Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11475 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11475 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24139/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA della C.T.R. della LIGURIA n. 1454/2019 depositata il 09/12/2019 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La soc. RAGIONE_SOCIALE impugna la sentenza della C.T.R. della Liguria di reiezione dell’appello avverso la sentenza della C.T.P. di Genova con cui è stato rigettato il ricorso per l’annullamento del ruolo e della cartella esattoriale per il pagamento della TIA per gli anni di imposta 2010-2011.
La C.T.R., ritenuto l’appello ‘non accoglibile in quanto si limita a riproporre le argomentazioni svolte nel giudizio di primo grado senza indicare specifici motivi di impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado’, nel merito, richiamando la giurisprudenza di legittimità sulla differenza fra TARSU e TIA e sulla funzione di quest’ultima volta a coprire anche le spese pubbliche di smaltimento dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle aree pubbliche, ha affermato che la quota fissa della TIA è sempre dovuta per intero, sul mero presupposto del possesso o della detenzione di superfici astrattamente idonee alla produzione di rifiuti.
La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Con comparsa di costituzione di nuovo difensore, datata 30 gennaio 2025, si è costituita per la RAGIONE_SOCIALE l’avv. NOME COGNOME depositando procura alle liti.
Con memoria del 31 gennaio 2025 la RAGIONE_SOCIALE Spedizioni conferma le conclusioni assunte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La soc. RAGIONE_SOCIALE formula nove motivi di ricorso.
Con il primo motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 4) cpc, la nullità della sentenza impugnata per apparenza della motivazione. Rileva che la C.T.R., nell’affermare che l’appello si limita a riproporre argomentazioni svolte nel giudizio di primo grado, senza indicare specifici motivi di impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado, non si confronta con l’a tto con il quale sono state introdotte le censure alla sentenza impugnata. Osserva che, avendo la sentenza di prima cura sbrigativamente disatteso le ragioni dell’impugnazione dell’atto impositivo, le relative argomentazioni non potevano che essere riproposte con il gravame. Assume che la sentenza della C.T.R., comunque, decide nel merito, benché si limiti a riprendere pedissequamente la pronuncia della Suprema Corte n. 14038/2019, senza consentire di comprendere l’iter logico -giuridico seguito nella formazione del proprio convincimento e senza, sostanzialmente, affrontare le censure proposte con l’atto di gravame.
Con il secondo motivo si duole, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., della violazione dell’art. 72 d.lgs. 507 del 1993. Riproponendo la questione di nullità del ruolo per decadenza, in quanto non affrontata dalla C.T.R., sostiene che l’iscrizione a ruolo per gli anni 2011 e 2012 sarebbe tardiva, in quanto intervenuta nel 2014, ovvero oltre l’anno successivo a quello per cui il tributo è dovuto. Diversamente da quanto ritenuto dall’A.MRAGIONE_SOCIALE, infatti, l’art. 49 del d.lgs. 22 del 1997 non ha soppresso il d.lgs. 507 del 1993 e con esso l’art. 72 – ma solo la tassa per lo smaltimento dei rifiuti a partire dall’anno 2013. L’art. 72 del d.lgs. 507 del 1993 è applicabile anche alla TIA, che altro non è che una variante della TARSU. Assume che l’art. 49
del d.lgs. 22 del 1997 si limita a consentire, senza imporre, il ricorso al ruolo, quale alternativa all’ingiunzione di cui all’art. 1, comma 158 della l. 296 del 2006, ed osserva che se l’art. 72 fosse applicabile solo alla TARSU e non alla TIA il contribuente sarebbe in balia della scelta comunale di passare alla nuova tariffa, ciò comportando un’evidente violazione dell’art. 3 della Costituzione. Osserva che l’applicabilità dell’art. 72 d.lgs. 507 del 1993 deve condurre ad escludere la fondatezza della tesi avversaria per la quale, in assenza del termine di decadenza, dovrebbe farsi riferimento unicamente al termine ordinario di prescrizione, argomento, peraltro, contraddetto dalla giurisprudenza di legittimità, ed incompatibile sia con la disposizione di cui all’art. 1, comma 161 l. 296 del 2006, che autorizza l’attività accertativa solo entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui deve essere fatta la dichiarazione, sia con la disposizione dell’art. 1, comma 163 d.lgs. cit. che modifica il procedimento di riscossione dei tributi locali, solo a seguito di accertamento, lasciando fermo, dunque, il sistema di riscossione previsto per le ipotesi di ruolo conforme alla dichiarazione del contribuente o coerente con precedente ruolo.
Con il terzo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 72 d.lgs. 507 del 1993 , per non avere la C.T.R. dichiarato la nullità dell’iscrizione a ruolo per non essere stata preceduta da accertamento. Ricorda che secondo la giurisprudenza di legittimità non c’è necessità di previa notifica dell’avviso di accertamento in assenza di richieste di esenzioni o riduzioni del tributo, con la conseguenza dell’obbligo di accertamento, allorquando dette richieste siano formulate, a pena di nullità del ruolo. Nel caso di specie, la RAGIONE_SOCIALE aveva richiesto l’esclusione dell’area destinata a magazzino sia con riferimento all’immobile sito in INDIRIZZO
Genova che, successivamente, a seguito del trasferimento dell’attività, per l’immobile sito in INDIRIZZO
Con il quarto motivo lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 191 del T.F.U.E., dell’art. 14 della direttiva n. 2008/98/CE, dell’art. 117 Cost. e degli artt. 3 d.P.R. 915 del 1982 e 62, comma 3 del d.lgs. 507 del 1993. Rammenta che, da quando con il d.P.R. 915 del 1982 il legislatore ha distinto i rifiuti urbani da quelli speciali, stabilendo che per i secondi i produttori siano tenuti a provvedere a proprie spese allo smaltimento, attraverso imprese autorizzate, si è altresì prescritto che ‘nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, di regola, i rifiuti speciali’ (art. 21), in attuazione della direttiva CE n. 442 del 1975, con cui è stato introdotto il principio ‘chi inquina paga’. Siffatta direttiva è stata successivamente sostituita dalla direttiva 2008/98/CE (recepita dal d.lgs. 205del 2010) che all’art. 14 stabilisce che ‘secondo il principio ‘chi inquina paga’, i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore’. Il principio del ‘non tener conto’, quale contrappeso degli obblighi gravanti sul produttore, costituisce fondamento della materia, come dimostrano sia l’art. 62 del d.lgs. 507 del 1993, sia l’art. 14 della legge TARES (d.l. 201 del 2011, conv. in l. 214 del 2011), che l’art. 1, comma 649 della legge TARI (l. 143 del 2013), che tutti tale principio recepiscono. Ciò implica che il produttore è esonerato dal tributo per le superfici cui debba provvedere in proprio allo smaltimento. Rileva che, secondo la Suprema Corte, il principio ‘chi inquina paga’ è da fa risalire all’art. 174 del Trattato CE e che, in ogni caso, la direttiva 2008/98/CE è self-executing e che la sua violazione, così come quella del Trattato, comportano anche la violazione dell’art. 117 Cost.. Osserva che l’esenzione dal tributo per le superfici produttive di rifiuti speciali, il cui smaltimento incombe
sul produttore, ha trovato generalizzata applicazione a prescindere dalla sua denominazione. E ciò perché il quadro normativo affianca al criterio dell’alternatività tra il servizio pubblico e privato, quello della esaustività del servizio da prestare, al fine di evitare la duplicazione dei costi. Sottolinea che l’evoluzione normativa e l’approdo alla disposizione di cui all’art. 1, comma 649 della l. 147 del 2013, secondo la quale l’esenzione compete per le superfici ‘ove si formano in via prevalente e continuativa rifiuti speciali’ illumina anche la precedente dizione ‘ove, per specifiche caratteristiche strutturali e di destinazione, si formano di regola rifiuti speciali’ di cui all’art. 62, comma 3 d.lgs. 507 del 1993, ratione temporis applicabile, nonché all’art. 14, comma 10 della legge TARES (d.l. 201 del 2011, conv. in l. 214 del 2011), che ad essa ha aggiunto la specificazione ‘ossia in via prevalente e continuativa’. Invero, la l. 147 del 2013 non solo definitivamente sostituisce il ‘di regola’ con ‘in via prevalente e continuativa’, ma esclude ogni riferimento alle caratteristiche strutturali, con la conseguenza che l’esenzione non è giustificata dalle caratteristiche dell’immobile, ma dall’obbligo di provvedere in proprio allo smaltimento dei rifiuti speciali.
Con il quinto motivo denuncia, ex art. 360, comma 1 n 3 c.p.c., la violazione dell’art. 62, comma 3 d.lgs. 507 del 1993. Rileva che la sentenza, dopo avere affermato che i motivi di appello erano privi di specificità, decidendo comunque nel merito, ha ritenuto, sulla scorta di un orientamento giurisprudenziale, comunque dovuta la ‘quota fissa’ del tributo, ancorché debba ritenersi che il presupposto del tributo non possa che essere unico per entrambe le componenti del tributo (fissa e variabile), la cui commisurazione può rilevare solo ai fini della misura dell’imposizione. Né può ritenersi che la quota fissa del tributo sia da collegare non allo smaltimento, ma allo
spazzamento delle strade, avuto riguardo al fatto che i rifiuti esterni fanno parte dei rifiuti urbani, ricadenti nella competenza privativa del Comune. Invero l’art. 49 d.lgs. 22 del 1997, distinguendo fra la quota fissa e la quota variabile, precisa che la prima è relativa agli investimenti ed alle opere ed ai relativi ammortamenti, sicché non può sostenersi che lo spazzamento delle strade rientri nella quota fissa. Sostiene che la regola del ‘non tener conto’ non può che escludere qualsiasi assoggettamento a tributo delle aree ove di producano rifiuti speciali
Con il sesto motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 5 e 29 del Regolamento per la gestione dei rifiuti urbani del Comune di Genova e degli artt. 17, commi 2 e 4 e 19, comma 6 del regolamento TIA. Sostiene che l’esclusione -operata dal Regolamentodell’assimilazione ai rifiuti solidi urbani degli imballaggi secondari e terziari, comporta l’esclusione dell’applicazione della TIA alle superfici ove si producono i rifiuti dichiarati non assimilati, non ricadendo nel regime di privativa.
Con il settimo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c., l’omessa pronuncia in ordine ad un motivo formulato in sede di originario ricorso e riproposto con l’appello, inerente all’applicazione dell’art. 195, comma 2 lett. e) del d.lgs. 152 del 2006, a mente del quale non si applica la tariffazione per gli imballaggi secondari e terziari per i quali risulti documentato il non conferimento al servizio di gestione dei rifiuti urbani e riciclo diretto tramite soggetti autorizzati. Ritiene che l’applicabilità della disposizione prescinda dall’adozione di criteri regolamentari in ordine all’assimilazione dei rifiuti a quelli urbani, mai adottati, posto il carattere sostanziale della norma e la sua perentorietà che esclude siffatti tipi di imballaggi dalla tariffazione. In questo senso si è espressa
non solo la giurisprudenza di merito, ma anche la Corte Costituzionale in occasione della pronuncia n.249 del 2009. Nega la validità dell’assunto di controparte, secondo cui l’art. 195 cit. avrebbe avuto l’obiettivo di introdurre una sorta di TIA 3, ovverosia una nuova tariffa distinta da TIA 1 e da TIA 2, quest’ultima regolata dall’art. 238 del d.lgs. 156 del 2006, avendo la Suprema Corte precisato come proprio siffatto ultimo tributo non sia diventato operativo, non avendo sostituito la TIA 1, lasciata in vita sino all’introduzione della TARES. Il fatto che la TIA 2 non abbia mai trovato applicazione non significa, tuttavia, che l’ulteriore disciplina sostanziale del d.lgs. 152 del 2006, fra cui l’art. 195, comma 2 lett. e) , non sia mai entrata in vigore. Rileva che non avere il giudice di appello considerato la prospettazione dell’appellante come puntuale censura della sentenza di primo grado, dimostra l’apparenza della motivazione.
Con l’ottavo motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di contraddittorio fra le parti, in relazione all’immobile di INDIRIZZO Rammenta che la sentenza della C.T.P. di Genova n. 87/13/13 aveva stabilito che A.M.I.U. dovesse esentare la c.d. parte variabile dei magazzini perché allo smaltimento dei rifiuti speciali prodotti provvedeva direttamente la ARCO Spedizioni e che la A.M.I.U non ha impugnato detto capo di sentenza, sul punto passata, dunque, in giudicato. Ciononostante la A.M.I.U aveva emesso l’avviso di pagamento del 27 marzo 2013 sia per la parte fissa, sia per la parte variabile, adducendo che per l’immobile di INDIRIZZO la ricorrente non avesse formulato alcuna istanza di detassazione, quando, al contrario, ciò risultava dal modulo comunale inoltrato con raccomandata del 28 settembre 2012. Rileva di avere prodotto in primo grado e, successivamente in secondo, la documentazione attestante la
denuncia per via Isocorte, con la richiesta di detassazione e che la stessa A.M.I.U., con comunicazione del 18 aprile 2014, aveva escluso dalla superficie assoggettabile a tributo quella ove si formano in via continuativa e nettamente prevalente rifiuti speciali. Assume che la A.M.I.U aveva allegato alla comunicazione il modulo compilato nel 2012, ma che l’eventuale errore ivi compiuto nell’incasellamento delle superfici non può condurre all’assoggettamento a tassazione di aree escluse, essendo l’errore comunque emendabile anche nel corso del giudizio. Assume, inoltre, che nessuna disposizione di legge o di regolamento impone di produrre documentazione annuale per le aree esenti, ove l’esenzione sia rivendicata con la denuncia originaria, ciò essendo previsto solo in caso di rivendicazione di riduzione per l’avvio a recupero di rifiuti assimilati. Anche in questo caso la C.T.R., nonostante la puntualità della doglianza di cui all’atto di appello, ha ritenuto, con motivazione meramente apparente, che non fosse stata proposta specifica censura.
Con il nono motivo lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere la sentenza impugnata esaminato le eccezioni subordinate di legittimità costituzionale sulla debenza di una tassa su superfici estranee alla privativa e sulla violazione delle norme europee sulla concorrenza, sulla liberalizzazione dei servizi e sulla tutela ambientale.
Prima di affrontare l’esame dei motivi proposti dalla ricorrente va, pregiudizialmente, rigettata l’eccezione formulata dalla resistente relativa alla tardività del ricorso, per essere stato il medesimo proposto oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c., scadente, nella prospettazione della parte, il 12 agosto 2020, non essendo consentito il cumulo della sospensione feriale con quello della sospensione COVID di cui al d.l. 18 del 2020. Sul punto è intervenuta questa Sezione precisando che ‘Ai fini
della decorrenza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, la sospensione, prevista dall’art. 83, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020, conv. dalla l. n. 27 del 2020 (e, successivamente, dal d.l. n. 23 del 2020, conv. dalla l. n. 40 del 2020), per l’emergenza epidemiologica da Covid-19 si cumula alla sospensione ex l. n. 742 del 1969, perché altrimenti, in caso di termine finale ricadente nel periodo di sospensione feriale, sarebbero frustrate le peculiari esigenze di natura sanitaria poste a fondamento della sospensione dei termini processuali dal 9 marzo all’11 maggio 2020, pregiudicando il diritto di difesa delle parti legittimate all’impugnazione. (Sez. 5, Sentenza n. 2095 del 24/01/2023) ‘ . Trattandosi di un orientamento che merita di essere condiviso, l’eccezione va rigettata.
Il primo motivo è fondato.
Deve, innanzitutto, essere ricordato che secondo le Sezioni U nite di questa Corte: ‘Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di ‘revisio prioris instantiae’ del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. (Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017, confermata da Sez. U, Ordinanza n. 36481 del 13/12/2022). La maggiore o minore ampiezza e specificità delle doglianze contenute nell’atto di gravame, dunque, non potrà che essere
‘diretta conseguenza della motivazione assunta dalla decisione di primo grado. Ove le argomentazioni della sentenza impugnata dimostrino che le tesi della parte non sono state in effetti vagliate, l’atto di appello potrà anche consistere, con i dovuti adattamenti, in una ripresa delle linee difensive del primo grado; mentre è logico che la puntualità del giudice di primo grado nel confutare determinate argomentazioni richiederà una più specifica e rigorosa formulazione dell’atto di appello, che dimostri insomma di aver compreso quanto esposto dal giudice di primo grado offrendo spunti per una decisione diversa (…) Quello che viene richiesto -in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata – è che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili. Tutto ciò, inoltre, senza che all’appellante sia richiesto il rispetto di particolari forme sacramentali o comunque vincolate’ (Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017). Sicché la riproposizione delle difese introdotte in primo grado, nel caso in cui si censuri l’estrema genericità della decisione impugnata, assolvono l’onere di specifica impugnazione della decisione gravata, posto che l’indeterminatezza ed approssimazione delle ragioni che sorreggono la decisione impone la riproposizione degli stessi argomenti già ignorati dal primo giudice, affinché il giudice di appello esamini le questioni non affrontate dalla sentenza impugnata.
Siffatto principio è stato declinato in modo ancor più stringente nel rito tributario. Questa Sezione ha, infatti, chiarito che: ‘In tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai
sensi dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, determinano l’inammissibilità dell’appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni; ciò in quanto l’articolo cit. deve essere interpretato restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. c.c., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi pertanto consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione.’ (così Cass. Sez. 5, 21/07/2020, n. 15519; conf. Cass. Sez. 5, 15/01/2019, n. 707).
Ne consegue che: ‘la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci. (Cass. Sez. 5, 20/12/2018, n. 32954).
15. Ciò è proprio quanto accaduto nel caso di specie, posto che la parte appellante (attuale ricorrente) ha sostanzialmente sottoposto al giudice del gravame le censure rivolte contro l’atto impositivo, ritenendo del tutto insoddisfacenti ed incompleti i riscontri del giudice di prima cura, così investendo l’intera
sentenza gravata ed affidando al giudice di secondo grado il compito di dare quelle risposte che il primo non aveva fornito.
L’atto di appello non poteva, dunque, essere ritenuto inammissibile.
Fatta questa premessa, per affrontare il dedotto vizio di motivazione apparente, occorre ricordare l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui è denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; conf. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016).
Nel caso di specie, la C.T.R., dopo avere ritenuto non specifici i motivi di appello, decide ‘nel merito’ affrontando, tuttavia, la sola doglianza relativa alla debenza della quota fissa della TIA, che, fra l’altro, risolve, in modo tautologico, con il mero rinvio ad una sentenza di questa Corte (Cass. Sez. 5, 23/05/2019, n. 14038), sfuggendo all’onere di dare risposta a tutti gli altri motivi di gravame.
Si è, dunque, di fronte alla denunciata causa di nullità per assenza motivazionale.
All’accoglimento del primo motivo, che comporta l’assorbimento di tutte le ulteriori censure, consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa
composizione, cui va demandata anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2025 .