Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2484 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2484 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25441/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (DBNGNM50P28G942J)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in Roma in INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende ex lege
–
contro
ricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della C.T.R. della Basilicata n. 553/2019 depositata il 16/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Emerge dalla sentenza impugnata oltre che dagli atti di parte (ricorso, controricorso) che il 2 giugno 2012 venne notificata a NOME COGNOME la cartella di pagamento n. 09220120002210277 relativa alla liquidazione ex art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973.
La pretesa della cartella traeva origine da un controllo automatizzato relativo al Mod. Unico 2009, presentato per l’anno di imposta 2008, inteso a disconoscere la sussistenza di un credito IVA, utilizzato nel medesimo periodo di imposta.
L’amministrazione rilevò, in particolare, che a fronte dei versamenti con deleghe F-24, con i quali veniva utilizzato in compensazione un credito IVA afferente al periodo di imposta 2008, nella dichiarazione annuale del citato periodo non risultava esposto alcun credito IVA utilizzabile in compensazione.
Il citato credito Iva, in riferimento al predetto anno di imposta 2008, venne invero esposto nella successiva dichiarazione integrativa in data 30.12.2010, al rigo RU4039 (crediti di imposta spettanti a seguito di accoglimento di ricorsi). Nel dettaglio, il credito era di importo pari ad euro 262.000,00, di cui 167.337,00 dichiarati in utilizzo mediante compensazione per il pagamento delle imposte 2008 ed euro 94.663,00 rinviati all’anno successivo.
Il credito di cui innanzi derivava da un contenzioso intercorso tra il contribuente e l’azienda San Carlo di Potenza, relativo ad un appalto pubblico, nel quale erano in discussione anche importi relativi
a lavorazioni in eccedenza rispetto al capitolato e già esposti, tuttavia, in fatture emesse dall’impresa COGNOME nei confronti dell’Azienda San Carlo e da questa non saldate.
La controversia venne definita con lodo arbitrale n. 10642, omologato dal Tribunale di Roma. Gli arbitri ritennero non legittime le lavorazioni in eccedenza al capitolato fatturate dall’impresa nei confronti della stazione appaltante. La declaratoria di annullamento, contenuta nel lodo, determinò la variazione dell’imponibile, ex art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, facendo emergere un credito di imposta pari all’imposta sul valore aggiunto già esposta in fattura e poi oggetto di variazione.
La cartella venne impugnata dall’impresa contribuente e l’impugnazione venne dichiarata inammissibile in quanto tardiva. Avverso la decisione venne interposto appello dal contribuente ed il ricorso venne dichiarato inammissibile in quanto tardivo. La sentenza venne quindi impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione che accolse la doglianza con ordinanza n. 1801 del 2018. Si affermò, in particolare, che ‘il termine per il deposito del ricorso avrebbe dovuto essere calcolato dal momento del perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario…. Che, infatti in tema di contenzioso tributario, il termine entro il quale la copia del ricorso spedito per posta deve essere depositata nella segreteria della commissione adita, ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 221, decorre non già dalla data di spedizione, bensì quella della ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sez. U. n. 13452 del 29 maggio 2017, Sez. 6-5 n. 23589 del 21 novembre 2016). Sicché, in accoglimento del ricorso, venne cassata la decisione con rinvio alla C.T.R. in diversa composizione.
La società contribuente riassunse quindi il giudizio, assumendo la veste di appellante principale e ripropose tutte le conclusioni, eccezioni e domande formulate nel precedente grado di appello.
Il giudice di seconde cure, dopo aver ricostruito le pretese delle parti e le vicende precedenti alla riassunzione del giudizio, dichiarata preliminarmente la tempestività del ricorso, nel merito escluse la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del credito imposta poiché ‘il contribuente a seguito di un contenzioso svoltosi dinanzi ad un collegio arbitrale, ha indebitamente portato in detrazione un credito allo stesso riconosciuto. Ed invero le Sentenze di accoglimento del ricorso suscettibili di produrre credito di imposta sono esclusivamente quelle emesse da organi della giustizia tributaria e non anche da lodi arbitrali. Infine il contribuente non ha indicato i dati contabili ovvero le liquidazioni IVA a debito e a credito da cui potesse essere desunto il presunto credito vantato’.
6.Avverso tale decisione ricorre NOMECOGNOME quale erede di NOME COGNOME con un motivo.
Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato ad un motivo l’Agenzia delle Entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo, ed unico, motivo del ricorso (composto invero di due sottodoglianze), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1973 nonché degli artt. 19 e 26 del d.P.R. 633 del 1972 e dell’art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998.
Con il predetto strumento impugnatorio si censura la sentenza poiché ‘i giudici territoriali affermano che il credito IVA, derivante da note di variazione conseguenti a contenzioso giudiziale, è limitato esclusivamente alle variazioni conseguenti a giudizi celebrati dinanzi
al giudice tributario e non genera da statuizioni contenute in un lodo arbitrale’.
Si contesta, in quest’ottica, l’affermazione della C.T.R. secondo la quale le sentenze ‘di accoglimento dei ricorsi suscettibili di produrre credito di imposta sono esclusivamente quelle emesse da organi della Giustizia Tributaria e non anche da lodi arbitrali’.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale si denuncia la violazione dell’art.112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per non essersi pronunciato il giudice di seconde cure sulla tempestività del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Il ricorso principale è fondato.
Dal contenuto del ricorso emerge che:
a seguito di omologa del lodo arbitrale è emerso un credito d’imposta; 2) ciò ha comportato l’emersione dei presupposti per procedere alla variazione ex art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972; 3) dopo aver redatto in modo incompleto il Modello Unico 2009 (per l’anno 2008) , il contribuente ha poi redatto una dichiarazione integrativa il 30.12.2010 dove ha riportato l’importo di euro 262.000,00.
L’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, ratione temporis vigente, prevede, per quel che rileva in questa sede, che ‘Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta
corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25. Il cessionario o committente, che abbia gia’ registrato l’operazione ai sensi di quest’ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa. Le disposizioni del comma precedente non possono essere applicate dopo il decorso di un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti e possono essere applicate, entro lo stesso termine, anche in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione del settimo comma dell’art. 21 ‘ .
L’ art. 26 non contiene alcuna specifica limitazione circa il titolo che può legittimare la genesi del credito d’imposta che ben può essere costituita da un lodo arbitrale.
Peraltro, nella specie, il fondamento della istanza del contribuente è il lodo omologato dal Tribunale di Roma.
4. Nel passato S.U. n. 527 del 2000, affermarono che la pronunzia arbitrale avesse natura di atto di autonomia privata e correlativamente il compromesso si è configurato quale deroga alla giurisdizione. Successivamente, S.U. n. 24153 de 2013, superando il citato precedente orientamento, ha affermato che l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 25 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice
amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione. (Il principio è stato da ultimo ribadito da Cass. n. 34569 del 2021, Rv. 663066-01).
Si tratta di principio enunciato in conformità all’indirizzo fatto proprio dalla Corte costituzionale (sul punto sent. n. 223 del 2013) secondo cui, sia dalla giurisprudenza costituzionale sia dalla disciplina positiva dell’arbitrato risultante dalla riforma attuata con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, si desume che il legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità in materia, ha strutturato l’ordinamento processuale in maniera tale da configurare l’arbitrato come una modalità di risoluzione delle controversie alternativa a quella giudiziale (in tal senso già Corte cost., sentenza n. 376 del 2001).
Sostenere, quindi, che quanto statuito nel lodo non possa rilevare a fini tributari è in contrasto con la disciplina dell’arbitrato e con la sua natura.
In conclusione, l’esito del lodo può incidere sulla determinazione dell’imponibile.
A ciò si aggiunga che a seguito di istanza di interpello presentata da una società, riguardante il recupero dell’Iva tramite l’emissione della nota di variazione in diminuzione a seguito di un lodo arbitrale rituale passato in giudicato, la stessa Agenzia delle Entrate con la risposta n. 55/19 si è espressa positivamente circa l’equiparazione del lodo alla sentenza.
5.Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per non essersi la CTR pronunciata sul gravame proposto dall’agenzia con il quale si denunciava la tardività del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Secondo il ricorrente incidentale il giudice di merito nel dichiarare la tempestività del ricorso si sarebbe limitato a considerare solo quello in appello senza
poi pronunciarsi sulla censura, formulata in primo grado, circa la tardività del ricorso introduttivo.
4.Il giudice di merito dà tuttavia atto che l’Agenzia ha insistito nelle proprie domande, così come ricostruisce puntualmente la vicenda processuale fin dal primo grado: pronunciandosi sul merito della questione e dichiarando tempestivo l’appello, è evidente che abbia implicitamente disatteso la censura relativa alla presunta tardività del ricorso introduttivo che comunque sarebbe infondata.
In conclusione il ricorso principale deve essere accolto, il ricorso incidentale respinto, la sentenza per l’effetto cassata e la causa rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, anche per la quantificazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale, rigetta l’incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2024