Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24491 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24491 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/09/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 24326-2023, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , p.i. P_IVA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t. elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato , che la rappresenta e difende –
Resistente della sentenza n. 5725/02/2023 della Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio, depositata il 16 ottobre 2023;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14 maggio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Iva – Op. sogg. inesistenti – Prova
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza, e da ll’atto difensivo della ricorrente si evince che la società nel 2012 concluse un contratto di appalto con la RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto la realizzazione di sette impianti fotovoltaici in Basilicata . L’appaltatrice a sua volta subappaltò la realizzazione delle opere alla RAGIONE_SOCIALE Il 24 gennaio 2013 la RAGIONE_SOCIALE emise la fattura n. 11 di € 9.1000.000,00, oltre IVA al 10% in relazione ai lavori eseguiti. Successivamente, sempre nel 2013, in ragione della qualità dei lavori, tra la committente/appaltante (odierna ricorrente) e l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE insorse una controversia con giudizio dinanzi al Tribunale civile di Napoli, per richiedere il risarcimento dei danni connessi al danno emergente (ripristino degli Impianti, oltre che alla ridotta produttività dei medesimi). Nel corso del suddetto giudizio l’Appaltatr ice emise una nota di credito recante la dicitura ‘ Storno fattura n. 11 del 24.01.2013 a seguito di richiesta risarcimento danni ‘. Nel 2015 RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE raggiunsero un accordo transattivo, con cui le due società pattuirono la cessazione del giudizio civile, la rinuncia al corrispettivo di € 9.100.000,00, con conseguente storno della Fattura 2013 (già avvenuto) e la riduzione del corrispettivo ad € 4.900.00,00 (fattura 2015). Per la causa civile fu dichiarata cessata la materia del contendere (sentenza n. 582 del 20 aprile 2015). Successivamente, previa autorizzazione del Giudice del Fallimento della società subappaltatrice Sedna, il 26 luglio 2016 fu bonariamente regolato il rapporto con quest’ultima, nel senso che la RAGIONE_SOCIALE mediante accollo si fece carico delle pretese avanzate da RAGIONE_SOCIALE nei confronti propri e di RAGIONE_SOCIALE, secondo la nuova determinazione del corrispettivo, ex fattura del 2015.
Il 27 ottobre 2016, militari della G.d.F eseguirono una verifica nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, relativa agli anni d’imposta 2012/2016 , all ‘esito della quale denunciavano l’inesistenza soggettiva delle prestazioni fatturate da RAGIONE_SOCIALE , disconoscendo per l’effetto in capo alla ricorrente la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA per la realizzazione degli impianti fotovoltaici. Contestarono inoltre l’iscrizione nel bilancio relativo all’esercizio 2012 di ricavi superiori rispetto a quelli indicati nella relativa dichiarazione dei redditi (UNICO 2013).
All’esito del successivo contraddittorio con l’Agenzia delle entrate , nel corso del quale furono ricostruiti i rapporti economici tra le società e riesaminata la documentazione, comprese la fattura stornata e quella definitiva del 2015, l’Ufficio si limitò, con riferimento all’anno d’imposta 2012, ad emettere l’avviso di accertamento n. TK503R302540/2017 successivamente annullato dall’Ufficio stesso in autotutela; con riferimento all’anno di imposta 2013, rilev ò una errata contabilizzazione IVA per la Fattura 2013. In data 14 novembre 2019, l’ Amministrazione e la società addivennero al perfezionamento dell’atto di adesione n. CODICE_FISCALE per l’annualità 2013 . L’ufficio, ‘ in revisione critica, , rispetto alle contestazioni della GDF ‘ , si limitò ad applicare la sanzione per illegittima detrazione del credito IVA connesso alla Fattura 2013 e non utilizzato, ai sensi dell’art. 6, comma 6 del D.Lgs. n. 471/1997 , senza più contestare l ‘ inesistenza delle operazioni, né sul piano oggettivo, né su quello soggettivo. L’importo concordato a titolo di sanzioni, con l’ atto di adesione per violazione dell’art. 6, comma 6 del D.Lgs. n. 471/1997, pari ad € 273.083,33, fu corrisposto mediante compensazione con parte del credito IVA risultante dalla dichiarazione rel ativa al periodo d’imposta 2018.
Sennonché, in data 8 marzo 2021, il medesimo Ufficio notificò alla s ocietà l’ avviso d ‘ accertamento CODICE_FISCALE mediante il quale, riprendendo il contenuto del PVC notificato alla società, contestò alla Società l’inesistenza soggettiva delle operazioni sottostanti la fattura del 2015, e dunque l’in deducibilità dei costi ai fini Ires e Irap e la detraibilità dell’I va, pretendendo il recupero di maggiori imposte, pari ad € 570.016,00, ed irrogando la sanzione, pari ad € 668.182,50.
La società propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, accolto con sentenza n. 5579//2021/2022.
L’appello, con cui l’erario instava nelle sue pretese, fu invece accolto dalla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, con sentenza n. 5725/02/2023.
Il giudice regionale ha ritenuto che al nuovo accertamento non ostava la definizione per adesione, attesa l’inapplicabilità della preclusione ad un nuovo accertamento, come previsto d all’articolo 2 , comma 4, del d.lgs. n. 218/1997, in ragione del diverso anno d’imposta . Ha poi ritenuto che il giudice di primo grado aveva riconosciuto come certe e inerenti le quote
RGN 24326/2023
d’ammortamento, conseguenti i costi degli impianti fotovoltaici, senza tuttavia chiarire le ragioni di tale convincimento. Ha poi sostenuto che la fattura n. 1/2015 di €. 4.900.000,00 , emessa da RAGIONE_SOCIALE e contabilizzata e detratta dalla ricorrente a fronte dell’accordo transattivo RAGIONE_SOCIALE a riduzione del debito di quest’ultima da € 9.100.000 ad € 4.500.000 di imponibile , ‘ f anno ritenere del tutto legittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria che ha ritenuto la fattura n.1/2015 afferente ad operazione soggettivamente inesistente, con conseguente recupero ‘ delle imposte, oltre che della irrogazione di sanzioni.
La società ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a sei motivi. L’Agenzia delle entrate è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La società ha denunciato:
con il primo motivo la ‘ Nullità/illegittimità della Sentenza di Secondo grado in punto di motivazione, nella forma della motivazione omessa ovvero apparente, per violazione dell’art. 132, n. 4), c.p.c. in relazione all’ art. 360, comma 1, n.3), c.p.c.
La ricorrente rileva che, a fronte delle censure sollevate sin dall’atto introduttivo in ordine alla assenza di prove, di cui pure l’Amministrazione finanziaria era onerata per la dimostrazione del coinvolgimento della società in operazioni soggettivamente inesistenti, motivo peraltro accolto dal giudice di primo grado, il giudice regionale si sarebbe limitato ad affermazioni generiche, prive di una spiegazione almeno sufficiente a comprendere il fondamento delle conclusioni cui è pervenuta, cioè l’ affermazione della responsabilità della società.
Il motivo è fondato
Questa Corte ha chiarito che sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sulla correttezza del suo ragionamento (Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232; cfr. anche 23 maggio 2019, n. 13977; 1 marzo 2022, n. 6758). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione è apparente anche quando, ancorché graficamente esistente
ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., 1 marzo 2022, n. 6758; 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). È altrettanto apparente ogni qual volta evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione del quadro probatorio (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819), oppure quando carente nel giudizio di fatto, così che la motivazione sia basata su un giudizio generale e astratto (Cass., 15 febbraio 2024, n. 4166).
Nel caso di specie la Commissione regionale ha inteso condividere le contestazioni elevate dall’ufficio nei confronti della società , affermando che « L’Amministrazione finanziaria ha contestato l’illegittimo utilizzo del credito Iva di cui alla fattura n. 1/2015, pari ad euro 445.454,54, a seguito di valutazione finalizzata ad individuare, nella concatenazione di atti e attività tenute da soggetti solo apparentemente distinti, la volontà di ottenere un vantaggio fiscale illegittimo a favore di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, allegando una serie di indizi gravi, precisi e concordanti, afferenti sia il profilo soggettivo che oggettivo delle operazioni effettuate dalla società con la consapevolezza di partecipare ad una frode o comunque con la negligenza per non aver adottato i presidi necessari per evitare il coinvolgimento. Nel caso in esame, la fattura n. 1/2015 di €. 4.900.000,00 (di cui IVA detratta ad aliquota al 10% euro 445.454,54) emessa da RAGIONE_SOCIALE, veniva contabilizzata e detratta dalla parte appellata a fronte dell’accordo transattivo RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE che prevedeva la riduzione del debito di quest’ultima da € 9.100.000 ad € 4.500.000 di imponibile. Le esposte considerazioni fanno ritenere del tutto legittimo l’operato dell’Amministra zione finanziaria che ha ritenuto la fattura n.1/2015 afferente ad operazione soggettivamente inesistente, con conseguente recupero, in capo alla RAGIONE_SOCIALE, a mezzo dell’avviso di accertamento per cui è causa, dell’IVA illegittimamente detratta per euro 445.454,54, oltre sanzioni».
Nonostante la motivazione risulti graficamente esistente, in realtà la sua lettura evidenzia come il richiamo agli elementi addotti dall’amministrazione finanziaria, gravi precisi e concordanti, a dimostrazione della esistenza del coinvolgimento della società ricorrente, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, nel compimento di operazioni soggettivamente inesistenti, resta del tutto inespresso. Manca anche un solo riferimento concreto alla fattispecie contestata con l’avviso d’accertamento, così da rendere chiaro quale sia stato il percorso logicoargomentativo del giudice d’appello per giungere alle sue conclusioni , posto che i ‘fatti’ riferiti nei passaggi della pronuncia qui riportati non evidenziano di certo il compimento di operazioni inesistenti sotto il profilo soggettivo, e richiamano di contro una ‘ mera apparente distinzione ‘ tra le società coinvolte nella vicenda (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che invece, per quanto pacificamente riferito nella stessa sentenza impugnata, e comunque per risultare un dato obiettivo di tutta la vicenda, erano state parti contrapposte in un contenzioso civile, definitosi con una transazione.
La motivazione, in altri termini, esiste sul piano grafico ma in realtà è del tutto apparente , così gravemente viziando l’intera decisione.
Il motivo va in definitiva accolto.
L’accoglimento del primo motivo assorbe i restanti, con i quali la ricorrente ha denunciato:
con il secondo motivo l’« Illegittimità della Sentenza di Secondo Grado per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, segnatamente l’Atto di Adesione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.»;
con il terzo motivo la «Illegittimità della Sentenza di Secondo Grado per violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 3 e 4, del DPR n. 218/1997 e dell’art. 10 della Legge n. 212/2000 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.»;
con il quarto motivo la « Violazione e falsa applicazione dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, anche interpretato alla luce degli articoli 1, paragrafo 2, comma 2, e 167 della Direttiva 2006/112/CE, e degli articoli 2697, 2727 e 2729 del codice civile, in relazione all’art. 360, n. 3), c.p.c. »;
con il quinto motivo la « Violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 4-bis, della Legge n. 537/1993 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.»;
con il sesto motivo, in subordine, la «violazione e falsa applicazione degli artt. 8, della Legge n. 546/1992; 6 D.Lgs. 472/1997 e 10 della L. n. 212/2000 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. ».
Il ricorso va dunque accolto e la sentenza deve essere cassata con rinvio del giudizio dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, che in diversa composizione, oltre che liquidare le spese del processo di legittimità, dovrà riesaminare il ricorso d’appello.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del processo di legittimità.
Così deciso in Roma, il giorno 14 maggio 2025