Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15848 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15848 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7933/2022 R.G. proposto da : COGNOME COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE DIREZIONE PROVINCIALE 2 DI MILANO, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 3297/2021 depositata il 17/09/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nei confronti di NOME veniva emessa la cartella di pagamento n. 06820180025752512 (2015) recante il ruolo n. 2018/002422 relativo alle somme dovute a seguito del controllo formale automatizzato ex art. 36 bis D.P.R. n. 600/1973 e art. 54 bis D.P.R. n. 633/1972 relativo al Modello Unico 2016 a.i. 2015 presentato dal contribuente; nonché il ruolo n. 2018/002354 relativo alle spese di giudizio in seguito alle sentenze della CTP e CTR divenute definitive.
Il contribuente impugnava la cartella dinanzi alla CTP di Milano, notificando il ricorso esclusivamente all’Agente della Riscossione e non all’Agenzia delle Entrate. La CTP di Milano, con sentenza n. 3692/13/2019 depositata in data 16/09/2019, accoglieva il ricorso ritenendo che la liquidazione automatizzata della dichiarazione dei redditi, ai sensi dell’art. 36 bis DPR 600/1973, non poteva essere applicata nel caso di specie.
Avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle Entrate proponeva appello dinanzi alla CTR della Lombardia che, con sentenza n. 3297/22/2021, depositata in data 17/09/2021, accoglieva l’appello e disponeva ai sensi dell’art. 59 comma 1 lett. b) D.Lgs 546/1992 la rimessione al giudice di primo grado per l’integrazione del contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate ritenuta litisconsorte necessario.
Il contribuente propone ora ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Resiste l’Agenzia con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 19 D.Lgs 546 del 1992., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c., per aver la CTR ritenuto ammissibile l’appello proposto dall’Ente impositore nonostante lo stesso non fosse parte del giudizio.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n.3) c.p.c., per aver la CTR erroneamente ritenuto vi fosse omessa pronuncia da parte della CTP relativamente alla richiesta di chiamata in causa dell’Ente impositore, effettuata tardivamente dall’Agenzia dell’Entrate Riscossione nell’ambito del giudizio di primo grado. Pertanto, non ricorre il vizio di omessa pronuncia sul punto essendo, da un lato, tardiva la chiamata in causa dell’Agente della RAGIONE_SOCIALE e, dall’altro, sussistendo una pronuncia di rigetto implicita.
Con il terzo motivo di ricorso si adombra la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 D.lgs 546 del 1992 in relazione all’art. 360 comma 1 n.3) c.p.c., per avere la CTR omesso di rilevare la tardività della chiamata in causa effettuata dall’Agenzia delle Entrate Riscossione nel giudizio di primo grado.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 59, primo comma lett. b), n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., per aver la CTR ritenuto erroneamente sussistente un litisconsorzio necessario, disponendo il rinvio della causa al giudice di primo grado; nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 D.Lgs. 112/1999, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR erroneamente negato la rilevanza processuale della norma in quanto diretta esclusivamente a dirimere i rapporti interni tra Ufficio e Agenzia della Riscossione.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Risulta dagli atti di causa che l’Agenzia delle entrate ha proposto appello contro la sentenza CTP di Milano n. 3692/13/2019, depositata il 16 settembre 2019.
Orbene, quand’anche l’Agenzia delle entrate non abbia partecipato al giudizio di primo grado – in quanto non evocata dal contribuente né chiamata su ordine del giudice ad integrazione del contraddittorio – tale estraneità al giudizio non l’ha privata della legittimazione ad appellare una sentenza che, emessa (anche) nei suoi riguardi era idonea, se passata in giudicato, a renderle opponibile la pronuncia di insussistenza della pretesa tributaria dedotta in giudizio.
È dunque vero, in linea di principio, che la legittimazione ad impugnare spetta soltanto a chi – soccombente – abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito, ma la qualità di parte in tale giudizio non discende solo dalla materiale partecipazione ad essa del soggetto interessato, e neanche dalla sua formale chiamata in causa, originaria o sopravvenuta; ma anche dalla qualificazione in termini di parte desumibile, indipendentemente dalla sua rispondenza alla realtà processuale, dalla stessa sentenza impugnata. Ed il soggetto direttamente raggiunto da una sentenza che si ponga all’esito di un giudizio nel quale non sia stato convenuto, ha diritto di impugnare tale sentenza; anche al solo fine di invalidare la qualifica di parte che essa gli attribuisce, e di far venir meno gli effetti pregiudizievoli della pronuncia nei propri confronti: ” la legittimazione a proporre l’impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito, secondo quanto risulta dalla decisione impugnata, tenendo conto sia della motivazione che del dispositivo, a prescindere dalla sua correttezza e corrispondenza alle risultanze processuali nonché alla titolarità del rapporto sostanziale, purché sia quella ritenuta dal giudice nella sentenza della cui impugnazione
si tratta ” (Cass. n. 20789 del 2014; Cass. n. 13584 del 2017; Cass. n. 15356 del 2020).
In definitiva, il dato che rileva, deponendo per l’infondatezza della censura, alligna nel coinvolgimento nella controversia dell’Agenzia delle entrate, emergendo invero dalla stessa esposizione dei fatti fornita in ricorso che oggetto dell’impugnativa originaria non furono soltanto i vizi della procedura di esazione, ma anche la pretesa tributaria considerata nella sua sussistenza e fondatezza sostanziale.
Il secondo motivo di ricorso non coglie nel segno e va disatteso.
La CTR ha sottolineato che ‘ l’Agenzia è pienamente legittimata ad impugnare una sentenza che incide direttamente sul credito erariale da essa vantato nei confronti del contribuente ‘. Su queste basi, il giudice d’appello ha ritenuto testualmente di fare applicazione dell’art. 59 D.Lgs. n. 546 del 1992, che postula la rimessione della causa alla Commissione Provinciale che ha emesso la sentenza nel caso in cui, nel giudizio di primo grado ‘ il contraddittorio non è stato regolarmente costituito ‘. In buona sostanza, il collegio regionale non ha stigmatizzato l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. della questione pregiudiziale di rito relativa all’omessa integrazione del contraddittorio, ma ha, per converso, rilevato d’ufficio il difetto del contraddittorio, facendo piana applicazione del citato art. 59. In tal senso, non si è posta in contrasto con il principio evocato dalla ricorrente, alla cui stregua ‘ Il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito’ , ma ha inteso ripristinare, in forza di una specifica norma di legge il deficit denunciato e in effetti riscontrato.
Il terzo motivo di ricorso non coglie nel segno e va disatteso.
La ricorrente adduce per il tramite di detto mezzo l’intervenuta decadenza da parte dell’Agente della riscossione dalla facoltà ex art. 23 D.Lgs. n. 546 del 1992 di invocare la chiamata in causa di
terzi. È fisiologico, peraltro, che la dichiarata applicazione dell’art. 59, lett. b), del medesimo decreto -rimarcata dalla CTR nell’ultimo capoverso della motivazione della sentenza ( ‘il Collegio ritiene che si verta in caso ricadente nella previsione dell’art. 59, lett. b), D.Lgs. 546/92’ ) -faccia premio sulla contestata decadenza dall’esercizio di una facoltà processuale in capo, peraltro, a soggetto altro rispetto all’odierna controricorrente. Nella specie, infatti, la CTR ha ripristinato il contraddittorio, avendone ravvisato il difetto.
Il quarto motivo è fondato e va accolto per quanto di ragione.
Il giudice d’appello ha affermato che ‘ il contribuente non ha sollevato questioni solo relativamente a vizi propri della cartella esattoriale’ , avendo intercettato ‘ questioni che incidono sulla posizione dell’Agenzia delle entrate, rispetto alle quali quest’ultima non ha potuto difendersi ‘.
Osserva, tuttavia, questa Corte l’insussistenza, nella specie, di un litisconsorzio necessario fra l’ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione, non rilevando che le contestazioni della parte contribuente assumano ad oggetto, non solo la regolarità o la ritualità di un atto esecutivo, ma l’esistenza stessa del credito, poiché l’eventuale difetto del potere di agire o di resistere in ordine a tale accertamento comporta l’insorgenza solo di una questione di legittimazione, la soluzione della quale non impone la partecipazione al giudizio dell’ente creditore; infatti, ai sensi dell’art. 39 del D.Lgs. n. 112 del 1999, evocato nella rubrica del mezzo di ricorso, nelle liti che non riguardino esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi e che siano state promosse contro il concessionario, spetta a quest’ultimo procedere, se del caso, alla chiamata in causa dell’ente creditore interessato secondo lo schema di cui all’art. 106 c.p.c. (v. Cass. n. 29798 del 2019; Cass. n. 30123 del 2022).
Invero, in assenza di disposizioni specifiche è proprio l’applicazione dell’art. 39 del d.lgs. 112 del 1999 a prospettarsi, secondo questa Corte, come soluzione ragionevole ed essenziale. Tanto si ricava dalla portata generale di tale ultima norma processuale, anche per la sua stretta aderenza al principio generale della necessaria identificazione, quale immediato contraddittore, del soggetto contro il cui atto si rivolge in via immediata la pretesa o la contestazione (che, nella specie, è appunto l’agente della riscossione), lasciando a quest’ultimo l’onere di estendere o meno il contraddittorio nei confronti dell’ente creditore, a seconda del contenuto delle contestazioni, ma pure al contribuente-ricorrente originario quello di valutare se limitare l’ambito della sua azione alla contestazione della cartella in sé considerata, ovvero se estenderlo -coinvolgendo anche l’ente creditore e rendendo solo così anche a questo opponibile l’esito del giudizio alla stessa ontologica spettanza del credito azionato.
D’altronde, il litisconsorzio fra Agenzia delle Entrate Riscossione ed Agenzia delle Entrate sussiste solo nel caso di cause inscindibili (v. funditus da ultimo Cass., Sez. Un., n. 11676 del 2024). Ma, se non sussiste alcun litisconsorzio necessario e, dunque, l’evocazione dell’ente creditore non è necessaria ai fini dell’integrità del contraddittorio, ne consegue inevitabilmente che, in tali casi, il contribuentericorrente è tenuto, sin dall’instaurazione del giudizio, ad evocare l’unico legittimato passivo necessario rispetto alla sua domanda, id est il concessionario della riscossione che gli ha notificato la cartella di pagamento. In particolare, il fenomeno di scissione tra titolarità del credito e titolarità dell’azione esecutiva, in caso di riscossione a mezzo ruolo, è previsto dalla legge proprio per agevolare la riscossione dei crediti pubblici (o, comunque, di interesse pubblico), sicché, proprio a causa di tale scissione, il soggetto titolare del credito in riscossione non sempre è agevole da individuare per l’intimato, né è sempre agevole distinguere tra
opposizioni che involgono il diritto di credito o quelle che involgono la sola posizione dell’agente della riscossione, onde l’eventuale onere di convenire in giudizio sia il titolare del credito che il titolare dell’azione esecutiva, in caso di opposizione alla riscossione a mezzo ruolo riguardante anche la sussistenza del credito, finirebbe per aggravare eccessivamente e ingiustificatamente il diritto di difesa del debitore. Tale ricostruzione trova, poi, un preciso aggancio nella disciplina positiva: infatti, proprio il su richiamato art. 39 D. Lgs. n. 112/1999 prevede che « Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite ». Quest’ultima norma, in particolare, impone all’agente della riscossione di chiamare in giudizio l’ente creditore quando sono in gioco questioni attinenti al credito, sempreché voglia evitare di ‘ rispondere delle conseguenze della lite ‘. Il fatto che, laddove l’agente non provveda in tal senso, è previsto che esso ‘risponda delle conseguenze della lite’, implica, quindi, necessariamente: a) che è possibile che il giudizio di opposizione pervenga al suo esito anche senza la partecipazione dell’ente creditore; b) che, anche senza la partecipazione al giudizio dell’ente creditore, all’esito dell’opposizione esecutiva si forma, comunque, il giudicato sull’oggetto dell’opposizione stessa e, quindi, eventualmente anche sull’esistenza del credito, nei confronti dell’ente creditore (in caso contrario, l’agente della riscossione non potrebbe rispondere delle conseguenze della lite nei confronti dell’ente creditore, perché la decisione non sarebbe opponibile a quest’ultimo). Tutto ciò quale ulteriore conseguenza -implica necessariamente che l’ente creditore non è litisconsorte necessario nelle opposizioni esecutive vere e proprie (diversamente da quelle cc.dd. recuperatorie sopra descritte), in caso di riscossione a mezzo ruolo, anche se può essere chiamato in causa
(v. in tema Cass. n. 3830 del 2024; cfr. anche Cass. n. 30777 del 2023).
Il ricorso va in ultima analisi accolto in relazione al quarto motivo, respinte le prime tre censure. La sentenza d’appello va, conseguentemente, cassata e la causa rinviata alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta i primi tre motivi del ricorso; accoglie il quarto motivo del ricorso stesso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 26/03/2025.