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Motivazione apparente: Cassazione annulla sentenza

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di una commissione tributaria regionale per vizio di motivazione apparente. La corte di merito aveva respinto la pretesa del Fisco verso gli ex soci di una società cancellata senza analizzare adeguatamente i diversi titoli di responsabilità invocati dall’Agenzia delle Entrate. La Suprema Corte ha ritenuto che il ragionamento dei giudici di secondo grado fosse meramente formale e non consentisse di comprendere l’iter logico-giuridico seguito, configurando così una motivazione apparente che determina la nullità della pronuncia. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione Apparente: Quando il Silenzio del Giudice Annulla la Sentenza

Una sentenza deve sempre spiegare in modo chiaro e comprensibile perché il giudice ha deciso in un certo modo. Quando questa spiegazione manca o è solo di facciata, si parla di motivazione apparente, un vizio grave che può portare all’annullamento della decisione. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16441/2024, ha riaffermato questo principio fondamentale in un complesso caso tributario riguardante la responsabilità degli ex soci di una società estinta.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una cartella esattoriale notificata nel 2012 a due ex socie di una società in accomandita semplice, cancellata dal registro delle imprese sin dal 2005. L’Agenzia delle Entrate richiedeva il pagamento di una maggiore imposta (ILOR) relativa all’anno 1985, debito accertato con una sentenza definitiva del 2010. Le destinatarie della cartella erano ex socie accomandanti e, allo stesso tempo, eredi del socio accomandatario defunto; una di esse era anche l’ex liquidatrice della società.

Le contribuenti hanno impugnato la cartella, ottenendo ragione sia in primo grado che in appello. La Commissione Tributaria Regionale (CTR) ha confermato l’annullamento dell’atto, sostenendo che la pretesa tributaria non potesse essere azionata nei confronti delle ex socie perché la sentenza che accertava il debito era stata emessa contro una società già estinta da cinque anni, senza che le socie stesse fossero state coinvolte in quel processo.

La Decisione della Commissione Tributaria e il Ricorso per Cassazione

L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali. In primo luogo, ha lamentato la violazione del principio del giudicato, poiché la CTR non avrebbe considerato che il credito era stato definitivamente accertato. In secondo luogo, ha sostenuto che la CTR avesse erroneamente negato la responsabilità delle ex socie per i debiti sociali successivi all’estinzione dell’ente, nei limiti di quanto percepito con il bilancio finale di liquidazione. Infine, e questo è il punto cruciale, l’Agenzia ha denunciato la nullità della sentenza per motivazione apparente.

La motivazione apparente come vizio di nullità

Secondo l’Agenzia, i giudici d’appello avevano liquidato le sue argomentazioni in modo sbrigativo, senza una vera e propria analisi. La CTR si era limitata a osservare che la società era cancellata e che le contribuenti avrebbero dovuto essere chiamate nel giudizio precedente, richiamando genericamente le argomentazioni del giudice di primo grado. Questo comportamento, secondo la ricorrente, equivaleva a una totale assenza di motivazione.

La Corte di Cassazione ha accolto proprio quest’ultimo motivo, ritenendolo assorbente rispetto agli altri. Ha ricordato che, a seguito della riforma del processo civile, il controllo sulla motivazione è limitato alla verifica del rispetto del “minimo costituzionale”. Una sentenza è nulla quando la motivazione è del tutto assente, è incomprensibile, presenta un contrasto insanabile tra le affermazioni o, appunto, è una motivazione apparente.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha definito la motivazione apparente come quella che, pur essendo materialmente presente nel testo, non rende percepibili le ragioni della decisione. È un guscio vuoto che non permette di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice, impedendo così qualsiasi controllo sulla sua correttezza.

Nel caso specifico, l’Agenzia delle Entrate aveva chiaramente specificato in appello che la pretesa si fondava su più basi: non solo sulla loro qualità di eredi del socio accomandatario, ma anche su quella di ex socie accomandanti e, per una di esse, di ex liquidatrice. Ciascuno di questi ruoli comporta un diverso tipo e limite di responsabilità per i debiti sociali.

La CTR, invece di analizzare queste specifiche censure, ha fornito una risposta generica e superficiale, astenendosi dal compiere gli accertamenti necessari. Il semplice riferimento alle “argomentazioni svolte dal Giudice di primo grado”, che a loro volta non avevano affrontato puntualmente il tema, non costituisce una motivazione sufficiente. Questo modo di procedere ha creato una “lacunosa ricostruzione della vicenda” e una “priva di effettiva disamina critica delle doglianze”, rendendo la motivazione meramente apparente e, di conseguenza, la sentenza nulla.

Conclusioni: L’Obbligo di una Motivazione Effettiva

L’ordinanza in esame ribadisce un principio cardine del nostro ordinamento: il dovere del giudice di motivare le proprie decisioni non è un mero adempimento formale, ma una garanzia fondamentale per le parti del processo e per la collettività. Una motivazione deve essere effettiva, consentendo di comprendere il ragionamento del giudice e di poterlo, eventualmente, contestare. Per questo motivo, la Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, affinché la controversia sia riesaminata con una motivazione congrua ed esaustiva.

Quando una motivazione di una sentenza è considerata “apparente”?
Una motivazione è considerata apparente quando, pur essendo materialmente presente, è formulata in termini così generici, contraddittori o tautologici da non rendere comprensibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice. In pratica, è una motivazione che non spiega le vere ragioni della decisione, impedendo un effettivo controllo sulla sua correttezza.

Gli ex soci di una società cancellata possono essere chiamati a rispondere dei debiti tributari della società?
Sì, la possibilità che gli ex soci rispondano dei debiti sociali anche dopo la cancellazione della società è un principio giuridico riconosciuto. La sentenza evidenzia che la corte di merito ha errato nel non esaminare adeguatamente questa specifica argomentazione, che si basa su diversi titoli di responsabilità (come ex socio, ex liquidatore o erede), ciascuno con i propri limiti.

Cosa accade quando la Corte di Cassazione annulla una sentenza per motivazione apparente?
La Corte di Cassazione cassa la sentenza viziata e rinvia la causa a un altro giudice dello stesso grado di quello che ha emesso la pronuncia annullata (in questo caso, un’altra sezione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado). Il giudice del rinvio dovrà esaminare nuovamente la controversia e emettere una nuova sentenza, fornendo questa volta una motivazione completa ed effettiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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