Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24224 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24224 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13884/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentate e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore Notarini COGNOME cancellata dal registro delle imprese in data 10.9.2019, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME del foro di Avellino giusta procura speciale in atti
-controricorrente –COGNOME in qualità di ex socio della Hotel Rocce
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso la sentenza n. 8460/12/2021 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata in data 30.11.2021, non notificata;
udita la relazione svolta all’udienza camerale del 17.6.2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
OGGETTO: IRES- IVA
–
avviso di accertamento
–
difetto motivazione
sentenza di appello
–
violazione minimo
costituzionale.
1. L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la C.T.R. della Campania ha respinto l’appello avverso la sentenza n. 175/2019 della C.T.P. di Avellino, che aveva accolto il ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, notificato in data 3.10.2017, relativo all’anno di imposta 2011, con il quale, sulla scorta delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza di cui al P.V.C. notificato in data 8.3.2016, venivano rilevati, ai fini Ires ed Irap, l’indebita deduzione di costi e, ai fini Iva, l’indebita detrazione per euro 53.936,58, con applicazione della sanzione per infedele presentazione della dichiarazione Iva e per illegittima detrazione di imposta.
2. La C.T.R., nel rigettare il gravame dell’Ufficio, riteneva che i fatti storici oggetto di contestazione non fossero del tutto chiari. Condivideva la sentenza di primo grado nella parte in cui riteneva irrilevanti le indagini penali scaturite dagli accertamenti della Guardia di Finanza. Dirimente era l’argomento secondo cui non si prospettava la partecipazione della RAGIONE_SOCIALE ad un accordo per favorire l’evasione fiscale della RAGIONE_SOCIALE, ma si contestava l’indeducibilità dei costi del leasing, pur effettivamente corrisposti alla MPS Factoring & RAGIONE_SOCIALE, solo perché alcune fatture emesse dalla CO.RAGIONE_SOCIALE TRUST alla MPS sarebbero state maggiorate negli importi e quindi parzialmente inesistenti. Da un lato, secondo la C.T.R., la maggiorazione degli importi non integrava operazione inesistente; dall’altro, la RAGIONE_SOCIALE non poteva rispondere del rapporto intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e la MPS, né i militari avevano mai ipotizzato l’emissione di fatture di comodo per importi mai corrisposti dalla utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE L’accertamento appariva pertanto macchinoso e confuso, mescolando questioni condominiali di diritto privato, appalti e relazioni parentali tra componenti delle diverse società, che non
consentivano di cogliere una chiara e definitiva contestazione sotto il profilo tributario.
3.La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione resiste con controricorso.
4.Notarini NOME è rimasto intimato.
E’ stata fissata l’udienza camerale del 17.6.2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Deve darsi preliminarmente atto della rituale e tempestiva notifica del ricorso per cassazione alla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore, posto che essa è intervenuta entro cinque anni dalla cancellazione della predetta società dal registro delle imprese, con conseguente operatività dell’art. 28, co. 4, del D.Lgs. 175/2014, che dispone che ‘ ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi’, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 c.c. ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese.
1.1.Questa Corte ha avuto modo di precisare che in tema di cancellazione della società dal registro delle imprese, il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione, previsto dall’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 – disposizione di natura sostanziale, operante solo nei confronti dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati, con riguardo a tributi o contributi – implica che il liquidatore conservi tutti i poteri di rappresentanza della società sul piano sostanziale e processuale, con la conseguenza che egli è legittimato non soltanto a ricevere le notificazioni degli atti impositivi, ma anche ad opporsi ad essi, conferendo mandato alle liti, mentre sono privi di legittimazione i soci, poiché gli effetti previsti dall’art. 2495, comma 2, c.c. sono posticipati anche ai fini dell’efficacia e validità degli atti del contenzioso. In merito alla rappresentanza
processuale dell’ente societario estinto dopo l’entrata in vigore della norma, deve ritenersi, conformemente all’opinione della prevalente dottrina ed ai primi arresti di questa Corte sul punto specifico (Cass. 31/05/2022, n. 17492; Cass. 3/06/2021, n. 15320), che la disposizione non si limiti a prevedere una posticipazione degli effetti dell’estinzione al solo fine di consentire e facilitare la notificazione dell’atto impositivo. Il liquidatore deve necessariamente conservare tutti i poteri di rappresentanza della società, sul piano sostanziale e processuale, nella misura in cui questi rispondano ai fini indicati dall’art. 28, comma 4, che, altrimenti opinando, non potrebbe operare. Pertanto, egli deve poter non soltanto ricevere le notifiche degli atti dagli enti creditori, ma anche opporsi agli stessi e conferire mandato alle liti, come è confermato dalla circostanza che l’estinzione è posticipata anche ai fini della efficacia e validità degli atti del contenzioso. (cfr. Cass. 36892/2022). Questa stessa Corte (cfr. Cass. 2/04/2015, n. 6743) ha anche avuto modo di precisare, sebbene in una fattispecie alla quale la disposizione non era applicabile ratione temporis , che per «atti di (…) contenzioso» debbono intendersi gli atti del processo, perché, nell’impreciso lessico della legge delega n. 23 del 2014 (alla cui stregua, come è noto, deve procedersi nell’interpretazione dei decreti legislativi di attuazione), si intende per «contenzioso tributario» il «processo tributario» e la «tutela giurisdizionale» (espressioni usate promiscuamente nella rubrica e nel testo dell’art. 10 della legge di delegazione) e che la norma intende limitare (per il periodo da essa previsto) gli effetti dell’estinzione societaria previsti dal codice civile, mantenendo parzialmente per la società una capacità e una soggettività (anche processuali) altrimenti inesistenti, al «solo» fine di garantire (per il medesimo periodo) l’efficacia dell’attività (sostanziale e processuale) degli enti legittimati a richiedere tributi o contributi.
1.1. Per le stesse ragioni COGNOME NOMECOGNOME intimato in qualità di ex socio, cui il ricorso non risulta peraltro essere stato validamente notificato, è privo di legittimazione a contraddire nel presente giudizio nella predetta qualità, sicchè non va ordinato il rinnovo della notifica.
2. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate lamenta la nullità della sentenza per « difetto di motivazione o motivazione apparente, in violazione degli articoli 132, comma 2, n. 4 c.p.c., 118 disp att. c.p.c., art. 11, comma 6 Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.» , assumendo che la C.T.R.. non avrebbe espresso alcuna argomentazione a fondamento della ritenuta irrilevanza delle indagini penali, essendosi limitata ad adagiarsi sulla motivazione del giudice di primo grado, nonostante le censure dedotte in appello a sostegno della pretesa erariale, né in merito alla denunciata inefficacia della controprova allegata dalla società. La C.T.R. non aveva esaminato le contestazioni contenute nell’avviso di accertamento, nè motivato sui numerosi indizi evidenziati in merito all’evasione dell’Iva ed ai costi non deducibili. La C.T.R. non aveva pertanto espresso alcuna motivazione sui motivi di gravame.
3.Con il secondo motivo, rubricato « violazione dell’art. 39 del d.p.r. n. 600/73, degli articoli 2697 e 2729 c.c. e degli articoli 19, 21 e 54 del d.p.r. 633/72 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c ., la difesa erariale deduce che l’Agenzia delle Entrate aveva proceduto ai rilievi sulla base di molteplici elementi presuntivi di rilevante gravità a seguito delle indagini della G.D.F., che la C.T.R. non aveva preso in alcuna considerazione ed a fronte dei quali nessuna prova di segno contrario era stata fornita dalla società. 4.Il primo motivo è fondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente,
come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, ove il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1 30 giugno 2020 n. 13248; Sez. 1, 18 giugno 2018 n. 16057; n. 27112 del 2018; n. 22022 del 2017; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097 e n. 9105; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).
4.1.Ciò posto, nel caso in esame, la motivazione non soddisfa il minimo costituzionale, risultando meramente apparente.
Invero, la C.T.R., dopo aver sinteticamente riportato nello svolgimento del processo i motivi di appello, con i quali si ribadivano le contestazioni mosse dagli accertatori, ha inopinatamente affermato che ‘ i fatti storici oggetto di contestazione non risultano essere del tutto chiari’ ; ha ritenuto irrilevanti le indagini penali, senza spiegarne il motivo; si è sostanzialmente limitata a fare propria la motivazione della sentenza di primo grado, che aveva definito l’avviso di accertamento ‘ frutto di estrema confusione concettuale ed
arbitraria valutazione di fatti e di rapporti contrattuali di diritto comune’ , affermando che l’avviso di accertamento appariva ‘ macchinoso e confuso, mescolando in uno questioni condominiali di diritto privato, appalti, rapporti parentali tra componenti delle diverse società, ma non consentendo di cogliere una chiara e definitiva contestazione sotto il profilo tributario’ .
4.2.Poichè nell’avviso di accertamento, trascritto in ricorso, risulta chiaramente spiegato il fondamento delle contestazioni relative all’anno di imposta 2011, scaturenti dalle indagini svolte dalla G.D.F. in merito ai meccanismi pretesamente attuati dalla società controricorrente unitamente alle società appaltatrici e subappaltatrici ed all’amministratore del condominio, la C.T.R., anziché valutare se gli elementi evidenziati dagli accertatori costituissero o meno, singolarmente e complessivamente, indizi di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti e, in caso positivo, se la società avesse fornito elementi probatori di segno contrario, si è sottratta all’obbligo di fornire una congrua motivazione alla decisione di rigetto del gravame.
4.3. Questa Corte, in materia di prova per presunzioni, ha infatti più volte statuito che il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non
potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (Cass. n. 9108 del 06/06/2012, Cass. n. 5374/2017).
4.4. Con riguardo in particolare alle operazioni oggettivamente inesistenti a fini Iva, secondo il costante orientamento di questa Corte, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia’ (cfr Cassazione, pronunce nn. 3488/2024, Cass. n. 28628/2021 e 27554/2018).
4.5. In ipotesi di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (da ultimo, Cass. 21192/2025), va ribadito che in tale ipotesi l’IVA non è, in linea di principio, detraibile, perché è stata versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa e non assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto la fattura è emessa da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass. 30.10.2013, n. 24426); poiché il diniego del diritto di detrazione costituisce un’eccezione al principio di neutralità dell’IVA che tale diritto
costituisce, incombe sull’Amministrazione finanziaria provare, anche sulla base di presunzioni, che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione (e segnatamente: che il soggetto emittente non era il reale cedente e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta), mentre spetterà al contribuente, una volta raggiunta questa prova, fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass. 20.04.2018, n. 9851); – per quanto riguarda la consapevolezza del cessionario, invece, occorre rilevare che, se a quest’ultimo non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale, tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione (Cass. 2.12.2015, n. 24490); – con riferimento al tipo di prova incombente sull’Amministrazione, è stato poi condivisibilmente affermato che può trattarsi sia di prova logica (o indiretta) sia di prova storica (o diretta), consistente anche in indizi integranti una presunzione semplice (Cass. n. 28246 del 2020), potendo essere valorizzati, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione dell’operazione da parte del fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti fra cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente, la conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (Cass. n. 5339 del 2020); – anche di recente è stato ribadito che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo
che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 24471 del 2022); – il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi sia direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso) sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estrinsecato il rapporto commerciale con l’emittente (Cass. n. 28165 del 2022).
4.6. Spetterà pertanto al giudice del rinvio riesaminare il gravame e fornire adeguata motivazione della decisione, tenendo conto dei principi sopra illustrati.
5.Il secondo motivo va ritenuto assorbito.
6.In accoglimento del primo motivo, la sentenza va dunque cassata con rinvio alla C.G.T.2 della Campania, sezione distaccata di Salerno, in diversa composizione, affinchè proceda a un nuovo e motivato esame, tenuto conto dei principi indicati in motivazione, oltre che a liquidare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla CGT2 della Campania, in diversa composizione, per un nuovo e motivato esame, oltre che per liquidare le spese del giudizio di legittimità;
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17.6.2025.