Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15950 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15950 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/06/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. Imperio digitale:
sul ricorso iscritto al n. 972/2021 R.G. proposto da NOME (domicilio EMAIL
-ricorrente principale- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
e nei confronti di
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME NOME (domicilio digitale: EMAIL
-controricorrente/ricorrente in via incidentale- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA, SEZIONE STACCATA DI TARANTO, n. 802/20 depositata l’11 marzo 2020
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 15 aprile 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
CC 15 aprile 2025
FATTI DI CAUSA
Sulla scorta delle risultanze di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza, la Direzione Provinciale di Taranto dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della pretesa un avviso di accertamento con il quale determinava induttivamente il reddito d’impresa conseguito negli anni 2005 e 2006 dalla predetta società, asseritamente costituita fra i germani NOME e NOME COGNOME per l’esercizio in comune di attività di ristorazione connessa all’organizzazione di ricevimenti e feste private presso la struttura denominata ‘Castello Spagnolo’, sita in agro di Statte (TA).
Con altro contestuale avviso di accertamento lo stesso Ufficio, in applicazione dell’art. 5, commi 1 e 3, lettera b), del TUIR, imputava ad NOME e NOME COGNOME in ragione del 50% per ciascuno, il reddito così ricostruito in capo alla società.
Il sunnominato NOME COGNOME impugnava entrambi gli atti impositivi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Taranto, che in parziale accoglimento delle sue richieste così statuiva: (a)annullava l’avviso di accertamento emesso a carico della società di fatto, ritenendone non sufficientemente provata l’esistenza e acclarando, inoltre, l’estraneità di NOME COGNOME alla contestata attività commerciale; (b)disponeva che il reddito attribuito alla società fosse ripreso a tassazione nei riguardi del solo ricorrente nella misura del 50%, con l’aggiunta degli interessi e delle sanzioni di legge.
Proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la decisione veniva in sèguito dichiarata nulla dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Taranto, la quale, rilevato d’ufficio il difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti della società e dell’altro presunto socio NOME COGNOME rimetteva la causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 59, comma 1, lettera b),
del D. Lgs. n. 546 del 1992.
Rinnovato il giudizio con la partecipazione degli originari contendenti e del litisconsorte NOME COGNOME la Commissione Provinciale annullava l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società di fatto, ritenuta inesistente, e confermava l’atto impositivo adottato nei riguardi di NOME COGNOME cui imputava il 50% del reddito determinato in testa al sodalizio, disponendo a suo carico le conseguenti riprese fiscali.
La decisione veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate e da NOME COGNOME con distinti atti di appello, dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Taranto, la quale, con sentenza n. 802/20 dell’11 marzo 2020, previa riunione dei procedimenti, accoglieva il gravame erariale e respingeva quello della parte privata; per l’effetto, in riforma della sentenza di prime cure, rigettava l’originario ricorso del contribuente, «dichiarandolo responsabile al 100% delle imposte accertate a carico della inesistente società di fatto» con gli atti impositivi in discorso, «oltre sanzioni ed interessi» , e condannandolo alla rifusione delle spese di lite in favore della controparte; compensava, invece, gli oneri processuali nei rapporti fra NOME COGNOME e la mentovata Agenzia.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Anche il litisconsorte NOME COGNOME ha proposto controricorso, con il quale, oltre a prestare adesione alle censure sollevate dal germano NOMECOGNOME ha spiegato ricorso incidentale, basato su un unico motivo, avverso il capo della sentenza d’appello disponente l’integrale compensazione delle spese processuali nei rapporti fra esso impugnante e l’Amministrazione Finanziaria.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, dello stesso articolo il ricorrente principale ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è denunciata la nullità dell’impugnata sentenza per motivazione apparente.
1.1 Si rimprovera alla CTR di non aver indicato gli elementi di fatto dai quali si trarrebbe la prova dell’avvenuto esercizio da parte di NOME COGNOME dell’attività di ristorazione contestata dall’Ufficio con gli avvisi di accertamento impugnati.
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 101 e 113 c.p.c., dell’art. 14 del D. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 2909 c.c..
2.1 Si imputa alla Commissione regionale di non aver rilevato che il giudizio si era svolto in assenza della pretesa società di fatto , indicata dalla stessa Agenzia delle Entrate come .
2.2 Viene, altresì, contestato che anche dopo la rimessione della causa al primo giudice, disposta dalla CTR ai sensi dell’art. 59, comma 1, lettera b), del D. Lgs. n. 546 del 1992, il giudizio aveva continuato a svolgersi in difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti della predetta società di fatto, il che avrebbe determinato la nullità delle sentenze successivamente pronunciate.
Con il terzo mezzo, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è lamentata l’omessa pronuncia sul motivo di appello con il quale il contribuente aveva denunciato la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della <COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE , .
Con il quarto motivo, ricondotto al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., sono prospettate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., nonché dell’art. 57 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
4.1 Si assume che il collegio regionale avrebbe violato il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato nell’imputare all’odierno ricorrente il , non essendovi mai stato e .
4.2 Si soggiunge che soltanto in grado d’appello, in violazione del divieto di «ius novorum» sancito dall’art. 57, comma 1, del D. Lgs. n. 546 del 1992, la parte pubblica avrebbe per la prima volta chiesto di riconoscere NOME COGNOME unico ed esclusivo responsabile del pagamento delle imposte in discussione.
Con il quinto motivo, sussunto nello schema dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., viene dedotta l’omessa pronuncia ad opera della CTR sul motivo di appello con il quale era stata eccepita la nullità degli avvisi di accertamento per violazione dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000.
Con il sesto mezzo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., sono denunciate l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia che ha formato oggetto di discussione fra le parti.
6.1 Si ascrive alla Commissione regionale di non aver tenuto conto della circostanza che, , l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto .
Nell’ordine logico -giuridico si appalesa prioritario il congiunto scrutinio del secondo e del terzo motivo, tra loro intimamente connessi, i quali prospettano un vizio del procedimento suscettibile di comportare la nullità dell’intero giudizio e delle sentenze in esso pronunciate, con conseguente assorbimento di ogni altra questione.
7.1 La censura è fondata e va, pertanto, accolta, nei termini che ci si accinge ad illustrare.
7.2 Giova ricordare che, secondo un diffuso indirizzo giurisprudenziale di legittimità, il vizio di omessa pronuncia non è configurabile con riguardo a questioni di natura meramente processuale (cfr. Cass. n. 6894/2024, Cass. n. 1876/2018, Cass. n. 22083/2013).
7.3 Va, però, notato che con i motivi in disamina il ricorrente ha anche lamentato la violazione dell’art. 14 del D. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 102 c.p.c., sicchè la doglianza è stata comunque correttamente veicolata in questa sede sotto tale diverso profilo censorio.
La formulazione della doglianza appare, inoltre, rispettosa dell’onere di specificità dei motivi imposto a pena di inammissibilità dall’art. 366, comma 1, n. 6) c.p.c. anche nel caso in cui vengano dedotti «errores in procedendo» .
7.4 Chiarito ciò, dalla ricostruzione della vicenda processuale operata dal ricorrente emerge che la prima sentenza emessa dalla CTP di Taranto fu dichiarata nulla dalla Commissione Regionale per rilevato difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti della e del socio NOME COGNOME e che, per tale ragione, la causa venne rimessa al giudice di provenienza, a norma dell’art. 59, comma 1, lettera b), del D. Lgs. n. 546 del 1992.
7.5 Sennonchè, nel prosieguo del giudizio il contraddittorio risulta essere stato esteso al solo NOME COGNOME come si evince dalla stessa sentenza qui impugnata, nella quale la predetta società non viene indicata fra le parti in causa.
7.6 La surriferita circostanza trova conferma nell’esame diretto degli atti contenuti nei fascicoli dei gradi di merito, consentito alla Corte dalla natura processuale del vizio denunciato.
Da esso si ricava che nel rinnovato giudizio di primo grado la CTP ordinò l’integrazione del contraddittorio esclusivamente nei confronti del prefato NOME COGNOME il quale fu poi chiamato in causa dall’Agenzia delle Entrate.
7.7 A fronte di una pronuncia coperta dal giudicato interno che aveva già accertato il difetto di integrità del contraddittorio rispetto a due diversi litisconsorti necessari, deve, quindi, nuovamente rilevarsi l’esistenza di un vizio idoneo a determinare la nullità dell’intero giudizio, non essendo stato puntualmente osservato, nella fattispecie, il seguente principio di diritto ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice: «In materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle società di fatto, e la conseguente imputazione automatica dei redditi ai soci, proporzionalmente alla quota di partecipazione, determina la configurazione di un litisconsorzio necessario tra la società e tutti i soci. Di conseguenza, il ricorso proposto da uno dei soci o dalla società stessa richiede l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 14 del D. Lgs. n. 546/92 e il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento» (cfr. Cass. n. 32873/2024, Cass. n. 27628/2024, Cass. n. 3954/2024, Cass. n. 5007/2023, Cass. n. 10715/2022, Cass. n. 4678/2020, Cass. n. 24025/2018, Cass. n. 21269/2017, Cass. n. 14387/2014).
7.8 Rimane da stabilire quali siano le conseguenze derivanti
dall’essere il giudizio proseguito in assenza di un litisconsorte necessario, dopo che la causa era già in precedenza regredita al primo grado perché si provvedesse all’integrazione del contraddittorio.
7.9 Occorre, in proposito, tener presente che, ai sensi dell’art. 45, comma 1, del D. Lgs. n. 546 del 1992, il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo.
7.10 Non va, inoltre, tralasciato di considerare che, a mente dell’art. 59, comma 3, dello stesso decreto legislativo, qualora la causa sia stata rimessa dalla Commissione Tributaria Regionale a quella Provinciale (ora, rispettivamente, Corte di giustizia tributaria di secondo e di primo grado), il fascicolo del processo viene trasmesso d’ufficio dalla segreteria del giudice superiore a quella del giudice inferiore, «senza necessità di riassunzione ad istanza di parte».
7.11 Quest’ultima disposizione reca una disciplina diversa da quella dettata dai primi due commi del successivo art. 63 per l’ipotesi in cui la causa sia stata rinviata alla Commissione Tributaria Regionale o Provinciale a sèguito di cassazione con rinvio della sentenza impugnata, nel qual caso è espressamente previsto a carico delle parti l’onere della riassunzione entro un termine perentorio, a pena di estinzione dell’intero processo.
7.12 È allora opportuno rammentare che, per consolidato insegnamento nomofilattico, la dichiarazione di estinzione del processo per inattività delle parti, costituendo la reazione dell’ordinamento al protrarsi del comportamento inerte delle parti e mirando ad attuare il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, comma 2, Cost., può seguire solo al verificarsi di una delle ipotesi tassativamente contemplate dall’art.
45, comma 3, del D. Lgs. n. 546 del 1992 (cfr. Cass. n. 5727/2021, Cass. n. 16908/2020, Cass. n. 16830/2020, Cass. n. 21128/2011).
7.13 Escluso, quindi, che, una volta rimessa la causa alla Commissione Provinciale e trasmesso d’ufficio il fascicolo del processo alla sua segreteria, le parti fossero onerate di riassumere o integrare il giudizio entro un termine perentorio, deve ritenersi che spettasse alla stessa Commissione disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i litisconsorti pretermessi, onde assicurare l’osservanza del «dictum» dei giudici superiori.
7.14 Un siffatto ordine, tuttavia, è stato emesso ed eseguito nei riguardi del solo NOME COGNOME onde da lì in avanti il processo ha continuato a svolgersi irregolarmente nella perdurante assenza di una parte necessaria.
7.15 La descritta anomalia non è riconducibile ad alcuna delle fattispecie tassative di estinzione per inattività delle parti previste dal citato art. 45, comma 3, del D. Lgs. n. 546 del 1992, atteso che il contraddittorio è stato tempestivamente integrato dall’Agenzia delle Entrate in osservanza delle disposizioni impartite dal giudice dinanzi al quale pendeva la causa.
Solamente qualora l’ordine di integrazione del contraddittorio non fosse stato eseguito nel termine all’uopo fissato dal detto giudice ai sensi dell’art. 14, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, si sarebbe verificata un’ipotesi di estinzione del processo; ma non è questo il nostro caso.
7.16 Alla luce di quanto precede, previa declaratoria di nullità dell’intero giudizio, si rende necessario rimettere nuovamente la causa al primo giudice, ai sensi degli artt. 383, comma 3, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. cit., affinchè essa si svolga nel contraddittorio della litisconsorte pretermessa.
7.17 Tutti gli altri motivi di impugnazione posti a sostegno del ricorso principale e di quello incidentale restano assorbiti.
7.18 Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, a norma degli artt. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. cit..
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, con assorbimento dei restanti e dell’unico motivo di ricorso incidentale; per l’effetto, dichiara la nullità dell’intero giudizio, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Taranto, in diversa composizione, affinchè provveda, previa integrazione del contraddittorio nei confronti della litisconsorte necessaria pretermessa, a un nuovo esame della controversia e alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione