Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16654 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16654 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/06/2025
Oggetto: Consorzio – costi deducibili -mandato senza rappresentanza IVA detraibili
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11415/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE COGNOME in persona del legale rappresentante p.t. rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME domiciliato presso la Cancelleria della Corte di cassazione;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, n. 1100/5/2023, depositata il 7.11.2023 e non notificata.
Il sostituto Procuratore NOME NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 26 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, n. 1100/5/2023, depositata il 7.11.2023 veniva rigettato l’appello principale proposto del RAGIONE_SOCIALE e accolto l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate proposti avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Grosseto n. 19/1/2020 avente ad oggetto l’avviso di accertamento per II.DD. e IVA 2013.
In sentenza si legge che, a seguito di un controllo nei confronti del Consorzio Giglio, veniva emesso il p.v.c. del 6 settembre 2018 con cui venivano contestati costi indeducibili ai fini delle II.DD., con corrispondente IVA non detraibile, ed omessa documentazione e registrazione di operazioni imponibili per IVA evasa. Le spese sostenute dal Consorzio erano relative ad attività e servizi prestati da vari soggetti, mentre l’unico rilievo circa la mancanza di inerenza atteneva ad alcune fatture della società RAGIONE_SOCIALE, perché ritenute dall’Agenzia delle Entrate troppo generiche e, quindi, inidonee a dimostrare la connessione tra i costi sostenuti e l’attività svolta dal Consorzio. All’esito e tenuto conto delle giustificazioni prodotte e documentate dal contribuente, l’Agenzia delle Entrate emetteva l’avviso di accertamento con cui contestava alla società contribuente relativamente all’anno di imposta 2013 maggiori imposte dirette, inclusa l’Irap, pari ad euro 299.402,99 ed IVA per euro 166.798,00.
Il giudice di prime cure accoglieva parzialmente il ricorso, limitatamente alla detrazione IVA riconosciuta spettante sulla base del
principio di neutralità dell’imposta e lo respingeva con riferimento ai costi, ritenuti non inerenti.
Il giudice d’appello confermava la decisione di primo grado con riferimento alla ripresa per i costi non inerenti, ritenendo che il Consorzio Giglio non avesse sufficientemente assolto all’onere di dare prova dell’inerenza dei costi suddetti. Inoltre, confermava il disconoscimento del credito IVA relativo al riporto da parte del Consorzio a credito del l’IVA in riferimento alle fatture attive verso la RAGIONE_SOCIALE, riguardanti le opere commissionate, avendo ricevuto dalle consorziate, alle quali aveva affidato i lavori, fatture passive e avendo ottenuto il rimborso. Il giudice riteneva, come già l’Agenzia, indebito tale rimborso per violazione della disciplina tributaria del cd. ribaltamento alle consorziate da parte del Consorzio dei costi e dei ricavi. L’importo delle fatture delle consorziate era risultato inferiore rispetto a quanto loro fatturato e la differenza era stata attribuita dal Consorzio ai costi di funzionamento e, considerato che il Consorzio agiva quale mandatario senza rappresentanza – nell’interesse, ma non nel nome dei consorziati -, lo stesso avrebbe dovuto essere ripartito pro quota in capo ai consorziati, trattandosi di costi pari alla differenza tra fatture emesse e fatture ricevute, con applicazione dell’IVA.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente deducendo due motivi, che illustra con memoria ex art.380-bis.1. cod. proc. civ., cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 109 d.P.R. n. 917/86 da parte della sentenza, nella parte in cui conferma la legittimità di una ripresa a tassazione per difetto di inerenza e motiva in termini di non congruità del costo rispetto all’attività cor-
rispondente svolta. L’accertamento dell’indeducibilità dei costi sarebbe fondato su una valutazione inerente al quantum ed alla antieconomicità di questi ultimi che prescinde dalla necessaria valutazione del parametro dell’inerenza su base qualitativa per costante interpretazione giurisprudenziale di legittimità.
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza.
2.1. Va innanzitutto ricordato che la condivisa giurisprudenza della Corte di cassazione (es. Sez. 5, sentenza n. 24880 del 2022) afferma, in tema di imposte sui redditi, che la deducibilità di costi ed oneri richiede la loro inerenza all’attività esercitata, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Sono così esclusi quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità – anche solo potenziale ed indiretta – secondo valutazione qualitativa e non quantitativa. La prova, in caso di contestazioni dell’Amministrazione finanziaria, è a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé.
In questo contesto, la Corte ha anche più volte affermato (v. ad es. Sez. 5, ordinanza n. 33568 del 2022) che l’antieconomicità di un costo – intesa come sproporzione tra la spesa e l’utilità che ne deriva, avuto riguardo agli ulteriori dati contabili dell’impresa – può fungere da elemento sintomatico del difetto di inerenza. In questo caso, ove il contribuente indichi i fatti che consentano di ricondurre il costo all’attività d’impresa, l’Amministrazione è tenuta a dimostrare, anche con il ricorso ad indizi, gli ulteriori elementi addotti in senso contrario, evidenziando, in particolare, l’inattendibilità della condotta del contribuente. Dunque, è eccentrica rispetto alla giurisprudenza della
Corte la prospettazione della ricorrente secondo cui l’argomento dell’antieconomicità sarebbe privo di rilevanza in materia.
2.2. Ciò premesso, la censura non coglie la ratio decidendi espressa dal giudice imperniata, in via primaria e in radice, sulla carenza di prova dell’esistenza dei costi.
La sentenza impugnata, sotto tale profilo, accerta che il Consorzio ha fornito nella controversia una descrizione insufficiente delle attività oggetto di fatturazione, «limitandosi a produrre solo un fac-simile di report indicante le operazioni giornaliere da eseguire ed un accordo con la RAGIONE_SOCIALE, in inglese, estremamente generico e privo di firma» (cfr. p.3 sentenza).
Il giudice, inoltre, afferma chiaramente l’inverosimiglianza dei costi riconducibili al coordinamento dell’attività dei consorziati e alla manutenzione dei mezzi, tenuto conto del rapporto tra il loro ammontare complessivo e il fatto che i costi sono imputabili a prestazioni rese da una sola persona fisica.
È irrilevante il presunto errore numerico commesso dal Giudice di appello (più di euro 480.000,00, nel solo anno d’imposta oggetto di accertamento secondo l’accertamento della sentenza, una somma inferiore per il Consorzio visto che il rilievo di cui si controverte è pari a 259.350 euro), come dedotto in ricorso e ulteriormente elaborato nella memoria illustrativa.
Infatti, la ragione primaria del mancato riconoscimento della deducibilità dei costi è stata individuata dal giudice nella mancanza di certezza dell’esistenza dei costi della cui deducibilità si tratta, e conseguente impossibilità che gli stessi siano quantificabili, profilo non specificamente censurato con il motivo in disamina. È poi di merito e non attiene ad un capo della sentenza impugnata l’argomentazione, contenuta in memoria, secondo cui se fosse stata contestata dell’Agenzia in fase amministrativa l’esistenza del costo questo sarebbe stato ripreso a tassazione interamente.
Con il secondo motivo la ricorrente, in riferimento alla seconda ripresa relativa all’imposta armonizzata, prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 19 d.P.R. n. 917/1986 e del principio di neutralità dell’IVA laddove il giudice non si sarebbe avveduto del fatto che l’impostazione contabile del Consorzio, nella prassi di ribaltamento dei costi generali, seppure in ipotesi non conforme alla procedura che il diritto vivente considera corretto, ossia nell’applicazione del paradigma del mandato senza rappresentanza, non ha condotto alla determinazione di un saldo annuale IVA e poi d ell’ IVA chiesta a rimborso diverse da quelle effettivamente dovuta e spettante. In buona sostanza, con l’accertamento l’A mministrazione finanziaria disconoscerebbe erroneamente il diritto alla detrazione in violazione del principio di neutralità dell’IVA .
Il motivo non può trovare ingresso.
4.1. La società consortile può svolgere una distinta attività commerciale con scopo di lucro ed è questione di merito accertare i rapporti tra la società stessa e i consorziati nell’assegnazione dei lavori o servizi per stabilire la necessità del ribaltamento integrale o parziale di costi e ricavi ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. In caso di differenza tra quanto fatturato dalla società consortile al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato alla società consortile, il consorziato ha l’onere di provare – nel rispetto dei principi di certezza, effettività, inerenza e competenza – che la differenza stessa non integri suoi ricavi occulti ovvero che essa corrisponda a provvigioni o servizi resi dal consorzio al terzo (Cass. Sez. U, sentenza n. 12190 del 2016).
Infatti, in tema d’IVA, in caso di mandato senza rappresentanza tra consorzio e società consorziata, i rapporti tra mandatario e mandante perdono la loro neutralità assurgendo a presupposti per l’applicazione del tributo, la cui base imponibile corrisponde al corrispet-
tivo per il servizio reso o ricevuto dal mandatario senza rappresentanza, in un caso diminuito e nell’altro aumentato della provvigione, sicché dal punto di vista fiscale, non è legittima alcuna differenza tra quanto fatturato dalla società consortile al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato alla società consortile, salvo quella corrispondente all’entità delle provvigioni o al costo di specifici servizi resi dal consorzio al terzo committente (Cass. Sez. 5, sentenza n. 21860 del 2016)
4.2. Tale principio di diritto va riaffermato anche nella presente fattispecie, sotto l’angolo del mandato senza rappresentanza e delle sue conseguenze per l’erario ai fini dell’imposta armonizzata. Lo stesso Consorzio sia in ricorso sia in memoria ammette il proprio erroneo comportamento, sia pure derubricandolo e ritenendolo idoneo ad incidere solo su un profilo contabile senza danno alcuno all’erario. Così non è, perché ha operato quale mandatario senza rappresentanza dei consorziati e, in applicazione della giurisprudenza sopra richiamata, avrebbe dovuto ribaltare su questi ultimi l’integrale importo dei ricavi e dei costi, ivi compresi quelli di funzionamento del Consorzio, da imputarsi pro quota ai singoli consorziati, e che invece risultano essere stati trattenuti dal Consorzio.
Per l’effetto, in primo luogo ha violato il principio che, in tema di IVA, impone che quanto fatturato dal Consorzio mandatario al terzo committente deve coincidere con quanto fatturato dai consorziati al consorzio mandatario stesso. In secondo luogo, il comportamento ha cagionato a valle l’illegittimità della detrazione dell’ IVA effettuata dal Consorzio, poiché quest’ultima avrebbe dovuto essere riconosciuta ai consorziati.
È perciò logica e conforme al principio di diritto che precede la decisione del giudice che conferma la legittimità dell’atto impositivo anche con riferimento alla ripresa IVA, recuperata poiché indebitamente detratta dal Consorzio, salvo il riconoscimento ai consorziati
della rispettiva quota loro spettante dell ‘imposta a credito, in coerenza con il principio di neutralità.
5 . In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 10.000 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26.3.2025