Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2241 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2241 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/01/2025
Adempimenti tributari – Aree svantaggiate – Sospensione – Cartella ex art. 36-bis dPR n. 600/1973.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21875/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata presso la medesima in Roma alla INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del l.r.p.t., incorporante della RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, in forza di procura a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della RAGIONE_SOCIALE, sezione staccata di Catania, n. 3222/2015, depositata in data 17/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME.
Fatti di causa
La CTR della RAGIONE_SOCIALE , sezione staccata di Catania, accoglieva l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza della CTP di Catania che ne aveva parzialmente accolto il ricorso contro la cartella n. 293 2008 0061653084, emessa ai sensi dell’art. 36 -bis d.P.R. n. 600 del 1973, relativa ad omesso/carente versamento Ires, Irap, ritenute Irpef e a recupero credito di imposta per investimenti in aree svantaggiate indebitamente compensato, in relazione all’anno di imposta 2004.
In particolare, i giudici del gravame evidenziavano: a) il contribuente aveva definito, come documentato in atti, la propria posizione tributaria a norma dell’art. 1, comma 1011, della l. n . 296 del 2006; essendo venuta meno la pretesa finanziaria, il ruolo andava annullato, sal vo il diritto dell’ufficio di recuperare le imposte non versate successivamente; b) quanto al recupero del credito di imposta, la cartella non era preceduta dal prodromico atto di recupero.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE in base a due motivi.
Resiste con controricorso la società contribuente.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 16/10/2024.
Ragioni della decisione
La ricorrente propone due motivi, entrambi inerenti alla sola prima parte della decisione e non al recupero del credito di imposta.
Con il primo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1011, della l. n. 296 del 2006 assumendo che la
società RAGIONE_SOCIALE era cessata in data 28/12/2007 per incorporazione nella RAGIONE_SOCIALE che aveva continuato i versamenti fino al 16/10/2014, mentre alla data dell’udienza di trattazione aveva cessato di versare le rate già da otto mesi; quindi, la Commissione non ha verificato il rituale pagamento RAGIONE_SOCIALE rate e violato la disciplina in tema di rateizzazione.
Con il secondo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., si duole del carattere apodittico della statuizione, in particolare circa il regolare pagamento RAGIONE_SOCIALE rate, fatto sul quale la CTR ha omesso di dare conto di ogni accertamento.
Preliminarmente occorre rilevare la mancata notifica del ricorso nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, pure parte costituita nel giudizio di appello.
Con orientamento ormai consolidato, e da cui non vi è ragione per discostarsi, questa Corte ha ripetutamente negato la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra i due enti quando sia impugnata la cartella di pagamento per vizi che afferiscono non già a quelli propri dell’atto, per i quali il soggetto passivo va senz’altro individuato nell’agente della RAGIONE_SOCIALE, ma al debito fiscale, la cui legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario. In questo caso infatti, il contribuente che contesti la pretesa fiscale, oppure la ritualità dell’ iter procedimentale all’esito del quale sia scaturito l’atto impositivo, può impugnare la cartella nei confronti del medesimo ente impositore, oppure anche nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, cui in questo caso incombe l’onere di chiamare in giudizio il titolare del credito tributario, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999, se non vuole rispondere all’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non configurabile un litisconsorzio necessario (cfr. Cass. n. 10019/2018; Cass. n. 10528/2017; Cass. n. 1532/2012; Cass. n. 2803/2010). Ciò costituisce la regola, sia per la cartella preceduta da atti impositivi prodromici (ad
es. per mancata notifica di questi ultimi), sia quando costituisca essa stessa l’atto impositivo, all’esito del procedimento formale di accertamento del credito fiscale dell’ente impositore, come nella ipotesi di accertamento automatizzato ex art. 36bis cit. (Cass. n. 25473/2018).
Inoltre si è precisato che il litisconsorzio in appello tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (nel caso di evocazione in giudizio di entrambi in primo grado) sussiste solo nel caso di cause inscindibili, per aver le censure investito, oltre al merito della pretesa tributaria, anche vizi propri della cartella, con la conseguenza che, nella specie, non investendo le censure vizi propri della cartella (per quanto emerge tanto dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso per cassazione), non vi è violazione del contraddittorio nei confronti del RAGIONE_SOCIALE (Cass. n. 10580/2007; Cass. n. 24083/2014; Cass. n. 25588/2017; Cass. n. 8329/2020; Cass. n. 19074/2020; Cass. n. 11165/2021; Cass. n. 31922/2021).
Occorre preliminarmente esaminare il secondo motivo, con cui la difesa erariale deduce di fatto una motivazione apparente e apodittica (dovendosi ricordare che la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura: Cass. n. 12690/2018), con denuncia che appare fondata.
3.1. Cass., Sez. U., n. 8053/2014 ha evidenziato che si è in presenza di una motivazione apparente allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non
consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Il giudice non può, quando esamina le argomentazioni RAGIONE_SOCIALE parti o i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la loro valutazione, perché questo è il solo contenuto «statico» della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi, tanto più in una fattispecie complessa, anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio che rappresenta il necessario contenuto «dinamico» della dichiarazione stessa (Cass. n. 32980/2018; Cass. n. 15964/2016; Cass. n. 1236/2006).
3.2. Il comma 1 dell’art. 1 del d.m. 17 maggio 2005 prevedeva il differimento del termine di scadenza della sospensione dei termini relativi agli adempimenti ed ai versamenti tributari, a favore dei soggetti indicati con il d.m. 14 novembre 2002, al 15 dicembre 2005, mentre il comma 2 disponeva che i versamenti non eseguiti per effetto della sospensione fossero effettuati o in unica soluzione entro il 16 dicembre 2005, ovvero, a decorrere da tale ultima data e senza aggravio di sanzioni e di interessi, mediante rateizzazione mensile pari, al massimo, ad otto volte il periodo di sospensione (cioè 304 mesi).
E’ poi intervenuto il legislatore, con l’art. 1, comma 1011, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che ha avuto lo scopo di disciplinare le situazioni di omissione e di ritardo nel pagamento dei tributi secondo il piano di rateizzazione previsto dal d.m. 17 maggio 2005, consentendo a coloro che non avevano versato le somme dovute alla scadenza RAGIONE_SOCIALE singole rate, successivamente alla cessazione del periodo di sospensione dei termini (ossia fino al 15 dicembre 2005), di definire la propria posizione entro il 30 giugno 2007, attraverso la corresponsione
dell’ammontare dovuto per ciascun tributo, al netto dei versamenti già eseguiti a titolo di capitale ed interessi, diminuito al 50 per cento; la norma ha lasciato ferme le vigenti modalità di rateizzazione (vedi Cass. n. 7583/2015).
Come precisato dalla circolare esplicativa dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 20E del 2007, poiché la norma in commento consente di sanare gli omessi o tardivi versamenti «ferme restando le vigenti modalità di rateizzazione», deve ritenersi che i contribuenti interessati alla predetta rateizzazione, fermo restando l’obbligo di versamento entro il 30 giugno 2007, potessero dilazionare il pagamento RAGIONE_SOCIALE successive rate non ancora scadute.
Questa Corte ha evidenziato che la disciplina normativa contenuta nell’art. 1, comma 1011, avente natura eccezionale, non si esaurisce nella mera sospensione dei termini (al cessare della quale viene ripristinata la situazione ex ante ) ma viene a regolare ex novo il versamento RAGIONE_SOCIALE somme – che erano già dovute anteriormente o che lo sono divenute nel corso del periodo di sospensione – ridefinendone tempi e modalità (in questi termini, Cass. n. 7583/2015, cit.).
Inoltre, pur non prevedendo espressamente la norma in esame la decadenza dal beneficio in conseguenza di un versamento parziale o tardivo, tale conseguenza deve ritenersi discendere dai principi generali vigenti, all’epoca dei fatti, in materia di corretto adempimento degli oneri fiscali e di accesso alle normative di agevolazione (in questi termini, Cass. n. 26309/2020, non massimata). La Corte ha aggiunto che la decadenza non appare iniqua in quanto è espressamente riconosciuta al contribuente la facoltà di avvalersi del ravvedimento operoso. Tali principi sono stati di recente ribaditi da Cass. n. 12481/2021 e da Cass. n. 20695/2023.
Occorre altresì evidenziare che la Commissione europea con la decisione n. C (2015) 5549 Final del 14/08/2015, sopravvenuta alla
decisione impugnata, ha ritenuto che la disposizione di cui all’art. 1, comma 1011, della legge n. 296 del 2006 configura un illegittimo aiuto di Stato ove il contribuente svolga attività di impresa, a meno che il beneficio risulti compatibile con le previsioni comunitarie ed in particolare con la disciplina in materia di de minimis (cfr. Cass. n. 22377/2017; Cass. n. 15354/2014).
Ciò premesso, la motivazione della sentenza è talmente succinta, sia nella descrizione del fatto che nella motivazione della decisione, che non consente di comprendere le ragioni della stessa ed è del tutto apodittica sul venir meno della pretesa finanziaria e sul controllo dei pagamenti operati dal contribuente, di cui non dà conto se non in maniera generica, fondando le sue valutazioni su documentazione versata in atti, che richiama ma non chiarisce quale sia e a quale importo faccia riferimento, dovendosi quindi in tali termini accogliere il preliminare, e assorbente, secondo motivo.
Ne consegue la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della RAGIONE_SOCIALE, sezione staccata di Catania, in diversa composizione, per nuovo esame della fattispecie, a cui è demandato di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della RAGIONE_SOCIALE, sezione staccata di Catania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2024.