Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33182 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33182 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4335/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB. PROV. DI LATINA n. 128/2022 depositata il 07/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere COGNOME
Fatti di causa
Con avviso di accertamento notificato il 27 agosto 2014, l’Agenzia delle entrate recuperava nei confronti dell’Associazione sportiva dilettantistica Volley Gaeta, i maggiori importi a titolo di Ires, Irap e Iva, correlati ai più elevati ricavi appurati.
La CTP di Latina ha accolto il ricorso dell’ente e di NOME COGNOME chiamato a rispondere in proprio ai sensi dell’art. 38 c.c.
La CTR del Lazio ha dichiarato inammissibile l’appello dell’Agenzia, stigmatizzandone la tardività.
Il giudizio d’appello non è stato riassunto dalle parti.
L’Agenzia ha successivamente intimato alla contribuente di procedere ad adempiere le imposte veicolate dall’avviso di accertamento, essendo spirato il termine di riassunzione.
La contribuente ha, allora, instaurato un giudizio di ottemperanza ex art. 70 D.Lgs. n. 546 del 1992, assumendo a oggetto la sentenza di primo grado favorevole alla contribuente stessa. In particolare, ha assunto che la mancata riassunzione in sede di rinvio è valsa a lasciare inalterati gli effetti della sentenza di primo grado, con conseguente impossibilità per l’Ufficio di notificare atto di intimazione per il credito contemplato dall’avviso di accertamento annullato. Pertanto, ha notificato il ricorso in ottemperanza della sentenza di primo grado, che aveva annullato l’avviso di accertamento.
La CTP di Latina ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso in ottemperanza. Il giudice laziale ha rigettato il ricorso evidenziando, in particolare, che l’inammissibilità era diretta conseguenza della mancata impugnazione dell’avviso di intimazione. La CTP ha
affermato anche l’infondatezza del ricorso nel merito, in ragione della legittima emanazione dell’avviso di intimazione.
Il ricorso per cassazione della contribuente è affidato a tre motivi, illustrati da memoria. Resiste l’Agenzia con controricorso. Il Sost. P.G. dott. S. COGNOME ha depositato requisitoria scritta, chiedendo rinviarsi la causa a nuovo ruolo e concludendo, in subordine, per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
Con il primo e il terzo motivo si contestaviolazione di legge ed error in procedendo in quanto l ‘avviso di intimazione sarebbe stato emesso in spregio alla sentenza della CTP, passata in giudicato in ragione della mancata riassunzione in sede di rinvio; al fine di paralizzare tale avviso, pertanto, sarebbe legittima la proposizione del ricorso in ottemperanza.
I motivi, suscettibili di trattazione unitaria per intima connessione, sono infondati.
Il ricorso per l’ottemperanza postula l’esistenza di una sentenza di merito da ottemperare, che nel caso di specie manca.
Il presupposto per l’ottemperanza anche nella prospettazione di parte ricorrente -è la sussistenza di una sentenza che annulla la pretesa impositiva. Nel caso di specie, invece, la mancata riassunzione del giudizio davanti al giudice del rinvio implica la conferma dell’atto impositivo (Cass. n. 21143 del 2015; Cass. n. 556 del 2016; Cass. n. 23922 del 2016; Cass. n. 32276 del 2018), con conseguente inammissibilità del ricorso per ottemperanza.
La mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell’art. 393 c.p.c., l’estinzione dell’intero processo, con conseguente caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già passate in giudicato in quanto non impugnate, non essendo applicabile al giudizio di rinvio l’art.
338 dello stesso codice, che regola gli effetti dell’estinzione del procedimento di impugnazione (Cass. n. 26970 del 2023).
È, in altri termini, regola che la mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell’art. 393 c.c., l’estinzione dell’intero processo, con conseguente caducazione di tutte le attività espletate, salva la sola efficacia del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, senza che assuma rilievo che l’eventuale sentenza d’appello, cassata, si sia limitata a definire in rito l’impugnazione della decisione di primo grado ovvero abbia rimesso la causa al 5 primo giudice e, dunque, manchi un effetto sostitutivo rispetto a quest’ultima pronuncia, rispondendo tale disciplina ad una valutazione negativa del legislatore in ordine al disinteresse delle parti alla prosecuzione del procedimento (Cass. 6188 del 2014; Cass. 10456 del 1996). Più espressamente ‘ quel che il legislatore ha voluto, con la citata disposizione dell’art. 393, infatti, è proprio che il giudizio di merito non possa esser deciso, in caso di cassazione con rinvio, se non mediante una nuova pronuncia che tenga conto dei criteri enunciati dal giudice di legittimità (i quali, infatti, sono destinati a restare vincolanti anche in caso di nuovo giudizio sul medesimo oggetto); mentre, se si lasciasse sopravvivere puramente e semplicemente la sentenza di primo grado annullata dalla pronuncia (poi cassata) della corte d’appello, non si avrebbe alcuna garanzia che la vertenza risulti definita nel rispetto dei principi giuridici enunciati dalla Suprema corte ‘ (Cass. n. 6188 del 2014). Conseguentemente ‘ la verità è che la regola dell’art. 393 c.p.c., esprime una valutazione del legislatore che implica un’opzione di valore per cui, una volta che le parti sono arrivate dinanzi alla Corte di cassazione ed è stata emessa una pronuncia da parte di quest’ultima che abbia disposto il rinvio, il disinteresse per la prosecuzione del giudizio in sede di rinvio, rivelato dal verificarsi del fenomeno estintivo, merita una valutazione negativa, per cui l’intera attività processuale si caduca,
salvo l’effetto del principio di diritto affermato dalla Corte e ciò al di là di una valutazione di imputazione dell’estinzione basata sul criterio dell’interesse alla prosecuzione del giudizio. La scelta di un diverso criterio, del resto, avrebbe richiesto l’enunciazione di regole differenziate in ragione della relazione fra cassazione con rinvio e tenore della sentenza cassata, dovendosi distinguere l’ipotesi che essa fosse stata pronunciata in appello da quella in cui fosse stata pronunciata in unico grado e dovendosi distinguere, poi, nel primo caso a seconda della relazione fra sentenza cassata e sentenza di primo grado ‘ (Cass. 6188 del 2014 cit.). Si intende allora come ogni decisione assunta nel giudizio che ha subito annullamento deve ritenersi venuta meno, senza che possa prospettarsi un giudicato interno, il quale presuppone, per l’appunto, un principio contrario a quello qui affermato; può dirsi che si sia formato un giudicato interno solo se si nega la caducazione piena delle statuizioni, ma se invece la si afferma essa riguarda ogni capo di sentenza del giudizio annullato, cosi che il giudicato non è che sia travolto dalla estinzione, ovviamente, ma è che proprio non si forma.
Ad essere divenuto definitivo è l’avviso di accertamento a monte, non la sentenza di primo grado, invero travolta alla stessa stregua dell’intero processo.
Giova evidenziare, nel solco nomofilattico, che ‘ nel giudizio tributario, l’omessa riassunzione, nel termine di legge, del processo, a seguito di rinvio dalla Corte di cassazione, ne determina l’estinzione, che, ai sensi degli artt. 393 c.p.c. e 63, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, con il venir meno dell’intero procedimento, comporta la definitività dell’avviso di accertamento, sicché il termine ‘a quo’ per l’emissione degli avvisi di liquidazione inizia a decorrere una volta inutilmente consumato il termine utile per la riassunzione ‘ (Cass. n. 9521 del 2017).
Il secondo motivo, teso a rimarcare una violazione di legge o un error in procedendo , avuto riguardo alla lamentata circostanza del mancato invio dell’atto di messa in mora, si palesa suscettibile di assorbimento a cagione dell’affermata infondatezza del primo (oltre che del terzo) motivo.
In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento nei confronti dell’Agenzia delle entrate delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 4.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/09/2024.