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Motivazione apparente: Cassazione annulla sentenza

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza tributaria per motivazione apparente. Il caso riguardava il recupero di un credito d’imposta utilizzato da un’azienda. La Corte ha ritenuto il ragionamento del giudice di secondo grado illogico e contraddittorio, rinviando il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione Apparente: La Cassazione Annulla e Rinvia

Una sentenza deve sempre spiegare in modo chiaro e logico perché il giudice ha preso una certa decisione. Quando questa spiegazione manca o è incomprensibile, si parla di motivazione apparente, un vizio grave che può portare all’annullamento della decisione stessa. La Corte di Cassazione, con la recente sentenza in esame, ha ribadito questo principio fondamentale in un caso riguardante crediti d’imposta, annullando una sentenza della Commissione tributaria regionale per la sua insanabile contraddittorietà.

I Fatti del Caso: un Credito d’Imposta Conteso

La vicenda ha origine da un contenzioso tra l’Agenzia delle Entrate e una società a responsabilità limitata. L’Ufficio contestava alla società l’indebito utilizzo di un credito d’imposta, previsto per investimenti in aree svantaggiate, per gli anni 2005, 2006 e 2007. Il credito era stato utilizzato in relazione all’acquisto di un terreno agricolo, bene che, secondo l’Agenzia, non rientrava tra i cespiti ammortizzabili previsti dalla normativa agevolativa.

L’Agenzia aveva emesso due atti di recupero del credito. La questione è passata attraverso i primi due gradi di giudizio con esiti contrastanti e poco chiari. La Commissione tributaria regionale, in particolare, aveva emesso una sentenza che accoglieva parzialmente le ragioni dell’Ufficio per un atto e confermava la decisione di primo grado per un altro, pur basandosi sugli stessi presupposti di fatto e di diritto.

Il Ricorso in Cassazione e la Motivazione Apparente

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione di secondo grado davanti alla Corte di Cassazione, sollevando diversi motivi, tra cui spiccavano la nullità della sentenza per motivazione apparente e la contraddittorietà della stessa.

Secondo l’Agenzia, il percorso logico-giuridico seguito dai giudici regionali era “assolutamente incerto”. Non era possibile comprendere perché, a fronte di due atti di recupero con identica motivazione, la Commissione avesse riconosciuto la legittimità parziale di uno e non dell’altro, creando una palese e insanabile contraddizione.

La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il primo e il terzo motivo di ricorso, ritenendoli fondati e assorbenti rispetto agli altri. Gli Ermellini hanno censurato la sentenza impugnata, definendo il suo percorso argomentativo “del tutto oscuro”.

La sentenza è stata annullata perché affetta da una grave “anomalia motivazionale”. I giudici di legittimità hanno spiegato che una motivazione non è solo un requisito formale, ma deve rendere percepibile il fondamento della decisione. Quando presenta affermazioni inconciliabili o è perplessa e oggettivamente incomprensibile, essa si considera “apparente” e, di conseguenza, la sentenza è nulla.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha richiamato i principi consolidati delle Sezioni Unite, secondo cui la motivazione apparente si verifica quando questa, “benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice”.

Nel caso specifico, la Commissione regionale aveva accolto un appello basato su certi motivi, ma allo stesso tempo aveva respinto un altro appello fondato sui medesimi motivi e presupposti (l’indebita utilizzazione di crediti d’imposta per l’acquisto di un terreno agricolo). Questo comportamento è stato giudicato “insanabilmente contraddittorio e illogico”. Mancava una spiegazione coerente che giustificasse la decisione differenziata su casi identici. Per questo motivo, la Corte ha cassato la sentenza e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia-Catania, in diversa composizione, affinché riesamini la vicenda fornendo una motivazione congrua e logica.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa sentenza riafferma un principio cardine del nostro ordinamento processuale: il dovere del giudice di motivare le proprie decisioni in modo chiaro, coerente e comprensibile. Una motivazione apparente o contraddittoria equivale a una non-motivazione e viola il diritto delle parti a comprendere le ragioni della decisione, oltre a rendere impossibile il controllo di legittimità. Per le parti in causa, ciò significa che una sentenza confusa o illogica può e deve essere impugnata. Per i giudici, rappresenta un monito costante a curare l’aspetto argomentativo delle proprie sentenze, garantendo così la trasparenza e la giustizia del processo.

Quando una motivazione di una sentenza è considerata “apparente”?
Una motivazione è considerata “apparente” quando, pur essendo presente nel testo, non rende comprensibile il ragionamento del giudice. Questo accade se è basata su argomentazioni generiche, astratte, contraddittorie o illogiche che non permettono di capire il fondamento della decisione.

Qual è stata la conseguenza della motivazione apparente in questo caso?
La conseguenza è stata l’annullamento (cassazione) della sentenza della Commissione tributaria regionale. Il caso è stato rinviato a un’altra sezione dello stesso organo giudiziario per un nuovo esame che dovrà concludersi con una decisione dotata di una motivazione chiara e coerente.

Perché il ragionamento del giudice di secondo grado è stato ritenuto contraddittorio?
Il ragionamento è stato ritenuto contraddittorio perché, a fronte di due atti di recupero fiscale basati sullo stesso identico presupposto (l’indebito utilizzo di un credito d’imposta per l’acquisto di un terreno agricolo), il giudice ha preso decisioni diverse e opposte senza fornire alcuna spiegazione logica per tale differenziazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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