Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20348 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20348 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
Redditi da cessione di immobili-motivazione apparente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20169/2017 R.G. proposto da COGNOME e COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso ed elettivamente domiciliati presso il loro studio, in Roma alla INDIRIZZO;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 213/2017, depositata in data 27/01/2017 e non notificata; 17 giugno 2025
udita la relazione tenuta nell’adunanza camerale del dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Firenze, emetteva, sia per l’annualità 2006 che per l’annualità 2007, due avvisi di accertamento con cui, in capo alla RAGIONE_SOCIALE, società estinta, recuperava a imposizione, sia ai fini delle imposte dirette che dell’Iva, i maggiori proventi di due vendite immobiliari realizzate nel 2006 e nel 2007, rettificando l’importo del corrispettivo dichiarato; con tali due avvisi intimava, inoltre, ai soci della RAGIONE_SOCIALE il pagamento delle maggiori imposte riferibili alla società estinta, ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973.
L’Agenzia emetteva, poi, nei confronti dei soci autonomi avvisi di accertamento a fini Irpef in quanto la società aveva optato per il regime della trasparenza ai sensi dell’art. 116 t.u.i.r.
Infine, l’Agenzia emetteva cartella di pagamento con cui chiedeva il pagamento a titolo provvisorio delle maggiori imposte accertate in relazione alla compravendita del 2006.
Tutti gli atti erano autonomamente impugnati dai contribuenti e la Commissione tributaria provinciale di Firenze, riuniti i giudizi e disposta CTU, accoglieva parzialmente i ricorsi riducendo il quantum della pretesa.
La Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava gli appelli con la sentenza richiamata in epigrafe.
Contro tale sentenza NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso affidato a undici motivi.
L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Il giudizio è stato fissato per l’adunanza camerale del 17/06/2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36 e 61 del d. lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost.; i ricorrenti infatti invocano la nullità della sentenza che non ha fornito alcuna descrizione compiuta dell’oggetto del processo e non ha dato alcuna motivazione sui motivi di appello, relativi al vizio di motivazione dell’atto, alla sua illegittimità in quanto fondata sulla mera ricostruzione del valore normale in base ai valori OMI e non sul corrispettivo effettivamente applicato dalle parti contrattuali, alla violazione delle norme sulla responsabilità dei soci, nonché laddove ha aderito criticamente alla CTU con affermazioni totalmente astratte e generiche.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c., dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 73 e 80 della direttiva n. 2006/112/CE, deducendo che in tema di accertamento di corrispettivi praticati nelle compravendite immobiliari, il legislatore, in sede di adeguamento della normativa domestica al diritto comunitario, ha imposto che lo scostamento del prezzo dichiarato dal valore normale, determinato in base ai dati OMI, non costituisca elemento presuntivo idoneo da solo a fondare l’accertamento; la CTR, laddove ha dato esclusivo rilievo alla consulenza tecnica di ufficio, ha completamente dimenticato che il thema decidendum era dato dal corrispettivo e non dal valore venale degli immobili compravenduti.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c., dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 54 d.P.R.
n. 633 del 1972 e degli artt. 73 e 80 della direttiva n. 2006/112/CE; sotto un diverso profilo si evidenzia che il CTU aveva omesso di considerare il valore venale al momento della conclusione delle trattative, momento desumibile dalle prove dei bonifici e delle scritture contabili prodotte in giudizio, negando di voler effettuare dette verifiche, laddove i primi giudici, nella formulazione del quesito, avevano indicato anche la necessità di una valutazione alla data degli «atti preliminari», per tale non potendosi ritenere quella di un inesistente contratto preliminare; inoltre le indagini finanziarie, pur disposte, non avevano dato alcun esito; pertanto i secondi giudici, recependo il risultato emergente dalla consulenza tecnica di ufficio, hanno ritenuto di poter assumere alla base del ragionamento inferenziale un elemento, il valore normale alla data di stipula del contratto, che nel caso di specie non aveva portata indiziante giacché a) risultava riferito a un momento diverso da quello in cui si è formato il consenso in ordine al corrispettivo; b) mancava un ulteriore elemento di concordanza in ordine al presunto occultamento del corrispettivo, quali le risultanze di indagini finanziarie.
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c., dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 73 e 80 della direttiva n. 2006/112/CE, in quanto la CTR, ritenendo che il valore normale desunto dalla perizia potesse essere sufficiente per ritenere l’occultamento di corrispettivo, ha finito per attribuire l’onere della prova sui contribuenti affermando espressamente che le relazioni forniscono indicazioni presuntive che era onere dei dissenzienti contrastare adeguatamente, sostanzialmente reintroducendo in maniera surrettizia la presunzione di corrispondenza valore venale/corrispettivo già soppressa dal legislatore.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, avendo i giudici di appello totalmente omesso di pronunciarsi in merito al denunciato vizio motivazionale degli avvisi originariamente impugnati.
Con il sesto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000; per le ipotesi in cui la CTR abbia implicitamente rigettato la doglianza relativa alla motivazione degli avvisi impugnati, in primo grado, essa ha comunque errato violando l’art. 7 dello Statuto del contribuente in quanto ha omesso di esprimere le ragioni di dissenso in relazione ai rilievi sollevati dal contribuente in sede di contraddittorio endoprocedimentale, violando l’obbligo di motivazione rafforzata.
Con l’ottavo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, in quanto, ove si intenda che la CTR abbia implicitamente rigettato il motivo precedentemente illustrato, essa ha violato le disposizioni citate in quanto la responsabilità ex art. 36 deve essere oggetto di accertamento con autonomo avviso che riguardi l’esistenza dell’obbligazione tributaria in capo alla società liquidata, il genere del tributo, il quantum cioè l’ammontare del denaro o dei beni ricevuti dal socio, ed il momento in cui ciò sia avvenuto.
Con il nono motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 nonché dell’art. 19 d.lgs. n. 46 del 1999, in quanto, ove si intenda che la CTR abbia implicitamente rigettato il motivo precedentemente illustrato, essa ha violato le disposizioni citate in quanto l’art. 19, secondo la formulazione in vigore
fino alla modifica intervenuta da parte del d.lgs. n. 175 del 2014, prevede l’applicabilità dell’art. 36 alle sole imposte sui redditi.
Con il decimo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 15 del d.P.R. n. 602 del 1973 e 2495 c.c. in quanto, ove si intenda che la CTR abbia implicitamente rigettato il motivo precedentemente illustrato, essa ha violato le disposizioni citate in quanto la responsabilità dei soci poteva essere fatta valere ai sensi dell’art. 2495 c.c. solo a fronte di crediti erariali divenuti definitivi nei confronti della società.
Con l’undicesimo e ultimo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3 d.lgs. n. 472 del 1997 e dell’art. 15 d.lgs. n. 158/2015, in quanto nelle more del deposito della sentenza è intervenuta lex mitior in merito al trattamento sanzionatorio, applicabile ai contribuenti in forza del principio del favor rei .
Il primo motivo è manifestamente fondato e il suo accoglimento assorbe l’esame di tutti gli altri motivi.
La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132 n. 4, c.p.c. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 546/1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, si configura quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione -ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel
“contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (Cass., Sez. U., n. 8053/2014; successivamente, tra le tante, Cass. n. 22598/2018; Cass. n. 6626/2022).
In particolare si è in presenza di una motivazione apparente allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Nel caso di specie, la motivazione della sentenza, esposta in maniera estremamente succinta, si limita ad affermare che «il dispositivo di primo grado è conforme alle relazioni peritali» e che la relazione costituisse «indicazione presuntiva che era onere dei dissenzienti contrastare adeguatamente».
Trattasi, all’evidenza, di affermazioni astratte e generiche come generica è la condivisione della relazione del CTU (al quale era stato conferito l’incarico di stimare il valore degli immobili sia al momento del rogito definitivo che degli atti preliminari).
Così facendo, la CTR ha omesso del tutto non solo di dare conto di alcune censure all’operato del CT U ma anche di fornire una motivazione sul punto centrale della controversia, costituito dalla contestata idoneità del valore normale dei beni compravenduti a costituire, da
solo, elemento presuntivo ai fini dell’accertamento del maggior corrispettivo, oltre che di dare conto degli specifici motivi di appello relativi alla responsabilità dei soci invocata ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973.
Il ricorso va, quindi, accolto nel suo primo motivo, assorbiti tutti gli altri.
Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 giugno 2025.