Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32244 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32244 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21522/2023 R.G. proposto da Comune di Ariano Irpino , in persona del Sindaco protempore , rappresentata dall’avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
Istituto RAGIONE_SOCIALE della Provincia di Avellino in liquidazione, in persona del Commissario liquidatore pro-tempore , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2075/2023, della Corte di Giustizia Tributaria di II grado della CAMPANIA, Sezione 12, depositata il 27.3.2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
Il Comune di Ariano Irpino emetteva nei confronti dell’Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Avellino (di seguito IACP) avviso di accertamento n. 1438 del 9.12.2018, per omessa
dichiarazione ed omesso versamento dell’IMU relativa all’anno 2013, chiedendo il versamento dell’importo di euro 22.940,70 (di cui euro 11.311,00 per imposte, euro 11.311,00 per sanzioni, euro 310,93 per interessi ed euro 7,86 per spese di notifica).
L’IACP proponeva ricorso deducendo, in particolare, che l’ente locale non aveva adempiuto all’onere della prova sullo stesso gravante e che nell’anno d’imposta oggetto di tassazione era intervenuto il d.l. n. 133 del 2013 con il quale gli immobili oggetto di lite erano stati assoggettati alla c.d. ‘mini -imu’, regolarmente corrisposta.
La CTP di Avellino, con sentenza n. 1108 del 2019 rigettava il ricorso, ritenendo che l’istituto avesse fornito la prova del pagamento della c.d. ‘mini -imu’ e che, per fruire di tale pagamento in misura ridotta, non fosse necessaria la presentazione di alcuna dichiarazione.
Il Comune di Ariano Irpino proponeva appello, censurando la nullità della sentenza per omessa pronuncia e la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello, ritenendo che l’IACP non fosse tenuto a presentare la dichiarazione per l’agevolazione in questione e che il Comune non avesse tenuto conto del versamento della ‘mini -imu’, regolarmente avvenuto .
Contro questa sentenza il Comune di Ariano Irpino propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a quattro motivi.
L’Istituto autonomo case popolari ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
Preliminarmente, è infondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, perché costruito con la tecnica dell’assemblaggio, posto che il ricorso contiene l’enunciazione dei motivi e delle relative argomentazioni mediante un discorso linguistico organizzato in virtù di una concatenazione sintattica di parole, frasi e periodi, e non demanda all’interprete di ricercare gli elementi rilevanti
all’interno degli atti ivi trascritti (arg. da Cass., Sez. I, Ordinanza 30/11/2023, n. 33353 (Rv. 669663 -01).
2. Con il primo motivo, rubricato ‘ Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti in violazione dell’art 360 comma 1 n. 5 c.p.c. in relazione all’art.132 c.p.c. n. 4’, il Comune di Ariano Irpino censura la sentenza impugnata per avere il giudice d’appello omesso di esaminare le deduzioni riguardanti la natura dell’atto impositivo, fatto oggetto di contraddittorio e discussione fra le parti, così omettendo di pronunciarsi su un punto decisivo della controversia. In particolare, il ricorrente lamenta che l’atto di accertamento de quo è stato emesso per il recupero della minor imposta versata per l’anno 2013 sulla base di precedenti sentenze pronunciate dalle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, passate in giudicato e che la sentenza censurata, con una motivazione del tutto generica, aveva omesso di prendere in esame tali elementi e di illustrare le ragioni poste a fondamento della decisione.
2.1. Il motivo presenta molteplici profili di inammissibilità.
In primo luogo, ci si trova di fronte ad un motivo c.d. ‘misto’ deducendosi sia il l’omesso esame di fatto decisivo sia l’omessa pronuncia -con conseguente applicazione del principio per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, e ciò in quanto una simile formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del
ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. tra le più recenti, Sez. L., Ordinanza n. 3397 del 6/2/2024, Rv. 67012901).
In secondo luogo, difetta il requisito della decisività.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che in tema di ricorso per cassazione costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi del’art.360, primo comma, n. 5, c.p.c. quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (Sez. 1, Sentenza n. del 08/09/2016 (Rv. 641174 – 01). La Corte ha anche specificato che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 (conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia ( Sez. 6 5, Ordinanza n. del 04/10/2017, Rv. 646308 -01). La decisività del ‘fatto’ omesso assume, nel vizio considerato dalla disposizione richiamata, rilevanza assoluta poiché determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione (non solo eventuale ma certa). Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio.
Gli elementi sopra indicati non risultano essere presenti nella proposta censura poiché il Comune ricorrente non indica neanche con precisione quali sarebbero i fatti il cui esame sarebbe stato omesso (le perizie a firma dell’arch. NOME COGNOME o gli accertamenti contenuti nelle sentenze delle Commissioni Tributarie passate in giudicato), né rappresenta in che modo la valutazione degli stessi avrebbe potuto modificare l’esito del giudizio.
3 . Con il secondo motivo, rubricato ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art 13, comma 10 del D.L. 201/2011 e dell’art 1 D.M. 22.4.2008 e ss., in relazione all’art 360, comma 1 n. 3 c.p.c.’, si censura la sentenza impugnata per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto applicabile la c.d. ‘mini -imu’ anche per gli immobili di cui all’avviso di accertamento, in relazione ai quali l’IACP non aveva effettuato alcuna dichiarazione e che risultavano non regolarmente assegnati.
Il motivo è inammissibile, oltre che infondato.
Secondo un costante orientamento di questa Corte, infatti, il principio di autosufficienza, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata “localizzazione” del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante contenutistico (Sez. 1 – , Ordinanza n. del 10/12/2020, Rv. 660090 -01 e Sez. 1 – , Ordinanza n. del 01/03/2022, Rv. 664103 – 01).
Nel prospettare il secondo motivo di ricorso, il Comune di Ariano Irpino ha dedotto di aver emesso avvisi di accertamento per le annualità 2009, 2010 e 2011 (avvisi di accertamento che non sarebbero stati contestati dalla controparte) ed ha altresì precisato che l’Istituto aveva presentato dichiarazione IMU solo a far data dal 2014, senza tuttavia riportare il contenuto di detti documenti e senza indicare in quale parte specifica del fascicolo gli stessi sono collocati.
A prescindere da tale profilo di inammissibilità, il motivo è comunque infondato.
Occorre soffermarsi sulla disciplina normativa applicabile, ai fini IMU, nell’anno d’imposta 2013, per gli ‘alloggi regolarmente assegnati dagli istituti autonomi per le case popolari’.
Il d.l. n. 54 del 2013 e il d.l. n. 102 del 2013 hanno dapprima sospeso e poi abolito il pagamento della prima rata dell’IMU per le ‘ unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari, nonchè alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli IACP, istituiti in attuazione dell’
‘ ( art. 1, comma 1, lett. b del d.l. n. 54 del 2013).
Con d.l. n. 133 del 2013 è stato poi previsto, per gli immobili per cui è causa, il versamento di una quota (pari al 40 per cento) dell’eventuale differenza tra l’ammontare dell’IMU risultante dall’applicazione dell’aliquota e della detrazione per la ‘prima casa’ deliberate o confermate dal comune per l’anno 2013 e, se inferiore, quello deliberate o confermate dal comune per l’anno 2013 e, se inferiore, quello risultante dall’applicazione dell’aliquota e della detrazione di base previste dalle norme statali (la c.d. ‘mini -imu’ ). Orbene, a fronte della considerazione svolta dal giudice d’appello che nell’atto impugnato il Comune ha contestato all’Istituto solo l’omesso versamento dell’IMU in relazione ad immobili per i quali non era stata effettuata la denuncia e non già che trattavasi di immobili non regolarmente assegnati, che non è stata oggetto di contestazione, la censura relativa all’impossibilità di applicare la c.d. ‘mini -imu’ in quanto trattasi di immobili non regolarmente assegnati deve essere disattesa.
Generico e, quindi, irrilevante è anche il profilo di censura concernente la pretesa incongruità degli importi versati, al cospetto della statuizione contenuta in sentenza concernente il regolare versamento della ‘mini -imu’.
4 . Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, comma 10 del D.L. 201/2011 e dell’art. 1 D.M. 22.4.2008 e ss., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. ‘, per aver il giudice d’appello erroneamente ritenuto che l’IACP non dovesse effettuare alcun adempimento per poter usufruire della c.d. ‘mini -imu’.
5 . Con il quarto motivo, rubricato ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’ art. 2 del D.L. 102 del 31.08.2013, che ha modificato il D.L. 201/2011, comma 5bis, che prevede espressamente l’onere da parte del contribuente della dichiarazione ai fini dell’esenzione, dichiarazione che ha natura costitutiva – Violazione art. 360 comma 1, n.3 c.p.c. ‘, parte ricorrente censura la decisione impugnata per non aver affermato che l’Istituto era tenuto a presentare la dichiarazione prevista dal citato art. 2, comma 5bis , del d.l. n. 102 del 2013, per usufruire i benefici invocati.
I due motivi, relativi alla medesima questione, possono essere trattati unitariamente e devono essere rigettati, perché infondati.
Anzitutto il richiamo al d.m. del 22.4.2008, posto a sostegno della censura complessivamente considerata è del tutto inconferente, atteso che nelle motivazioni della sentenza impugnata non viene in alcun modo in rilievo la circostanza che gli immobili di cui all’avviso di accertamento fossero in possesso dei requisiti previsi per poter essere qualificati come ‘alloggi sociali’ e poter godere così dell’esenzione d’imposta.
Va, quindi, rilevato che l’art. 2, comma 5bis , del decreto legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito con modificazioni dalla l. 28 ottobre 2013, n. 124, dispone: ‘Ai fini dell’applicazione dei benefici di cui al presente articolo, il soggetto passivo presenta, a pena di
decadenza entro il termine ordinario per la presentazione delle dichiarazioni di variazione relative all’imposta municipale propria, apposita dichiarazione, utilizzando il modello ministeriale predisposto per la presentazione delle suddette dichiarazioni, con la quale attesta il possesso dei requisiti e indica gli identificativi catastali degli immobili ai quali il beneficio si applica. Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze sono apportate al predetto modello le modifiche eventualmente necessarie per l’applicazione del presente comma’.
Come già affermato dalla S.C. (sebbene in una fattispecie relativa all’esenzione prevista dall’art. 13, comma 2, lett. b), del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, ma con principi applicabili anche alla fattispecie in esame), con orientamento pienamente condiviso dal Collegio, l’onere della dichiarazione (attestante il possesso dei requisiti e contenente la indicazione degli identificativi catastali degli immobili) è imposto dalla norma ai fini dell’applicazione dei benefici di cui al medesimo articolo 2 del decreto legge in parola e cioè – per quanto qui rileva – ai fini della fruizione del beneficio della detrazione per l’abitazione principale accordato, in virtù del comma 2, del ridetto articolo 2, «agli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli IACP, istituiti in attuazione dell’articolo 93 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 », nonché, in virtù del comma 4, ai ‘fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali come definiti dal decreto del Ministro delle infrastrutture 22 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno 2008’ (Sez. 5 -, Sentenza n. 23680 del 28/10/2020, Rv. 659477 -01).
L’onere de quo , relativo al pagamento dell’imposta municipale propria nella misura ridotta prevista dal d.l. n. 133 del 2013, c.d.
‘mini -imu’, pertanto, non era assoggettato, ad alcuna dichiarazione.
Del tutto inconferente il richiamo svolto dalla difesa ai principi affermati nell’ordinanza Sez. 6 -5 n. 21465 del 2020 (non massimata), a sostegno della necessità della presentazione della dichiarazione, atteso che nel caso portato all’attenzione della Corte l’obbligo dichiarativo è stato affermato per la diversa ipotesi relativa ai fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, contemplata giustappunto dall’art. 2 (comma 2, lett. a) del d.l. n. 102/13.
Del pari non conferente il richiamo, contenuto nel ricorso, ai principi affermati da Sez. 5, n. 20135 del 5.7.2019 (Rv. 65485501), atteso che la Corte si era pronunciata in merito all’anno d’imposta 2012, cui era applicabile una disciplina normativa
diversa.
6 .1. Ai sensi dell’art. 384 c.p.c. deve essere enunciato il seguente principio di diritto: «Ai fini del versamento in misura ridotta dell’IMU, per l’annualità d’imposta 2013, la c.d. mini -imu, disciplinata dai d.l. n. 54, 102 e 133 del 2013, i titolari di alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli IACP, istituiti in attuazione dell’articolo 93 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 non devono presentare un’apposita dichiarazione’.
In conclusione, il ricorso va integralmente respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
A carico della ricorrente principale, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio
2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il Comune di Ariano Irpino al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente che quantifica in € 2.400,00, rimborso nella misura forfettaria del 15%, Iva e Cpa come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente Comune di Ariano Irpino, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, l’11 ottobre 2024 .