Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2952 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2952 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
Oggetto: iva – cessioni
di
beni
–
effetto
traslativo
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26860/2016 R.G. proposto da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore e COGNOME COGNOME in proprio, entrambi rappresentati e difesi in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL
-ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– resistente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise n. 301/02/2015 depositata in data 07/10/2015, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-l’Agenzia delle Entrate, con gli avvisi di accertamento qui impugnati, rideterminava il reddito e l’iva dovuta dalla società contribuente RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2004; conseguentemente, era rideterminato il reddito dell’unico suo socio, RAGIONE_SOCIALE;
tali recuperi derivavano dal controllo dell’operazione con la quale la società acquistava da diversi soggetti la proprietà di un terreno in corrispettivo di due appartamenti da realizzare sullo stesso; dalla rettifica del valore del terreno (resosi intangibile avendo i contribuenti cedenti definito in accertamento con adesione) da parte dell’Agenzia del territorio era originato l’accertamento qui impugnato;
ne scaturivano a carico della società -secondo l’Ufficio -i maggiori ricavi non dichiarati sorti a fronte della differenza tra l’importo del terreno dichiarato in atto e quello indicato nell’atto di adesione sottoscritto dai contribuenti persone fisiche;
a tali importi l’Ufficio aggiungeva l’ulteriore recupero relativo alla somma di euro 15.000,00 ritenuti di competenza dell’esercizio 2004 in quanto relativi all’acquisto di parti aggiuntive dei fabbricati compravenduti in tale anno;
la CTP accoglieva in parte il ricorso di RAGIONE_SOCIALE; la società RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE personalmente appellavano tale sentenza ciascuno con riguardo alla propria soccombenza; l’Agenzia delle Entrate proponeva appello incidentale anch’essa con riguardo ai profili di propria soccombenza;
con la pronuncia qui gravata da ricorso per cassazione la CTR ha ritenuto infondato l’appello principale e accolto l’appello incidentale (sia pur scrivendosi, per evidente lapsus calami , a pag. 2 punto 6 della sentenza impugnata, che l’appello incidentale è inammissibile);
ricorrono i contribuenti con unico ricorso per cassazione imperniato su cinque motivi di doglianza;
-l’Agenzia delle Entrate ha unicamente depositato atto di costituzione in vista dell’udienza pubblica;
Considerato che:
– il primo motivo si duole della nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 111 Cost., 118 disp. att. c.p.c., 36 del d. Lgs. n. 546 del 1992 e 132 c.p.c.; secondo parte ricorrente la CTR ha mancato di motivare o ha comunque reso motivazione meramente apparente della propria decisione;
– il motivo è infondato;
– va ricordato che la violazione denunciata si configura quando la motivazione «manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero … essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata» (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053; successivamente tra le tante Cass. 01/03/2022, n. 6626; Cass. 25/09/2018, n. 22598). In particolare, si è in presenza di una «motivazione apparente» allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie ed ipotetiche congetture. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella «perplessa e incomprensibile»; in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal
testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali -l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass., Sez. Un., 03/11/2016, n. 22232 e le sentenze in essa citate);
ebbene, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, le affermazioni esposte dalla CTR risultano idonee a far comprendere le ragioni del decisum il cui contenuto si colloca al di sopra del c.d. ‘minimo costituzionale’;
il secondo motivo censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.; si sostiene che la pronuncia di merito avrebbe mancato di esaminare il fatto storico consistente nella realizzazione in epoca successiva al 2004 della maggiore superficie da cedere ai coniugi COGNOME –COGNOME, alla quale corrispondeva il ‘ conguaglio ‘ di euro 15.000,00;
il terzo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 109 c. 1 TUIR e dell’art. 6 c. 1 del d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 1472 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza di appello, con riferimento al corrispettivo di euro 15.000,00 afferente all’acquisto di una ulteriore superficie, malamente applicato la normativa relativa al momento impositivo per l’emissione della fattura e la conseguente rilevazione e dichiarazione del medesimo;
-i motivi, strettamente connessi tra di loro, vanno esaminati congiuntamente e sono fondati nei termini che seguono;
secondo la CTR ‘… tutti i corrispettivi derivanti dalla vendita degli immobili devono essere riferiti, sia ai fini delle imposte dirette che indirette, all’anno 2004 nel quale si è perfezionato l’effetto traslativo del contratto, ivi comprese le differenze riscosse nel 2006, come da fatture n. 3, 9 e 11, emesse nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME (parti del contratto di permuta) recanti la seguente causale: «per acquisto di pertinenza abitazione di cui al rogito del 22/03/2004» e ciò
indipendentemente dal fatto che l’immobile fu materialmente consegnato ai coniugi COGNOME solo nel 2006 a causa di modifiche da essi richieste ‘;
da tale affermazione si evince il mancato esame del fatto storico denunciato nel motivo di ricorso, in quanto emerge dalla sentenza stessa, sempre nella parte dedicata al considerato in diritto a pag. 3 punto 7 al penultimo periodo che ‘… gli ampliamenti fatturati nel 2006 non sono stati assorbiti nel maggior valore riconosciuto ai terreni (corrispettivo della loro cessione), ma sono stati pagati in più rispetto ad esso, in conformità a quanto prevedeva l’articolo 5 del contratto secondo il quale la differenza per l’acquisto di una superficie maggiore a quella convenuta con la permuta sarebbe stata pagata alla consegna dell’appartamento rifinito e dichiarato abitabile ‘;
orbene, la CTR dimostra con l’espressione sopra riportata per seconda, di aver puntualmente percepito la circostanza relativa all’esistenza di una porzione di bene la cui cessione risultava autonoma rispetto al rapporto di permuta tra terreno e alloggi da realizzarsi (tanto che vi era stato un pagamento ‘in più’) ;
altrettanto chiaramente essa dimostra, con l ‘es pressione riportata per prima, di non aver esaminato il fatto storico consistente nell’essere bene, autonomo rispetto all’immobile oggetto della permuta, venuto ad esistenza solo a seguito dei lavori edili posti in essere nel 2006;
-l’aver la CTR fatto riferimento all’esser stato l’immobile ‘…materialmente consegnato solo nel 2006’ rende evidente l’avere la stessa, a causa dell’omissione denunciata in ricorso, ritenuto che si trattasse del medesimo immobile ceduto nel 2004, mentre andava valutata l’autonoma consistenza dei beni (oggetto di separate vicende edilizie) oggetto della cessione avvenuta nel 2006; analogo indizio costituisce l’espressione riguardante l’attribuzione al corrispettivo incassato dalla contribuente società nel 2006 della natura di ‘differenza’ (pag. 4 penultimo periodo), termine indicativo di un surplus relativo a un prezzo già pagato per un solo bene, mentre nella fattispecie andava verificato se i beni fossero o meno più di uno;
alla luce, infatti, della documentazione relativa alle vicende edilizie, prodotta nei gradi di merito e prodotta anche a questa Corte negli allegati da 10 a 14 al ricorso per Cassazione, nel diligente rispetto del canone di specificità e localizzazione, si evince come la realizzazione materiale (nel senso di venuta a esistenza) degli ulteriori beni oggetto della cessione perfezionata nel 2006, pertinenziali o meno che siano, sia avvenuta in quel periodo d’imposta e non nel 2004;
tale elemento andava debitamente valutato dal giudice del merito; la sentenza di appello viceversa si è limitata (e pertanto ha ritenuto si trattasse di meri ‘ampliamenti’) ad esaminare per prima la circostanza relativa al mancato assorbimento dei beni ceduti nel 2006 nell’operazione posta in essere nel 2004 (circostanza peraltro discorde rispetto alla unicità del bene) e per seconda la circostanza relativa al pagamento (per vero anch’ess a elemento di discordanza con l’asserita unicità del bene) effettuato dagli acquirenti, come previsto dall’art. 5 del contratto in essere tra le parti;
in sintesi, quindi, il ragionamento seguito dalla sentenza impugnata si fonda sulla completa pretermissione del fatto storico consistente nella avvenuta realizzazione del bene oggetto della cessione per la quale sono state emesse le fatture nel 2006, proprio in tale anno; mancando di esaminare tale elemento di fatto la CTR ha quindi attribuito rilevanza unicamente alla cessione perfezionata nel 2004 senza disporre di tutti gli elementi che dovevano orientarne la decisione;
l’erroneità della conclusione raggiunta dal giudice del merito deriva peraltro, oltre che dall’omissione di cui si è appena detto, anche da un’errata interpretazione della disciplina di cui all’art. 6 c. 1 del d.P.R. n. 633 del 1972, secondo il quale ‘
ancora, l’esame del fatto storico pretermesso andava operato anche alla luce della previsione normativa ridetta, per identificare anche suo tramite il momento in cui ha avuto luogo l’effetto traslativo in forza anche del già richiamato art. 5 del contratto stipulato tra le parti;
la rilevanza dell’effetto traslativo nel contesto delle operazioni di permuta si evince poi anche dall’art. 11 del d.P.R. n. 633 del 1972 secondo il quale
Cass.
7497 e 7498 del 2019, in cui si enuncia il principio di diritto che segue) ai fini IVA, ‘ per qualificare un’operazione come operazione a titolo oneroso è necessaria l’esistenza di un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo; tale nesso diretto esiste qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario Tale corrispettivo può consistere anche in una prestazione di servizi, a fronte di altra prestazione di servizi, e costituirne la base imponibile ai sensi dell’articolo 73 della direttiva IVA, a condizione tuttavia che – oltre al nesso di cui si è detto – il valore di quest’ultima possa essere espresso in denaro. Può quindi verificarsi, in siffatti casi, un risultato traslativo, consistente nell’attribuzione dell’utilità derivante dalla futura prestazione di servizi o dalla futura cessione di beni, o dalla realizzazione di una determinata opera coincidente col bene futuro, che è assunto come termine di scambio con la prestazione di servizi già eseguita, corrispondente al bene o al servizio
presente. A norma dell’art. 11 del d.P.R. n. 633/72, quindi, le due operazioni che compongono la complessiva operazione permutativa vanno sottoposte a imposizione separatamente e altrettanto separatamente assoggettate agli obblighi formali e sostanziali ai fini IVA, e risultano infine imponibili al momento della loro esecuzione (sottolineatura aggiunta)’ ;
in conclusione, sul punto, la sentenza impugnata da un lato non ha esaminato il fatto storico costituito dalla venuta ad esistenza dei beni oggetto di rilievo nel 2006, anziché nel 2004; dall’altro pur riportando in sentenza le disposizioni di cui all’art. 6 e all’art. 11 sopra citati essa sentenza non ha dato rilievo né all’effetto traslativo (identificando, in fatto, il momento impositivo in quello della cessione notarile avvenuta nel 2004) né alla esecuzione della cessione (della quale andava esaminata in fatto l’autonomia o meno rispetto alla cessione avvenuta nel 2004, per poi applicare, in diritto, il principio di autonomia e di rilevanza del momento di esecuzione delle operazioni di cessione);
in accoglimento dei sopradetti motivi, la sentenza va quindi sul punto cassata con rinvio al giudice del merito per nuovo esame del fatto nella sua completezza;
detto giudice del rinvio si atterrà, in diritto, ai principi illustrati da questa Corte;
il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per avere la CTR mancato di esprimersi sulle eccezioni sollevate dal ricorrente COGNOME
il motivo è infondato;
come peraltro si riconosce espressamente in ricorso per cassazione a pag. 20 dell’atto, la CTR scrive sul punto che ‘si costituiva COGNOME chiedendo il rigetto dell’appello incidentale facendo proprie le argomentazioni della parte appellante principale, senza addurre questioni derivanti dalla specificità della sua posizione di socio’;
ne deriva che l’esame delle doglianze di COGNOME è stato regolarmente e integralmente operato dalla sentenza impugnata, che
nel prendere in esame le eccezioni della società -alle quali egli ha aderito, svolgendo difese ed eccezioni quindi identiche nel contenuto -ha preso in esame anche le ragioni e difese tutte del socio della stessa; – il quinto motivo deduce la violazione / falsa applicazione dell’art. 45 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dei principi giurisprudenziali in materia di utili distribuiti in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.; secondo parte ricorrente, in sintesi, la CTR avrebbe attribuito al socio COGNOME il maggior reddito accertato in capo alla società in forza di un mero automatismo non previsto per legge né consentito dalla giurisprudenza in materia; inoltre, ciò sarebbe derivato da un erroneo governo da parte della sentenza impugnata dei principi che disciplinano la prova presuntiva in giudizio;
il motivo è infondato;
questa Corte ha a più riprese ritenuto legittimo nel caso di ristretta base societaria -e a maggior ragione, come è ovvio, nel caso di unicità della base societaria, che qui viene in rilievo -l’accertamento, in primo luogo, di un maggior reddito sottratto all’imposizione a livello societario dal quale far derivare poi l’accertamento di un maggior reddito in capo al partecipante alla società;
infatti, (si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21158 del 29/07/2024; in argomento Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7170 del 04/03/2022; e Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18042 del 09/07/2018 ) la previsione di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria, con la conseguente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale non può limitarsi a denunciare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, ma deve dimostrare -eventualmente anche ricorrendo alla prova presuntiva -che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società e che quest’ultima non li ha distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, ovvero che degli stessi se ne è appropriato altro soggetto;
la maggior redditività della società, quindi, sia ove consegua a maggiori utili accertati, sia ove derivi dal disconoscimento di costi, si ripercuote sui soci in virtù dell’applicazione della suddetta presunzione di redistribuzione degli utili (Cass., Sez. V, 4 gennaio 2022, n.94; Cass., Sez. V, 19 dicembre 2019, n. 33976);
conclusivamente, vanno accolti il secondo e il terzo motivo di ricorso; l’impugnazione nel resto è rigettata;
la sentenza pertanto è cassata, limitatamente ai motivi oggetto di accoglimento, con rinvio al giudice del merito per l’ulteriore corso;
p.q.m.
accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso; rigetta il ricorso nel resto; cassa la sentenza impugnata limitatamente ai motivi oggetto di accoglimento e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di Legittimità Così deciso in Roma, il 19 novembre 2024.