Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18349 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18349 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14578/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA n. 2730/2020 depositata il 24/11/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/05/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
La controversia ha ad oggetto l’avviso di accertamento IVA n. P_IVANUMERO_DOCUMENTOP_IVA, riferito all’anno 2015, emesso dall’RAGIONE_SOCIALE, notificato a RAGIONE_SOCIALE , attiva nel settore dei metalli da investimento, all’esito di verifica fiscale conclusasi con p.v.c. del 4 aprile 2018.
1.1. L’Ufficio contestava alla contribuente di avere utilizzato indebitamente la detrazione dell’IVA sulle cessioni di oro da investimento, ai sensi dell’art. 19, comma 3, lett. d), DPR 633 del 1972, non possedendo la medesima la qualifica di produttore di oro da investimento, giacché, acquistato l’oro da trasformare in lingotti, si serviva di ‘terzisti’ per la lavorazione, con la conseguenza che essa avrebbe dovuto applicare il regime della detrazione ‘pro rata’, di cui al comma 5 -bis del medesimo articolo, previsto per i soggetti diversi dai produttori. L’Ufficio recuperava pertanto l’IVA nella parte in cui sarebbe stata detratta in eccedenza, per l’ammontare di € 48.401,00, con aggiunta di oneri e sanzioni.
1.2. La società impugnava l’avviso, rivendicando, nel merito, la qualifica di produttore di oro da investimento ed in subordine invocando comunque l’inapplicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
La CTP di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 2151 del 2019, rigettava il ricorso, ritenendo di non poter considerare la contribuente
produttore di oro da investimento in ragione dell’esternalizzazione della lavorazione.
Proponeva la contribuente ricorso in appello, rigettato dalla CTR della Lombardia sulla base della seguente motivazione:
In merito all’eccezione di parte appellante vizio di motivazione dell’atto impositivo, la Commissione, condividendo le conclusioni in punto da parte del primi giudici, ritiene che l’avviso di accertamento impugnato da ritenersi pienamente legittimo, in quanto idoneo a portare a conoscenza di parte appellante i termini della pretesa fiscale ed a permettere alla stessa di valutare palesemente gli elementi sui quali si fondava, quindi, a consentire una difesa appropriata. In tal senso la giurisprudenza della Suprema Corte dalla quale si rileva che ‘il requisito motivazionale dell’avviso di accertamento può essere assolto ‘per relationem’ cioè mediante il riferimento a elementi di fatto offerti sa altri documenti ‘ .
In ordine al presunto vizio di motivazione della sentenza sollevato dall’Ufficio, il Collegio rileva che la sentenza impugnata risulta completa RAGIONE_SOCIALE indicazioni degli elementi dai quali i primi giudici hanno desunto il proprio convincimento e posti a fondamento della decisione, in presenza dei quali la sentenza si appalesa legittima per conformità alle prescrizioni dell’art. 136, co 2, nn. 2 e 4, D.Lgs. 546/92, in quanto rende possibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento seguito .
Nel caso in esame, la sentenza impugnata dà conto degli elementi dai quali i primi giudici hanno desunto il proprio convincimento risultando le argomentazioni a sostegno della
stessa comprensibili, soddisfacendo, pertanto, tutte le prescrizioni previste dalla legge.
Il Collegio, condivide le conclusioni dei primi giudici in punto, qui richiamate ‘per relationem’, a parere dei quali: ‘La ricorrente non pone in essere alcuna operazione di trasformazione e produzione di oro da investimento, attività che è invece svolta da un’altra società come pacificamente non contestato dalle parti, con la conseguenza che non le può essere riconosciuta la qualifica di soggetto produttore. Da qui, l’impossibilità di applicare il regime di esenzione IVA di cui all’art. 10, c. 1, n. 11) DPR 633/72 e la conseguente applicazione del regime dello pro-rota di detraibilità ex art. 19 DPR 633/72, come correttamente effettuato dall’Ufficio nell’avviso di accertamento qui impugnato”.
L’appello deve essere, pertanto, rigettato.
Le questioni appena vagliate esauriscono la controversia sottoposta al Collegio.
Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti assorbiti.
Propone ricorso la contribuente con tre motivi. Resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso. La contribuente deposita memoria telematica addì 30 aprile 2024.
Considerato che:
Preliminarmente deve disattendersi la richiesta di rinvio della causa ai fini della trattazione in pubblica udienza, formulata dalla contribuente in memoria, non sussistendo ragioni, alla luce della concreta decisione che andrà ad assumersi, per aprire alle formalità di massima partecipazione in contraddittorio.
Con il primo motivo si denuncia: ‘Motivazione apparente e omessa valutazione di circostanze ed argomenti probatori. Censura
proposta ai sensi degli arti. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c. in relazione agli arti. 7, legge 212/2000 e 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 546/1992 e 116 c.p.c.’.
2.1. La sentenza impugnata si limita a condividere quella della CTP, che era stata a sua volta impugnata dalla contribuente per difetto di motivazione, senza rendere conto RAGIONE_SOCIALE ragioni della decisione, soprattutto alla luce del fatto che, nell’atto di appello (riassunto e parzialmente riprodotto nel motivo per autosufficienza), la contribuente aveva spiegato come ‘il ciclo produttivo non si esaurisc nella fase della trasformazione in lingotti dell’oro acquistato o importato. Inizia appunto con l’acquisto o l’importazione dell’oro e con la sua raffinazione e si conclude con la punzonatura dei lingotti (senza la quale come già detto l’oro non è commerciabile), lingotti che vengono poi sigillati ‘in apposita confezione anticontraffazione Certigold’ (p. 23 dell’appello, all. 5). L’attività del terzista, dunque, copre soltanto la fase meccanica della ‘trasformazione’ (‘rectius’: colatura) dell’oro nella forma del lingotto, fase che non riveste nessun carattere di autonomia rispetto all’intero ciclo produttivo. L’appellante ha chiarito come il ruolo del terzista si inserisca soltanto in una fase intermedia della produzione per cui l’ufficio prima ed il giudice poi ‘erra quando afferma che il terzista si occupa della modifica RAGIONE_SOCIALE caratteristiche dell’oro per trasformarlo in oro da investimento, in quanto il terzista riceve l’oro, di proprietà della ricorrente, già raffinato e si limita a dare forma al lingotto (con attrezzature di proprietà della ricorrente) e peso, mancando pertanto al terzista la lavorazione della raffinazione dell’oro e la successiva indispensabile lavorazione consistente nella incisione del marchio di fabbrica e del titolo dell’oro, svolta direttamente dalla ricorrente’ (p. 18 dell’appello, all. 5). Dunque, non è affatto vero
quanto scrivono i giudici di appello, copiando la sentenza di primo grado, alla quale aderiscono acriticamente, che ‘la ricorrente non pone in essere alcuna operazione di trasformazione e produzione di oro da investimento’ ‘.
Con il secondo motivo si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 19, commi 3, lett. d), e 5-bis, dpr 633/1972. Censura proposta ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., in relazione al citato art. 19’.
3.1. ‘Premesso in punto di fatto che la estemalizzazione di una fase della produzione non fa venire meno la ‘suitas’ dell’intero ciclo produttivo, che comunque fa capo alla RAGIONE_SOCIALE, occorre ora chiarire che anche sotto il profilo giuridico la parziale esternalizzazione del processo produttivo non comporta la perdita della qualifica di produttore del ‘dominus’ dell’attività complessiva . La conclusione giuridica, alla quale giunge la CTR, al pari di quella fattuale, è errata ‘. Il motivo si diffonde poi in un’ampia disamina dell’art. 19, commi 3, lett. d), e 5-bis, DPR n. 633 del 1972, concludendo che, ‘ove mai codesta Ecc.ma Corte ritenesse di non aderire alla interpretazione prospettata dalla sottoscritta difesa, allora sarebbe inevitabile la rimessione della questione al giudice RAGIONE_SOCIALE leggi perché l’interpretazione punitiva proposta dall’RAGIONE_SOCIALE produce conseguenze aberranti sul piano della legittimità costituzionale. Infatti, la tesi interpretativa prospettata dalla RAGIONE_SOCIALE ha come conseguenza che a) i “non produttori” che affidano a terzi l’intero ciclo di trasformazione dell’oro beneficiano della detrazione totale di tutti i costi direttamente imputabili alla trasformazione (ai sensi del comma 5bis), mentre invece b) i “produttori” che affidano a terzi un solo segmento del ciclo produttivo (magari anche di scarsa rilevanza) restano assoggettati alla sola detrazione con metodo del ‘pro rata’
puro (secondo il regime del comma 5 dell’art. 19 DPR 633/1972) e comunque non possono detrarre interamente l’IVA direttamente riferibile al costo del processo produttivo’.
Con il terzo motivo si denuncia: ‘Omessa pronuncia sulla eccezione di inapplicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni per incertezza del precetto primario e violazione dell’art. 10, comma 3, della legge 212/2000, per non avere accolto la predetta eccezione. Censura proposta ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c. in relazione all’art. 10, comma 3, della legge 212/2000 e 112 c.p.c.’.
4.1. ‘In linea del tutto subordinata, questa difesa è costretta a riproporre l’eccezione di inapplicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni sulla quale la CTR non si è pronunciata’.
È fondato il primo motivo, con assorbimento dei restanti due.
5.1. È noto che ‘la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’
della motivazione’ (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01).
5.2. In specifico riferimento alla motivazione ‘per relationem’ della sentenza d’appello, si insegna che ‘la sentenza d’appello non può ritenersi legittimamente resa ‘per relationem’, in assenza di un comprensibile richiamo ai contenuti degli atti cui si rinvia, ai fatti allegati dall’appellante e alle ragioni del gravame, così da risolversi in una acritica adesione ad un provvedimento solo menzionato, senza che emerga una effettiva valutazione, propria del giudice di appello, della infondatezza dei motivi del gravame’ (sez. 3, n. 2397 del 03/02/2021, Rv. 660394 -01).
5.3. Ricorre nella specie il denunciato vizio di mera apparenza della motivazione della sentenza impugnata.
5.3.1. Anzitutto, la CTR non riassume con un minimo di precisione le specifiche devoluzioni della contribuente in appello, limitandosi, assai succintamente (tenuto conto, invece, della ricostruzione del contenuto del ricorso in appello effettuata nel motivo), ad affermare che essa ‘avanza le medesime censure già rese nel ricorso introduttivo’ e ‘lamenta l’insufficienza dell’apparato motivazionale della pronuncia, che avrebbe erroneamente interpretato la questione dedotta’.
5.3.2. In aggiunta a tale mancanza, di per sé rilevante, atteso che la posizione della contribuente in appello non era per nulla reiterativa di quella di primo grado, aggredendo anche in fatto la ricostruzione della CTP, la CTR esaurisce la motivazione -premessa, con formule stereotipate, la sufficienza motivazionale della sentenza di primo grado – mediante la pura e semplice dichiarazione di ‘condivisione’ RAGIONE_SOCIALE conclusioni di questa, riprodotte testualmente, senza alcun confronto critico con le
(inespresse) doglianze della contribuente, non solo in punto di diritto, ma giust’appunto anche in punto di fatto.
5.4. La sentenza impugnata, pertanto, pur dotata di una motivazione grafica, non esibisce alcuna motivazione contenutisticamente idonea a soddisfare lo ‘standard’ del minimo costituzionale.
5.5. Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata con rinvio per nuovo esame e per le spese, anche con riguardo al presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, e, in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 17 maggio 2024.