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Motivazione apparente: Cassazione annulla sentenza

Una società vinceva in primo e secondo grado una causa contro l’Agenzia delle Dogane per accise non dovute. La Corte di Cassazione ha però annullato la sentenza d’appello, ritenendola viziata da motivazione apparente. Il giudice di secondo grado, infatti, non aveva spiegato adeguatamente le ragioni del rigetto dell’appello dell’Agenzia su punti specifici della controversia, rendendo la sua decisione incomprensibile e quindi nulla. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 22 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione Apparente: La Cassazione Annulla la Sentenza del Giudice Tributario

Una sentenza deve sempre essere chiara e comprensibile, permettendo alle parti di capire il percorso logico che ha portato il giudice a decidere in un certo modo. Quando questo non accade, si parla di motivazione apparente, un vizio grave che può portare alla nullità della decisione. L’ordinanza della Corte di Cassazione che analizziamo oggi offre un esempio lampante di questo principio, in un complesso caso di natura tributaria.

Il Contesto: Una Disputa su Accise e Compensazioni Fiscali

La vicenda ha origine da un avviso di pagamento e un atto di irrogazione sanzioni emessi dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli nei confronti di una società a responsabilità limitata. L’Agenzia contestava alla società l’indebita compensazione di accise non armonizzate per l’anno d’imposta 2017. La società ha impugnato questi atti, ottenendo ragione sia in primo grado, presso la Commissione Tributaria Provinciale, sia in secondo grado, presso la Commissione Tributaria Regionale.

Il Percorso Giudiziario e la Decisione della Commissione Regionale

L’Agenzia delle Dogane ha proposto appello contro la decisione di primo grado. La Commissione Tributaria Regionale (CTR), tuttavia, ha rigettato l’appello. La ragione addotta dalla CTR era che l’Ufficio avrebbe dovuto conformarsi alla decisione dei primi giudici, attivando una nuova istruttoria con la controparte, invece di insistere con le sue contestazioni. Questa decisione, però, non ha convinto l’Agenzia, che ha deciso di ricorrere in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, proprio un difetto di motivazione.

L’Intervento della Cassazione e la Critica alla Motivazione Apparente

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia, concentrandosi sul terzo motivo, che denunciava proprio la motivazione apparente della sentenza della CTR. La Suprema Corte ha osservato che l’Agenzia, nel suo appello, aveva accettato (prestato acquiescenza) la decisione di primo grado su una parte della controversia (quella relativa a dichiarazioni inviate via PEC), ma aveva insistito su un’altra questione distinta: l’illegittima compensazione per un importo maggiore rispetto a quello effettivamente spettante.

Il giudice d’appello, però, non ha minimamente analizzato questo specifico punto. La sua motivazione si è limitata a criticare genericamente il comportamento dell’Amministrazione, affermando in modo illogico che avrebbe dovuto adeguarsi alla decisione di primo grado senza contestarla. Questo, secondo la Cassazione, non costituisce una motivazione valida, in quanto non chiarisce le ragioni per cui l’appello, sulla questione specifica ancora aperta, fosse infondato.

Le Motivazioni

La Corte Suprema, richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite, ha ribadito che si è in presenza di una motivazione apparente quando questa, pur essendo graficamente esistente, consiste in argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito dal giudice. Una motivazione di questo tipo, perplessa o incomprensibile, non consente alcun controllo sulla correttezza del ragionamento e integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza.

Nel caso specifico, la CTR non ha chiarito perché l’appello dell’Agenzia fosse infondato sulla questione dell’indebita compensazione, un punto sul quale l’Ufficio non aveva prestato alcuna acquiescenza e che quindi era pienamente oggetto del giudizio di secondo grado. L’affermazione secondo cui l’Agenzia avrebbe dovuto semplicemente accettare la decisione del primo giudice è stata definita dalla Corte ‘del tutto illogica e sicuramente inidonea a chiarire le ragioni del rigetto dell’appello’.

Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso dell’Agenzia, relativo alla richiesta di cessazione parziale della materia del contendere a seguito di un atto di autotutela, la Corte lo ha rigettato. Ha spiegato che, essendo intervenuta l’acquiescenza sulla questione decisa in primo grado, quella parte era ormai fuori dal thema iudicandi (l’oggetto del giudizio) e l’atto di autotutela, essendo un provvedimento nuovo, non poteva far rivivere la discussione su quel punto nel medesimo processo.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il motivo relativo alla motivazione apparente, ha rigettato il primo e dichiarato assorbito il secondo. Di conseguenza, ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per un nuovo esame. Questa decisione sottolinea un principio fondamentale dello stato di diritto: ogni provvedimento giurisdizionale deve essere sorretto da una motivazione reale, comprensibile e logica, che affronti specificamente i punti sollevati dalle parti, altrimenti la decisione è nulla.

Quando la motivazione di una sentenza è considerata ‘apparente’ e quindi nulla?
Secondo la Corte, una motivazione è apparente quando, pur essendo scritta, contiene argomentazioni così generiche, illogiche o contraddittorie da non permettere di comprendere l’iter logico seguito dal giudice per arrivare alla sua decisione. Questo vizio impedisce ogni controllo sulla correttezza del ragionamento e comporta la nullità della sentenza.

Se l’amministrazione fiscale annulla parzialmente un atto in autotutela durante un processo, questo ferma il giudizio?
No, non necessariamente. La Corte ha chiarito che se l’amministrazione ha già accettato la decisione del giudice di primo grado su una specifica questione (acquiescenza), quella parte della controversia è chiusa. L’atto di autotutela è un nuovo provvedimento e non può riaprire, all’interno dello stesso processo, una questione su cui si è già formata l’acquiescenza.

Un giudice d’appello può rigettare un ricorso senza analizzare tutti i motivi specifici presentati?
No. La sentenza dimostra che il giudice d’appello ha l’obbligo di esaminare e fornire una motivazione chiara per ogni specifico motivo di ricorso che non sia stato oggetto di acquiescenza. Ignorare un punto cruciale della contestazione e fornire una spiegazione generica o illogica equivale a una motivazione apparente, che rende la sentenza nulla.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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