Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4339 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4339 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2024
MODIFICA PRETESA IMPOSITIVA IN CORSO DI GIUDIZIO
sul ricorso iscritto al n. 3624/2023 del ruolo generale, proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), con sede legale in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, alla Zona Industriale, in persona del legale rappresentante pro tempore, NOME COGNOME, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale e nomina rilasciate in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO (codice fiscale CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
– RICORRENTE –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), con sede in Pescara, alla INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore, NOME COGNOME, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale e nomina rilasciate in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO del Foro di Pescara (codice fiscale CODICE_FISCALE), domiciliato ai sensi dell’art.
366, secondo comma, cod. proc. civ., presso la cancelleria della Corte di cassazione.
– CONTRORICORRENTE –
NONCHÉ
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), con sede in INDIRIZZO, in persona del Sindaco pro tempore .
– INTIMATA – per la cassazione della sentenza n. 2180/28/2022 della Commissione tributaria regionale della Puglia, depositata il 5 agosto 2022;
UDITA la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 19 ottobre 2023;
RILEVATO CHE:
con un primo avviso di accertamento n. 18000120/2014, notificato il 19 dicembre 2014, la RAGIONE_SOCIALE (concessionaria del servizio di accertamento e riscossione del Comune RAGIONE_SOCIALE) liquidava la complessiva somma di 85.734,22 € per omessa denuncia e versamento della Tarsu da parte della contribuente RAGIONE_SOCIALE in relazione agli anni di imposta 2008 e 2009 (42.867,11 € per ogni anno) in relazione al possesso di un opificio industriale dedito alla produzione di capi di abbigliamento;
1.1. la contribuente proponeva impugnazione avverso tale avviso e, nel corso del giudizio di primo grado, la suindicata concessionaria emetteva, in data 9 settembre 2015, altro avviso in rettifica di quello precedentemente emesso, contestando solo l’infedele denuncia per l’anno di imposta 2009, con riduzione della somma liquidata a 22.872,19 €;
con l’impugnata sentenza la Commissione tributaria regionale della Puglia, dopo aver dato atto della formazione del giudicato sulla non debenza (per decadenza) della pretesa per
l’anno 2008, dichiarava sussistente il credito in relazione all’anno di imposta 2009 nella misura rideterminata nel quantum dal suindicato provvedimento di rettifica con la relativa riduzione delle sanzioni, ritenendo che:
la contribuente non avesse mai provato che il proprio immobile aveva una minore superficie tassabile ai fini Tarsu, essendosi limitata ad evidenziare, anche nelle controdeduzioni in appello, solo il mancato scomputo dei pagamenti effettuati, come poi riconosciuti dall’Ufficio comunale a seguito dell’istanza di autotutela, seguita dall’avviso di accertamento in rettifica del 9 settembre 2015;
la RAGIONE_SOCIALE aveva dimostrato che l’immobile aveva subito una variazione che aveva generato quattro distinte unità immobiliari per una superfice complessiva di 12.571,02 mq, denunciati però dalla contribuente per la minore estensione di 6.020 mq;
la contribuente non aveva presentato la denuncia prevista dall’art. 70 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 per sottrarre dalla tassazione le superfici destinate alla produzione;
RAGIONE_SOCIALE ha impugnato detta pronuncia con ricorso notificato in data 6 febbraio 2023, depositato il 15 febbraio 2023, alla RAGIONE_SOCIALE, formulando due motivi di impugnazione, ai quali si è riportato con nota del 3 ottobre 2023;
la RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 e 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, lamentando che, con il successivo avviso di accertamento in rettifica emesso in data 9 settembre 2015 nel corso del giudizio
di primo grado, la RAGIONE_SOCIALE, aveva provveduto a modificare l’originaria pretesa, contestando per l’anno di imposta 2009 non più l’omessa dichiarazione e versamento della tassa, ma l’infedele dichiarazione, assumendo la ricorrente che la concessionaria avrebbe invece dovuto annullare il precedente avviso per omessa denuncia ed emetterne un altro per infedele dichiarazione con la relativa motivazione, non potendo modificare e/o integrare il presupposto della pretesa originariamente contenuta nell’avviso, che aveva già delimitato il perimetro della controversia;
con la seconda censura la società ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’ « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» (così nel ricorso privo di numerazione), costituito dai contenuti della nota prot. 0014182 del 10 marzo 2020, con la quale il Comune di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, a seguito di sopralluogo effettuato in contraddittorio, aveva definitivamente riconosciuto che della superfice complessiva di mq 12.031, di cui era costituito l’opificio, solo la minore estensione di 4.126 mq. era soggetta a tassazione, così ammettendo la non debenza del tributo per i restanti mq 7.905;
il ricorso va accolto nel suo primo assorbente motivo;
risulta pacifico dal resoconto che precede che l’originario avviso di accertamento era fondato -per quel che ora occupa sull’omessa denuncia e versamento della Tarsu relativa all’anno di imposta 2009 e che, nel corso nel corso del giudizio di primo grado, il provvedimento originario venne rettificato con altro avviso di accertamento per infedele dichiarazione;
detta rettifica ha comportato un’obiettiva modifica dei presupposti fattuali e giuridici della pretesa impositiva, come tale non riconducibile ad una mera emendatio libelli , avendo introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che ha alterato l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, giacché la contestazione dell’omessa dichiarazione e del
conseguenziale mancato versamento dell’imposta è all’evidenza -ontologicamente diversa da quella concernente l’infedele dichiarazione, assumendo rilievo in tale ipotesi non l’omissione dell’obbligo dichiarativo, ma la sua erronea rappresentazione;
in tale contesto, va allora dato seguito al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui:
«L’Ufficio accertatore non può modificare e/o integrare il presupposto della propria pretesa originariamente contenuta nell’accertamento, poiché è solo la motivazione di cui si è detto, che delimita i confini della lite (Cass. n. 6103 del 2016)»;
«Le ragioni poste a base di un atto impositivo non possono essere oggetto di modifica e/o di integrazione durante la fase contenziosa, in quanto la difesa del ricorrente si concentra su quanto illustrato nella motivazione»;
«L’obbligo di idonea e completa motivazione previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, mira a garantire al contribuente il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive nella fase del giudizio di impugnazione, le quali, se non correttamente esplicitate, non possono essere successivamente integrate, atteso che in tal modo risulterebbe illegittimamente compromesso il diritto di difesa»;
«Nè é consentito all’Ufficio di porre a base della pretesa norme non invocate nella fase dell’imposizione, da cui derivi la necessità di svolgere distinti apprezzamenti in punto di fatto, giacché, altrimenti, ne verrebbe vulnerata la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa a mezzo della esternazione dei motivi di ricorso, i quali necessariamente vanno rapportati a ciò che nell’atto risulta esternato»;
«Si è affermato, infatti, che nel procedimento tributario, la motivazione dell’avviso di accertamento assolve ad una pluralità di funzioni atteso che garantisce il diritto di difesa del contribuente, delimitando l’ambito delle ragioni deducibili
dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa, consente una corretta dialettica processuale, presupponendo l’onere di enunciare i motivi i ricorso, a pena di inammissibilità, e la presenza di leggibili argomentazioni dell’atto amministrativo, contrapposte a quelle fondanti l’impugnazione, e, infine, assicura, in ossequio al principio costituzionale di buona amministrazione, un’azione amministrativa efficiente e congrua alle finalità della legge, permettendo di comprendere la “ratio” della decisione adottata (Cass., sez. 5, 17 ottobre 2014, n. 22003; Cass., sez. 5, 6 aprile 2016, n. 6636; Cass., sez. 5, 9 ottobre 2015, n. 20251; Cass., sez. 5, 21 ottobre 2015, n. 990) » (così Cass. Sez. T., 2 settembre 2022, n. 25945, che richiama Cass., Sez. VI/T, 15 settembre 2021, nn. 24795 e 24796 e Cass. Sez. VI/T, 21 settembre 2021, n. 25529);
Il ricorso va, quindi, accolto in relazione al suo primo motivo, che assorbe -come anticipato l’esame del secondo; la decisione impugnata va, dunque, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va anche decisa con l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente;
le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo, con distrazione in favore del procuratore antistatario, che ha reso la prescritta dichiarazione.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente.
Condanna la RAGIONE_SOCIALE ed il Comune RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in solido tra di loro, al pagamento delle spese di giudizio, che liquida per il primo grado nella misura di 2.5 00,00 € per competenze e 250,00 € per spese vive, per il secondo grado nella misura di 2.8 00,00 € per competenze e 250,00 € per spese vive, nonché per il presente grado nella misura di 4.300,00 € per competenze e
200,00 € per spese vive, il tutto oltre accessori e distrazione a favore dell’antistatario AVV_NOTAIO.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 ottobre