Deduce, in particolare, l’Ufficio che, con riferimento all’annullamento delle sanzioni irrogate ex art. 5, comma 4, d.l. n. 167/1990, per gli anni 2004 e 2005, la motivazione della sentenza impugnata era meramente apparente, consistendo essa in un richiamo per relationem alle motivazioni della sentenza di primo grado, senza dar conto di avere valutato criticamente e con autonomia sia il provvedimento censurato, sia le censure proposte.
1.2. Con il secondo motivo si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art . 12, comma 2ter , d.l. n. 78/2009, conv. dalla l. n. 102/2009, nonché dell’art. 20 del d.lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, l’Ufficio che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte regionale, esso aveva correttamente applicato, ai fini della contestazione, il raddoppio dei termini di cui all’art. 20 d.lgs. n. 472/1997, dovendosi applicare i termini previsti per l’accertamento riferibili ad investimenti ed attività detenute in cc.dd. ‘paradisi fiscali’, per i quali i termini dell’accertamento erano raddoppiati, senza alcuna necessità di accertare la sussistenza di un obbligo di denuncia per fatti penalmente rilevanti, ai sensi dell’art. 12, comma 2 -ter , d.l. n. 78/2009.
1.3. Con il terzo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 43, comma 3, d.P.R. n. 600/1973, e 57, comma 3, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, l’Ufficio ricorrente che , nel caso di specie, ricorrevano i presupposti per i reati di cui agli artt. 3, 4, 10 e 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, avendo il Ferlaino omesso di dichiarare, per diversi periodi d’imposta, redditi da capitale per oltre centinaia di migliaia di euro all’anno, con la conseguenza che sarebbe stato applicabile comunque il raddoppio dei termini per l’accertamento, secondo la normativa vigente ratione temporis .
1.4. Con il quarto motivo l’Agenzia delle Entrate censura l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Rileva, in particolare, che l’Ufficio aveva documentalmente provato in appello che alcun obbligo dichiarativo era stato assolto da parte della RAGIONE_SOCIALE s.p.a. nel quadro RW
della dichiarazione dei redditi, per cui l’apprezzamento di tale circostanza avrebbe dovuto essere valutata dalla C.T.R.
1.5. Con il quinto motivo, infine, viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. e 7 del d.lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 4, comma 3, d.l. n. 167/1990, conv. dalla l. n. 227/1990, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c.
Rileva, in particolare, la ricorrente che erroneamente la C.T.R. aveva escluso l’applicazione della normativa sul monitoraggio fiscale nei confronti del Ferlaino sulla base di un solo elemento, e cioè la dichiarazione resa dalla Finnat RAGIONE_SOCIALE s.p.a., e quindi su una dichiarazione di terzo, di per sé inidonea a costituire, da sola, il fondamento della decisione.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo, di natura preliminare, è fondato, con assorbimento degli altri.
Come è noto, il sindacato di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla verifica del rispetto del c.d. minimo costituzionale, nel senso che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza – nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Infatti, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c. , non è più consentito censurare in sede di legittimità la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione, essendo evidente che ammettere, in sede di legittimità, la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (da ultimo, Cass. 28 aprile 2023, n. 11263; Cass. 7 aprile 2023, n. 9543).
A tal proposito, la violazione del principio del c.d. minimo costituzionale è individuabile nei soli casi – che si tramutano in vizio di nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’articolo 132, comma 2, num. 4) c.p.c., e, nel processo t ributario, all’art. 36, comma 2, num. 4), d.lgs. n. 546/1992 – di «mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili» e di «motivazione perplessa od incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza della mera «insufficienza» o «contraddittorietà» della motivazione (Cass. 18 agosto 2023, n. 24808).
Ora, nel caso di specie la C.T.R. ha sostanzialmente motivato richiamando, per relationem , la motivazione della sentenza di primo grado.
Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, «la motivazione di una sentenza rappresenta l’elemento cardine che permette di comprendere il ragionamento seguito dal giudice nella formazione del suo convincimento. Quando tale motivazione, pur esistendo graficamente, non rende percepibile il fondamento della decisione e ricorre a argomentazioni che non permettono di conoscere tale ragionamento, si configura la nullità della sentenza per motivazione apparente. Non è infatti compito dell’interprete integrare la motivazione con ipotetiche congetture. Inoltre, la tecnica motivazionale per relationem è valida solo se i contenuti mutuati sono oggetto di autonoma valutazione critica e le ragioni della decisione sono espresse in modo chiaro, univoco ed esaustivo. Il giudice di appello, in particolare, è tenuto ad esplicitare le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado con riguardo ai motivi di impugnazione proposti. Una motivazione per relationem che non consenta di appurare l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello, deve considerarsi nulla» (Cass. 25 ottobre 2024, n. 27665; v. anche Cass. 11 aprile 2024, n. 9830: «In tema di contenzioso tributario, la sentenza di appello è nulla per difetto di motivazione, ai sensi degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., se è completamente priva dell’illustrazione delle censure sollevate dall’appellante rispetto alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la Commissione a disattenderle, limitandosi a richiamare per
relationem la sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, così da impedire l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento della decisione»).
Nel caso di specie questi principi non sono stati rispettati: l’Agenzia delle Entrate ha riportato, in ricorso, le censure sollevate nei confronti della sentenza di primo grado, esplicitando le ragioni per le quali, a suo dire, l’obbligo dichiarativo gravava comunque sul Ferlaino, ma a tali censure la C.T.R. non ha risposto in alcun modo, limitandosi ad aderire sic et simpliciter alla decisione di primo grado.
2.2. Stante il vizio totale di motivazione della sentenza impugnata, gli altri motivi devono ritenersi assorbiti
La sentenza impugnata deve quindi essere cassata con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025.