Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21962 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21962 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30619/2018 R.G., proposto
DA
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da sé medesimo ai sensi dell’art. 86 cod. proc. civ. , in qualità di Avvocato, con studio in Grosseto, elettivamente domiciliat o presso l’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma (indirizzo p.e.c. per comunicazioni e notifiche: EMAIL, in virtù del ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
Comune di Grosseto, in persona del Sindaco pro tempore ;
INTIMATO
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Toscana il 15 marzo 2018, n. 545/06/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del l’11 giugno 2025 dal Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per
TARSU TIA TARES TARI ACCERTAMENTO
la Toscana il 15 marzo 2018, n. 545/06/2018, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di sette avvisi di accertamento con irrogazione immediata delle sanzioni amministrative nn. 81/2014, 284/2014, 465/2014, 701/2014, 976/2014, 1453/2014 e 1828/2014 da parte del Comune di Grosseto per la TARSU relativa agli anni 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012, in relazione ad immobili ubicati nel medesimo Comune, ha accolto l’appello proposto dal Comune di Grosseto nei confronti del medesimo avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Grosseto il 10 dicembre 2015, n. 328/04/2015, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.
Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure -che aveva accolto, dopo la relativa riunione per connessione, i ricorsi originari del contribuente – sul rilievo che « l’Ente impositore avrebbe potuto utilizzare dati in suo possesso o acquisiti da altri uffici od enti pubblici e non vi è dubbio che il Comune nel porre a base degli accertamenti la dichiarazione proprio del COGNOME di occupare sin dal 1998 sia lo studio che l’abitazione ha operato legittimamente, come legittimamente ha operato avvalendosi della dichiarazione della ex coniuge COGNOME con riguardo alla pertinenzialità di un ulteriore cespite dal COGNOME neppure dichiarato. Non può condividersi perciò l’affermazione della Commissione Provinciale di non aver dato prova, il Comune, della occupazione o della detenzione da parte del COGNOME degli immobili all’origine degli avvisi di accertamento, posto che, a fronte dei dati ufficiali in possesso dello stesso Comune è il COGNOME che avrebbe dovuto dare prova del contrario ».
Il Comune di Grosseto è rimasto intimato.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa, richiamando un precedente favorevole in termini di questa Corte tra le stesse parti (Cass., Sez. 6^-5, 28 ottobre 2021, n. 30449).
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
Con il primo motivo, si denuncia: « 1 – Nullità della sentenza per omessa motivazione, in violazione degli artt. 61 e 36 D.Lgs. 546/1992, 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 (comma 6) Costituzione (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.), nonché omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.) ».
A dire del ricorrente: « La sentenza impugnata è priva di motivazione, atteso che la Commissione regionale ha accolto l’appello senza dare minimamente conto delle ragioni che l’hanno indotta a ribaltare quanto ritenuto ed affermato dalla Commissione provinciale » (pagina 5 del ricorso).
2.1 Il predetto motivo -in disparte l’inappropriato ed inconferente richiamo al vizio dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., che si deve considerare tamquam non esset in relazione al tenore complessivo della censura – è fondato.
2.2 Come è noto l’art. 36, comma 2, n. 4), del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sulla falsariga dell’art. 132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. (nel testo modificato dall’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69), dispone che la sentenza: « (…) deve contenere: (…) 4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; (…) ».
Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza impugnata, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto
inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6^-5, 15 aprile 2021, n. 9975; Cass., Sez. Trib., 20 dicembre 2022, n. 37344; Cass., Sez. Trib., 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. Trib., 22 maggio 2024, n. 14337; Cass., Sez. Trib., 5 marzo 2025, n. 5882).
Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di ‘ motivazione apparente ‘, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del ‘ minimo costituzionale ‘ richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6^-5, 24 febbraio 2022, n. 6184; Cass., Sez. Trib., 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. Trib., 22 maggio 2024, n. 14337; Cass., Sez. Trib., 5 marzo 2025, n. 5882).
In particolare, poi, il vizio di motivazione contraddittoria o perplessa è rinvenibile soltanto in presenza di un contrasto insanabile ed inconciliabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, che non consenta la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 17 agosto 2020, n. 17196; Cass., Sez. 6^-5, 14 aprile 2021, n. 9761; Cass., Sez. 5^, 26 novembre 2021, n. 36831; Cass., Sez. 6^-5, 14 dicembre
2021, n. 39885; Cass., Sez. 5^, 27 aprile 2022, nn. 13214, 13215 e 13220; Cass., Sez. Trib., 23 agosto 2023, n. 25079; Cass., Sez. Trib., 2 settembre 2024, n. 23530).
2.3 A ben vedere, la sentenza impugnata denota una motivazione soltanto apparente laddove l’accoglimento dell’appello proposto dall’ente impositore è stato giustificato con la debole e fragile argomentazione che « non vi è dubbio che il Comune nel porre a base degli accertamenti la dichiarazione proprio del COGNOME di occupare sin dal 1998 sia lo studio che l’abitazione ha operato legittimamente, come legittimamente ha operato avvalendosi della dichiarazione della ex coniuge COGNOME con riguardo alla pertinenzialità di un ulteriore cespite del Tamberi neppure dichiarato », trattandosi di affermazione che, per la sua inconsistenza e vacuità, è, di per sé sola, inidonea a dedurne conseguenze logiche sul piano delle più ampie dimensioni delle superfici imponibili, « poiché le maggiori superfici non potrebbero evincersi e ricavarsi in alcun modo da consimili dichiarazioni, riguardanti la data dell’occupazione e la pertinenzialità di un’altra unità » (pagina 6 del ricorso). Ed altrettanto deve dirsi anche con riguardo alla « prova circa l’occupazione o detenzione degli immobili non dichiarati da parte del ricorrente » (pagina 6 del ricorso).
Per cui, alla luce delle evidenti lacune nell’illustrazione della ratio decidendi , si deve escludere che tale spiegazione raggiunga la soglia del minimo costituzionale.
Con il secondo motivo, si denuncia: « 2 – Nullità della sentenza per utilizzo di prove e documenti non risultanti in causa, in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.) ».
Secondo il ricorrente, « la Commissione regionale non ha dato conto del contenuto di tali due dichiarazioni e ciò si spiega con
la semplicissima ragione che esse non risultano in causa e non fanno parte del materiale processuale: la Commissione ha quindi deciso discostandosi dal fondamentale principio processuale espresso dal noto brocardo secondo il quale quod non est in actis non est in mundo» (pagina 8 del ricorso).
4. Con il terzo motivo, si denuncia: « 3 Violazione dell’art. 2697 c.c. circa il riparto dell’onere della prova (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) e comunque nullità della sentenza per inosservanza di tale disposizione (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.) ».
Il passo motivazionale della sentenza impugnata in cui si asserisce che: « Non può condividersi perciò l’affermazione della Commissione Provinciale di non aver dato prova, il Comune, della occupazione o della detenzione da parte del COGNOME degli immobili all’origine degli avvisi di accertamento, posto che, a fronte dei dati ufficiali in possesso dello stesso Comune è il COGNOME che avrebbe dovuto dare prova del contrario. Come il COGNOME si è ben guardato dal fare », a dire del ricorrente, « è errato e frutto di palese malgoverno del principio di distribuzione dell’onere della prova » (pagina 9 del ricorso).
In tale prospettiva, « a fronte delle negazioni del ricorrente in merito alla metratura degli immobili ed all’appartenenza, occupazione o disponibilità degli stessi da parte sua, il soggetto onerato era, diversamente da quanto affermato dalla Commissione Regionale, il Comune e non il contribuente, trattandosi di fatti costitutivi della pretesa: solamente se il Comune avesse dato la prova dei fatti fondanti la sua pretesa il ricorrente sarebbe stato onerato di fornire la prova contraria » (pagina 10 del ricorso).
I predetti motivi sono unitariamente assorbiti dall’accoglimento del primo motivo, che ne rende superfluo ed ultroneo lo scrutinio in questa sede.
Con il quarto motivo, si denuncia: « 4 – Nullità della sentenza per omessa pronuncia sui motivi riproposti in appello dall’odierno ricorrente, in violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.) ».
Sulla premessa che: « Con le controdeduzioni in appello il ricorrente ha riproposto alla Commissione Regionale tutte le questioni e domande rimaste assorbite all’esito del primo giudizio in conseguenza dell’accoglimento di alcuni motivi di ricorso e segnatamente: i) la nullità degli avvisi, non contenenti alcun elemento atto ad indicare le ragioni della maggior pretesa e segnatamente l’indicazione delle fonti in base alle quali il Comune aveva ritenuto sussistere maggiori superfici ed aveva individuato il ricorrente quale soggetto passivo della tassa; ii) la decadenza per quelli in ordine ai quali tale eccezione non era stata rigettata in primo grado; iii) la prescrizione; iv) la nullità per violazione del principio del ‘ ne bis in idem ‘; v) l’infondatezza per insussistenza delle condizioni e circostanze fondanti gli avvisi e dei requisiti e dei presupposti soggettivi determinanti la debenza della tassa; vi) l’erroneità della tariffa applicata e la mancata riduzione della stessa », il ricorrente ha lamentato che: « La commissione d’appello ha omesso tout court ogni esame ed ogni decisione in ordine a tali questioni, eccezioni e domande ritualmente introdotte in giudizio, in quanto nessun, ancorché minimo, accenno ad esse è rinvenibile nella decisione, incorrendo così nel vizio di omessa pronuncia » (pagina 10 del ricorso).
6.1 Il predetto motivo è fondato.
6.2 Recependo le argomentazioni poste a fondamento del precedente richiamato pro se nella memoria illustrativa del ricorrente (Cass., Sez. 6^-5, 28 ottobre 2021, n. 30449), si può ribadire che: « Questa Corte ha più volte affermato che «L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello (Cass. n. 22759 del 27/10/2014, Cass. n. 6835 del 16/3/2017). Ne consegue che l’omessa pronuncia determina nullità della sentenza.» (Cass., Sez. 5, n.10036 del 24/04/2018). Il ricorrente riporta i motivi sui quali il giudice di merito non si sarebbe pronunciato e dall’analisi del fascicolo di merito allegato al ricorso per cassazione – dalle controdeduzione in appello del contribuente – si evince come questo abbia sollevato davanti alla CTR le questioni relative alla violazione del ” ne bis in idem ” e all’infondatezza dell’accertamento per carenza dei presupposti soggettivi determinanti la debenza dell’imposta -specificatamente della mancanza di proprietà e del possesso dell’immobile da parte del ricorrente ». Per cui, anche « nel caso di specie la CTR (…) » , concentrando il proprio accertamento sulla valenza probatoria delle citate dichiarazioni, « nulla ha invece esposto in ordine alle questioni dedotte in appello dal contribuente », sulle quali è mancata anche una decisione implicita.
Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la fondatezza del primo motivo e del quarto motivo, nonché l’assorbimento dei restanti motivi, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana (ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), della legge 31 agosto 2022, n. 130), in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo ed il secondo motivo; dichiara l’assorbimento dei restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del l’11 giugno