Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2227 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2227 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME con avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente
–
Contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato;
controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, n. 1025/26/15 depositata il 7 ottobre 2015.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza dell’undici dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Dato altresì atto che l’Avvocatura generale ha concluso per l’inammissibilità e comunque per il rigetto del ricorso.
Dato atto che il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Motiv. App.
RILEVATO CHE
1.Con avviso di accertamento relativo agli anni d’imposta 2009 e 2010 veniva rettificato il reddito dell’impresa individuale del ricorrente, dichiarato infatti rispettivamente in € 15.160 ed € 14.949 ed accertato ancora rispettivamente in € 173.160 ed € 154.949. La CTP rigettava il ricorso e la CTR confermava la pronuncia di primo grado.
Ricorre quindi in cassazione il contribuente affidandosi a undici motivi, mentre l’Agenzia resiste a mezzo di controricorso.
Da ultimo il ricorrente ha depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo di ricorso si deduce «Nullità della sentenza (art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.) per violazione dell’art.132 co. 2 n. 4 c.p.c., 118 disposizioni di attuazione c.p.c. – applicabili al rito tributario in forza del rinvio di cui all’art. 1 co. 2 d.lgs. 546/92 -, dell’art. 36 co. 2 n. 4 d.lgs. 546/92 applicabile alla sentenza di secondo grado ad effetto del disposto di cui all’art. 61 d.lgs. 546/92, norme che impongono al giudice di enunciare motivazione a suffragio della decisione, 111, co. 6 Cost., che dispone che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati nonché violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che impone al giudice di pronunciarsi sulle domande proposte dalle parti».
In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rilevato che le argomentazioni addotte a fondamento della decisione non consentono di ritenere che il giudice del gravame abbia effettivamente vagliato le questioni dal medesimo prospettate con l’atto di appello.
1.1.Va ricordato che ‘ è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione» (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
Talché il vizio in parola si produce allorché il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza consentire la ricostruzione del relativo iter logico, rendendo così impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento stesso.
Nella specie come premesso viene addebitato alla sentenza di non aver sostanzialmente nulla aggiunto alla sentenza di primo grado alla luce delle critiche proposte con l’atto d’appello.
Orbene va ricordato che
«In tema di processo tributario è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell ‘ art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente priva dell ‘ illustrazione delle censure mosse dall ‘ appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare ‘per relationem’ alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poiché, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del ‘thema decidendum’ e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame» (Cass. 5 ottobre 2018, n. 24452; Cass. 5 agosto 2019, n. 20883; Cass. 3 febbraio 2021, n. 2397; Cass. 11 aprile 2024, n. 9830).
Nella specie la CTR si è limitata ad un rimando al contenuto della sentenza di primo grado e ai motivi di appello, definendoli
«ampiamente illustrati» e «corredati di richiami e di rimandi alla giurisprudenza», ma la relativa sentenza è totalmente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado e non ne ha esplicitato le parti essenziali, soprattutto non ha esplicitato il ragionamento critico volto a giustificare l’adesione alle ragioni addotte a sostegno della sentenza di primo grado e il rigetto delle opposte argomentazioni in fatto e in diritto espresse dal contribuente. Ciò comporta l’impossibilità di individuare il ‘thema decidendum’ del giudizio di gravame e non consente di ritenere che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame proposti ( Cass. 5 ottobre 2018, n. 24452).
Vi è solo un accenno a considerazioni, in ordine alla modalità adottata dal ricorrente di abbattere gli utili attraverso il conferimento di consulenze spropositate ad un nipote, poi pagate anni dopo. Si tratta però di considerazioni estremamente generiche, mancando il benché minimo richiamo a dati documentali precisi, la descrizione di precise condotte, la confutazione delle argomentazioni pur proposte dal contribuente (es. il fatto che fosse stata solo affermata ma non dimostrata come inveritiera la rappresentazione contabile del costo, a fronte di documenti che avrebbero dimostrato l’effettivo sostenimento del costo; la non contestazione dell’incoerenza del reddito; gli elementi portati al fine di dimostrare la congruità del compenso in rapporto all’attività asseritamente svolta dal ‘consulente’; l’incongruità del risultato a seguito della ripresa rispetto all’effettivo rendimento dell’attività; la mancata contestazione circa la non inerenza dei costi; la valutazione degli argomenti volti a valorizzare le dichiarazioni di terzi soggetti).
Anche sul piano delle censure formali, inerenti al difetto di delega, vi è solo un generico riferimento al fatto che l’Agenzia abbia
‘argomentato e documentato ruoli e deleghe’, la riconducibilità all’ufficio dell’attività e la legittimità di essa, ma anche qui senza il benché minimo concreto riferimento, in guisa da non consentire il vaglio dell’iter logico che ha condotto il giudice anche qui alla conclusione di rigetto dell’appello.
La fondatezza del primo motivo determina il travolgimento della sentenza impugnata e dunque il rinvio al giudice d’appello che dovrà adeguarsi ai principi qui espressi, oltre che a liquidare le spese del presente giudizio.
Per l’effetto gli ulteriori motivi devono ritenersi assorbiti.
P.Q.M.
La Corte in accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte che, in diversa composizione, provvederà a decidere la controversia conformandosi ai principi qui affermati e altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, l’undici dicembre 2024