Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16853 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16853 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37536/2019 R.G. proposto da:
COMUNE GENOVA rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente incidentale- contro
COMUNE GENOVA rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente all’incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LIGURIA n. 509/2019 depositata il 24/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Il Comune di Genova accertava il 19 dicembre 2014 la violazione relativa alla esposizione di cartello pubblicitario della società RAGIONE_SOCIALE, in violazione dell’art. 34, comma 4, Regolamento comunale CIMP, secondo cui la pubblicità a carattere permanente si presume effettuata a decorrere dal primo gennaio dell’anno in cui vien accertata.
Il ‘ verbale’ che veniva notificato conteneva l’invito alla produzione di scritti difensivi ed al pagamento della sanzione pari ad un terzo di quella prevista dalla norma regolamentare summenzionata, disponendo che, nell’ipotesi di mancato pagamento entro il termine di sessanta giorni, l’ente locale avrebbe emesso l’ordinanza ingiunzione. Detta ordinanza notificata il 19 agosto 2016 veniva tempestivamente opposta dalla società
RAGIONE_SOCIALE sul rilievo che aveva ceduto l’azienda in data 14 novembre 2014, ragion per cui responsabile della pubblicità abusiva doveva essere considerata la cessionaria dell’azienda.
I giudici di prossimità di Genova respingevano il ricorso con sentenza che veniva appellata dall’amministrazione ligure.
La Corte distrettuale della Liguria accoglieva l’impugnazione, sul presupposto che l’accertamento era stato effettuato nel dicembre 2014, successivamente alla cessione del complesso aziendale alla società RAGIONE_SOCIALE escludendo, pertanto, la responsabilità dell’appellante, compensando le spese di lite per la condotta tenuta dalla società che avrebbe dovuto informare l’amministrazione di Genova della cessione di azienda.
Avverso la sentenza n. 509 depositata il 24 aprile 2019, l’amministrazione di Genova ricorre per cassazione, svolgendo tre motivi, contestati con controricorso dalla società contribuente, la quale propone ricorso incidentale in punto di spese di lite.
Il Comune di Genova replica con controricorso al ricorso incidentale.
La società ha depositato memorie difensive in prossimità dell’udienza.
MOTIVI DI DIRITTO
Il primo motivo di ricorso introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché la violazione degli articoli 18, 22 e 23 legge n. 689 del 1981; per avere il decidente applicato le norme regolanti il giudizio di opposizione ex legge n. 689 del 1981, il che lo ha indotto erroneamente a riformare la sentenza di prime cure, dimenticando che ai sensi dell’art. 19 del
d.lgs. n. 546 del 1992, una volta divenuto definitivo il prodromico provvedimento amministrativo, il successivo provvedimento di irrogazione della sanzione poteva essere impugnata soltanto per vizi propri. Si assume che, nella specie, non si trattava di un mero verbale di accertamento ma piuttosto di un atto complesso avente natura provvedimentale col quale veniva ingiunto il pagamento di una determinata somma a titolo di sanzione e si diffidava la società a rimuovere l’impianto descritto pena l’intervento d’ufficio con addebito delle relative spese.
La censura presenta plurimi profili di inammissibilità.
Essa si pone in netto contrasto con la sentenza della Commissione regionale là dove afferma che il primo provvedimento notificato nel dicembre 2014 consisteva nel verbale di accertamento delle infrazioni ex art. 14 legge n. 689/1981, legittimando al pagamento in misura ridotta della sanzione ovvero all’instaurazione del contraddittorio, ma non anche all’impugnabilità dello stesso, in quanto, ai sensi dell’art. 22 legge 689/1981, l’unico provvedimento impugnabile è l’ordinanza ingiunzione di cui al citato art. 22.
In altri termini, l’ente locale denuncia un travisamento della prova quale momento percettivo del dato probatorio; il travisamento della prova in senso proprio, è un travisamento al quale possono ricondursi sia il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività, sia il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio, considerato nella sua oggettività, possono per inferenza logica desumersi. Ebbene, per un verso, il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività è per sua natura destinato ad essere controllato attraverso lo strumento della revocazione; per altro verso il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio possono desumersi appartiene al sindacato del giudice di merito, ed è per questo sottratto al giudizio di legittimità,
a condizione, beninteso, che il giudice di merito si sia in proposito speso in una motivazione eccedente la soglia del «minimo costituzionale.
Come recentemente chiarito dalle S.U. 5 marzo 2024, n. 5792, esclusa la rilevanza dell’errore che per ciò stesso cessa di essere un errore revocatorio ed assume i caratteri dell’errore di giudizio, atteso che sul fatto il giudice si è pronunciato, la deducibilità in Cassazione del vizio di c.d. «travisamento della prova», laddove, come nella concreta fattispecie, la decisione non risulta a che vedere con la predicata dispercezione – in quanto il travisamento riflette la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – è consentita in presenza del dedotto errore valutativo della documentazione prodotta – <<in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell'art.. 360, nn. 4 e 5, cod.proc.civ., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale»( S.U. cit.).
Segue che la deduzione del vizio attraverso il paradigma dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. non consente di esaminare la questione sottoposta dal Comune a questa Corte.
La censura, peraltro, è altresì inammissibile, non avendo il ricorrente trascritto il primo provvedimento notificato a dicembre del 2014, impedendo a questa Corte di esaminare l'atto in oggetto nella sua completezza; sul punto Cass. n. 11599/ 2019 ha ribadito che è onere del ricorrente di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, onere che è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e l'allegazione dei documenti, ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6,
c.p.c., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi. Cass. 7/03/2018, n. 5478 ha ritenuto che, in applicazione del principio di autosufficienza, qualora sia dedotta l'omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonché alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione. Conforme, di recente, Cass. Sez. 6-1 del 12/12/2021, n. 33996, non massimata. In senso sostanzialmente analogo, Cass. Sez. 5, 13/11/2018, n. 29093 ribadisce l'onere di trascrivere o riassumere il contenuto dell'atto o del documento, nella specie con riferimento ad un avviso di accertamento. In particolare, il ricorrente ha il duplice onere – imposto dall'art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c. e dall'art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., a pena di improcedibilità del ricorso – di indicare esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, al fine di consentire alla Corte l'esame diretto del documento, e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso (Cass. Sez. 1, 13/4/2021, n. 9678). È necessario produrre in giudizio l'atto o il documento ritenuto non adeguatamente valutato dai giudici di merito e indicare esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza. Così si è nuovamente espressa la suprema Corte, con la sentenza n. 306622 del 28 novembre 2024.
Il secondo mezzo di ricorso, proposto ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 34 del regolamento comunale di Genova per l'applicazione del canone per l'installazione di mezzi pubblicitari; nonché la violazione degli artt. 6, comma 2, d.lgs. n. 507 del 1993 e 6, comma 1, legge n. 689 1981. Per avere il decidente ritenuto che alla luce del regolamento comunale la pubblicità temporanea
abusiva si presume effettuata dal primo giorno del mese in cui è stata accertata la violazione ai sensi dell'art. 34, comma 6, ritenendo che, nella specie, la pubblicità abusiva si presumeva effettuata a far data dal primo dicembre 2014, in quanto l'appellante aveva dimostrato di aver ceduto in data 12 novembre 2014 il complesso aziendale ad altra società, con effetto dal 24 novembre 2014.
Il terzo strumento di impugnazione deduce la nullità della sentenza, ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione dell'art. 132, n. 4, c.p.c., per avere la C.T.R. ligure apoditticamente affermato trattarsi di insegne temporanee applicando così il disposto del sesto comma dell'art. 34 del Regolamento comunale relativo al CIMP, trascurando di valutare che RAGIONE_SOCIALE era l'oggetto del mezzo pubblicitario e proprietaria dello stesso fino al novembre 2014.
Il secondo e terzo motivo di ricorso possono essere congiuntamente esaminati, involgendo la medesima questione. Essi sono fondati.
In tema di motivazione meramente apparente della sentenza, questa Corte ha più volte affermato che il vizio ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell'art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell'omologo art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l'iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata ; l'obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo
convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni Unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che «l'omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità» e che «le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti» (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata). Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l'iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi» (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. Un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata). Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente
esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 14927 del 2017).
In tale grave forma di vizio incorre la sentenza impugnata laddove i giudici di appello, affermando trattarsi di pubblicità temporanea, non manifestano le circostanze che hanno determinato l'applicazione del sesto comma, anziché del quarto comma dell'art. 34 del regolamento CIMP, escludendo implicitamente la legittimazione passiva della società, ancorché non risultasse introdotta dalla contribuente l'eccezione relativa alla temporaneità dei mezzi pubblicitari.
8.Il ricorso incidentale – con il quale si denuncia , per avere il giudicante disposto la compensazione delle spese di lite, pur essendo la società vittoriosa – resta assorbito.
Segue l’accoglimento del secondo e terzo motivo del ricorso principale, respinto il primo mezzo di ricorso ed assorbito il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio deve essere rinviato alla CGT di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, a cui è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso principale, respinto il primo ed assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CGT di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, a cui è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della