Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14630 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14630 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22404/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in BRESCIA INDIRIZZOC DOM. DIG., presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende ex lege
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di SECONDO GRADO LOMBARDIA n. 1338/2023 depositata il 12/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugna la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sez. staccata di Brescia, con cui è stata integralmente riformata la sentenza della C.T.P. di Brescia di accoglimento del ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento in rettifica, con il quale l’immobile di proprietà del contribuente era stato riclassificato nella cat. A1, in luogo della cat. A2 proposta dal medesimo in sede di procedura DOCFA.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado ha ritenuto non necessario -ai fini del classamento- il sopralluogo dell’Ufficio, in presenza di termini di paragone relativi ad unità similari già oggetto di accertamento, osservando che, nel caso di specie, l’amministrazione, operando in rettifica, ha proceduto ad un articolato intervento di analisi, anche attraverso l’esame delle visure storiche, da cui l’immobile risultava ‘quasi sempre’ collocato in cat. A1, così come quelli limitrofi. La Corte di secondo grado ha, inoltre, sottolineato l’inconferenza del richiamo fatto dal contribuente al d.m. 1072 del 1969, esso riferendosi alle agevolazioni sulla prima casa.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME formula tre motivi di ricorso.
Con il primo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, comma 2 n. 4 e dell’art. 36, comma 2 n. 4 d. lgs.
546 del 1992, per essere la motivazione della sentenza meramente apparente. Premette che la procedura DOCFA era scaturita da modifiche interne dello spazio abitativo e dalla costituzione di una servitù a favore del Condominio per l’accesso al locale ascensore, attraverso il ballatoio di proprietà esclusiva; che con il ricorso introduttivo era stato precisato come l’unità immobiliare fosse il frutto del frazionamento di un appartamento di 14 locali, classificato in cat. A2 sino al 4 dicembre 2022, essendo poi il medesimo immobile stato inquadrato nella cat. A1 a seguito dell’accorpamento del sottotetto; che a seguito del frazionamento il sub. 10 (di cui si discute) è risultato costituito dal sottotetto e da una parte del precedente appartamento e che pertanto, sin dall’epoca del frazionamento, si sarebbe dovuto procedere alla riclassificazione in cat. A2; che le unità abitative limitrofe, prese a paragone dall’Ufficio, hanno caratteristiche diverse, nessuna di esse essendo gravata da servitù limitative della proprietà; che sempre con l’atto introduttivo del giudizio era stato dedotto il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, esso facendo riferimento ad un sopralluogo esterno svolto dall’Ufficio, il cui verbale non risultava allegato, in violazione dell’art. 7 l. 212 del 2000, tanto è vero che il giudice di prima cura aveva annullato l’avviso in quanto operato su criteri teorici, in assenza di sopralluogo. Osserva che, ciononostante, la sentenza di secondo grado si limita a sostenere che il sopralluogo non è necessario, accogliendo l’appello con frasi di stile, facendo riferimento a ‘studi’ e ‘considerazioni catastali’ che l’Ufficio avrebbe versato in atti, ma che non risultano dall’atto impugnato, giungendo ad affermare che essi risultano corretti per ‘l’attribuzione della cat. A5, classe 5’, ancorché si discutesse della cat. A1. La motivazione della sentenza si dimostra, pertanto, apparente, non esplicitando le ragioni della decisione assunta ed omettendo
del tutto l’esame delle argomentazioni e delle prove offerte dal contribuente.
Con il secondo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della l. 212 del 2000, 3 della l. 241 del 1990 e 24 Cost.. Richiama la giurisprudenza di legittimità sulla motivazione dell’accertamento catastale e sottolinea l’incoerenza della decisione impugnata laddove asserisce che il sopralluogo non è necessario in sede di rettifica di procedura DOCFA, dimenticando che era stato proprio l’Ufficio a giustificare la rettifica sulla base del sopralluogo esterno, non allegato e mai documentato. Rileva che l’obbligo di allegare all’atto accertativo i documenti cui il medesimo fa riferimento, stabilito dall’art. 7 l. 212 del 2000, ha la precipua funzione di garantire il diritto del contribuente alla difesa, senza onerarlo della ricerca presso i pubblici uffici.
Con il terzo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 7, comma 5 bis d. lgs. 546 del 1992. Rileva che, secondo la sentenza impugnata, l’Ufficio avrebbe ‘analizzato la visura storica dell’immobile’ da cui sarebbe risultato che esso ‘ è quasi sempre in cat. A1 e così risultano quelli limitrofi’ e che sarebbero stati versati ‘in questo processo tutti gli studi e le considerazioni catastali per l’attribuzione della cat. A5 classe 5 che si reputano corretti’. Sostiene che l’avere così fondato la decisione confligge con la regola sulla ripartizione dell’onere probatorio, anche in considerazione degli elementi fattuali opposti e provati dal contribuente. Assume di avere documentalmente dimostrato (allegati 7 e 8 delle controdeduzioni in appello) che gli immobili limitrofi, facenti parte di INDIRIZZO sono accatastati in cat. A2. Del resto l’unità abitativa in esame era stata in precedenza accatastata in
cat. A2. La stessa Corte di secondo grado, pur confermando il classamento dell’Ufficio, riconosce, infatti, che l’immobile ‘quasi sempre’ è stato inquadrato nella cat. A1. Sottolinea che il giudice di prima cura aveva correttamente dato rilievo alla circostanza, ignorata dalla sentenza impugnata, che l’immobile era derivato da frazionamento, sicché il numero dei vani era risultato ridotto, ciò incidendo sull’inquadramento catastale. Rappresenta l’incoerenza della precisazione contenuta in sentenza circa la non rilevanza del d.m. 2 agosto 1969, posto che il contribuente vi aveva fatto riferimento solo per contrastare, (a mezzo di perizia e di documentazione tecnica e fiscale allegata in atti) il ricorso ai parametri adottati dall’Ufficio, il quale con l’avviso di accertamento aveva fatto riferimento a ‘vani di media ampiezza ben disimpegnati’ alla ‘dotazione di tre bagni’ ed alla presenza di ‘pavimenti in marmo e parquet’, ed al fine di dimostrare l’insussistenza delle caratteristiche dell’abitazione ‘signorile’. Aggiunge che il disposto dell’art. 7, comma 5 bis d. lgs. 546 del 1992 impone che l’Amministrazione provi in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato, chiarendo che l’eventuale carenza motivazionale dell’atto non può essere colmata in sede processuale, stabilendo che se la prova dell’atto impositivo manca o è contraddittoria o insufficiente l’atto deve essere annullato. Nel caso di specie, il giudice di secondo grado, mal governando la disposizione, ha avallato la rettifica dell’Ufficio sulla base di affermazioni prive di qualsiasi riscontro oggettivo.
Il primo motivo è fondato e comporta l’assorbimento del terzo.
Va premesso che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre ove il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento,
anche solo implicito di accoglimento o di rigetto ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili'( Cass. Sez. 5, 23/10/2024, n. 27551). Ed invero, secondo questa Corte ‘L’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato’ ( ex multis : Cass. Sez. 6, 27/10/2017, n. 25557).
Ciò posto, va ricordato che secondo le Sezioni Unite, è apparente la motivazione graficamente presente quando essa caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione (cfr. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016). E, dunque, per assolvere l’obbligo di motivazione costituzionalmente imposto alle decisioni giurisdizionali -come specificato dall’art. 132, comma 2, n. 4) e dall’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario)- il giudice è tenuto a precisare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, chiarendo su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione,
rendendo così percepibile il fondamento della decisione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (in questo senso Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, in motivazione, negli stessi termini ex multis : Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022). D’altro canto, il vizio di motivazione apparente sussiste anche quando ‘la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito. (Cass. Sez. L. 14/02/2020, n. 3819; cfr. Cass. Sez. L., 21/12/2010, n. 25866).
8. Nel caso di specie, al di là della pur corretta premessa secondo la quale l’effettuazione del sopralluogo non è, in astratto, necessaria per provvedere alla rettifica della categoria catastale a seguito di DOCFA (cfr. ex multis Cass. Sez. 6, 10/01/2017, n. 374), la sentenza si presenta come meramente assertiva. Si legge, infatti, che ‘L’Ufficio ha proceduto ad un articolato intervento di analisi nell’esame e revisione della DOCFA. Ha analizzato la visura storica dell’immobile ed è risultato quasi sempre in cat. A1 e così risultano quelli limitrofi. Si accoglie il motivo’ . Manca, dunque, qualsivoglia esplicitazione del contenuto delle prove poste a fondamento della ritenuta esattezza dell’inquadramento assegnato dall’avviso in rettifica. Né pare soccorrere l’affermazione conclusiva secondo cui ‘l’Ufficio ha versato in questo processo tutti gli studi e considerazioni catastali per l’attribuzione della cat. A/5 classe 5 che si reputano corretti’, perché neppure con quest’ultimo passo la Corte di secondo grado dà forma al ragionamento, chiarendo quali siano le risultanze fattuali e le prove a loro corredo che consentono di confermare la classificazione nella cat. A1,
assegnata dall’Ufficio, e di considerare superate le deduzioni e le prove offerte dal contribuente, a dimostrazione del contrario.
Nondimeno, come spiegato da questa Corte, ‘in tema di valutazione delle prove ed in particolare di quelle documentali, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti’ (Cass. Sez. 3, 30/05/2019).
Il secondo motivo non è fondato.
Come accennato supra , questa Corte ha chiarito che: ‘In tema di estimo catastale, la revisione delle rendite catastali urbane in assenza di variazioni edilizie non richiede la previa “visita sopralluogo” dell’ufficio, né il sopralluogo è necessario quando il nuovo classamento consegua ad una denuncia di variazione catastale presentata dal contribuente, atteso che le esigenze sottese al sopralluogo ed al contraddittorio si pongono solo in caso di accertamento d’ufficio giustificato da specifiche variazioni dell’immobile. (Cass. Sez. 6, 10/01/2017, n. 374; cfr. anche: Cass. sez. 6-5, del 13 febbraio 2015, n. 2998; Cass. sez. 6-5, del 14 novembre 2012, n. 19949; Cass. sez. 5, del 3 novembre 2010, n. 22313).
Ora, il fatto che l’Ufficio abbia svolto un ‘sopralluogo esterno’ e che esso risulti menzionato nell’avviso impugnato, senza essere al medesimo allegato, non comporta la nullità dell’atto per difetto di motivazione, laddove in esso siano contenuti i presupposti di fatto e di diritto posti alla base della stima, che, nel caso di specie, risultano espressamente enunciati nella rettifica della classificazione di cui in dichiarazione DOCFA. L’avviso, infatti, dato atto di avere provveduto al riclassamento sulla base delle caratteristiche indicate dall’atto di
aggiornamento presentato dalla parte, degli strumenti informatici a disposizione dell’Agenzia, e sulla base di un sopralluogo esterno, ripristina la cat. A1, giudicando che la presenza di ‘tre bagni, un notevole numero di accessori, pavimenti in parquet ed in marmo, impiantistica completa, dotazione di ascensore comune e corte interna comune’, nonché la collocazione dell’immobile ai limiti della prima zona censuaria, il precedente classamento dell’unità immobiliare e dell’altra abitazione posta al secondo piano, ed infine, l’assenza di significative modifiche, non giustifichino il declassamento dalla cat. A1 alla cat. A2, come preteso con la DOCFA. Il classamento nella cat. A1, infatti, secondo l’atto di rettifica ‘risulta coerente con quello attribuito ad altre unità immobiliari limitrofe, simili per caratteristiche (tipologia edilizia, schema distributivo, dotazioni impiantistiche, servizi ed aree comuni)’ elencate dall’Ufficio nel medesimo avviso.
Al di là della correttezza della classificazione attribuita dall’avviso in rettifica, su cui dovrà pronunciarsi il giudice di merito, vi è che l’avviso in rettifica non è motivato sulla base del sopralluogo esterno, solo menzionato, ma della valutazione delle caratteristiche dell’immobile come risultanti dalla DOCFA e dagli altri atti a disposizione dell’Ufficio, ripresi nell’atto impugnato. Ne consegue che l’irrilevanza della mancata allegazione non deriva solo dall’insussistenza dell’obbligo di sopralluogo in caso di riclassamento a seguito di DOCFA, ma dalla stessa motivazione dell’avviso impugnato, che non attribuisce al sopralluogo alcuna rilevanza.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria della Lombardia- sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, cui è demandata anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, respinto il secondo ed assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 11 marzo 2025 .