Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 751 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 751 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
COGNOME
Consigliere – Rel.
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Notifica avviso di accertamento. Frode carosello. Operazioni fittizie. Integrazione contraddittorio.
Ud. 1/21/11/2023 C.C. PU R.G. 1395/2017 –
Cron. 17987/2019
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 1395/2017 proposto da:
NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta delega in calce al ricorso per cassazione, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate di Roma, nella persona del Direttore pro tempore ;
Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Varese, nella persona del Direttore pro tempore ;
Agenzia delle Entrate di Milano -Ufficio Legale -, nella persona del Direttore pro tempore ;
– intimate –
R.G.N. 17987/2019
e nei confronti di
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
RAGIONE_SOCIALE e del accomandatario COGNOME RAGIONE_SOCIALE nella persona del Curatore;
socio
-intimati – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 3311/2016, depositata in data 3 giugno 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
COGNOME NOME e NOME avevano proposto distinti appelli avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Varese che, pronunciando sui loro ricorsi riuniti, aventi ad oggetto gli avvisi di accertamento n. T9302TC02552/2012, per IVA e IRAP, anno 2007 e n. T9B012B06839/2012, per IRPEF, addizionale regionale e comunale, anno 2007, li aveva respinti, condannandoli al pagamento delle spese processuali.
La Commissione tributaria regionale, riuniti gli appelli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha determinato il reddito accertato nei confronti della società di fatto denominata RAGIONE_SOCIALE nella misura di euro 2.598.868, 00; l’IVA dovuta nella misura di euro 1.732.579,03 e il reddito accertato nei confronti di NOME nella misura di euro 649.717,00, mandando all’Amministrazione Finanziaria per la determinazione delle imposte dovute e delle sanzioni.
NOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate, Gornati Marino, il RAGIONE_SOCIALE Gornati RAGIONE_SOCIALE e del socio accomandatario COGNOME Marino, NOME e NOME non hanno svolto difese.
NOME ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo mezzo deduce la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per la mancata integrazione del contraddittorio e la violazione degli artt. 111, comma 2, Cost.; 101 cod. proc. civ.; 14 e 59 del decreto legislativo n. 546/1992. Nella specie non era applicabile il principio di diritto enunciato dai giudici di secondo grado, perché se era vero che il ricorso per la chiamata in causa di NOME era stato notificato per compiuta giacenza all’indirizzo di Abbiategrasso, era altrettanto vero che al medesimo indirizzo non era però stato notificato l’appello, perché «ivi sconosciuto». Anche a NOME non era stata notificato nessun atto, a prescindere dalle motivazioni dei Giudici di appello circa le ragioni sottostanti alla constatata irreperibilità di NOME COGNOME, cioè « l’obiettivo di perseguire l’irresponsabilità personale patrimoniale». Inoltre, nella sentenza impugnata era cenno all’indirizzo di « INDIRIZZO -25127 BRESCIA», mai prima d’ora conosciuto dalla ricorrente, perché diversamente, si sarebbe provveduto alla regolare notifica presso questo indirizzo. Infine, si contestava l’assunto che i ricorrenti-appellanti avessero opposto «ragioni squisitamente personali di estraneità all’entità sociale di fatto delineata» chiaro essendo che i motivi di ricorso prima e di appello poi, erano e sono diretti a contestare non già la qualità di socio bensì, in modo più radicale, la stessa esistenza della presunta società di fatto
ipotizzata sulla base di altri fatti ma in palese violazione del divieto della doppia presunzione.
2. Il secondo mezzo deduce la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 7 del decreto legislativo n. 546/92, la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 212 del 2000, 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, 56 del d.P.R. n. 633 del 1972. La Commissione tributaria regionale, con ordinanza del 16 settembre 2015, aveva disposto l’acquisizione, per necessità di completezza istruttoria sul punto essenziale del riscontro della emissione ed utilizzazione delle false fatturazioni poste a fondamento delle riprese fiscali, del p.v. di constatazione nei confronti della società utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE e aveva mandato per l’acquisizione e la produzione in causa i costituiti Uffici della Amministrazione finanziaria. In ottemperanza alla suddetta ordinanza, l’Ufficio di Varese, in data 15 ottobre 2015 aveva prodotto i documenti elencati a pag. 3 della sentenza impugnata. La difesa aveva fin da subito preso atto che non esisteva un p.v.c. a carico della utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE ed aveva, con memoria del 30 ottobre 2015, per l’udienza dell’1 novembre 2015, osservato, tra l’altro, come fossero stati prodotti documenti non richiesti e come le fatture allegate fossero tutte di identica manifattura seppure provenienti da due soggetti diversi (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE). Si contestava che, in tema di contenzioso tributario, a seguito dell’abrogazione dell’art. 7, comma 3, del decreto legislativo n. 546 del 1992, al Giudice di appello non era consentito ordinare il deposito di documenti nella materiale disponibilità di una delle parti che non avesse tempestivamente assolto al proprio onere della prova, non potend osi considerare indispensabili, ai sensi dell’art. 58 del decreto legislativo n. 546 del 1992, quelle prove che non fossero state prodotte in giudizio per inadempienza. I documenti prodotti a seguito dell’ordinanza erano già in possesso dell’Ufficio di Varese
e ben avrebbe questi potuto depositarli nei termini di legge. Riguardo alla loro forza probatoria, gli stessi non provavano alcunché e non eliminavano il vizio ab origine denunciato, seppure essi dovevano essere espunti dal processo per i motivi sopra indicati. Invero l’operato della Commissione di secondo grado era censurabile in quanto avrebbe dovuto dare atto delle carenze lamentate e, in riforma della sentenza di primo grado, annullare gli avvisi di accertamento impugnati.
3. Il terzo mezzo deduce la nullità della sentenza impugnata in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; la violazione dell’art. 2697 cod. civ.; la violazione e falsa applicazione degli artt. 7, comma 1, della legge n. 212 del 2000, 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, 56 del d.P.R. n. 633 del 1972. Le argomentazioni avallate dalla Commissione tributaria regionale non scalfivano la natura dei fatti menzionati che erano solo semplici indizi che non provavano che la società RAGIONE_SOCIALE avesse effettivamente emesso le fatture incriminate, che potevano essere state emesse da chiunque interessato a trarne profitto ( in primis l’utilizzatore) ad insaputa dei ricorrenti, fatture, peraltro, redatte su identico stampato, seppure provenienti da soggetti diversi. Nel giudizio di secondo grado non era stata fornita la prova in capo alla società RAGIONE_SOCIALE « di un impianto di conti bancari per le movimentazioni di corredo alle fatture fittizie… e a permanenti sentimento sociale e condivisione di fine lucrativo » e la sentenza si era limitata ad affermare che la mera esistenza della società di fatto era di per sé prova del fine lucrativo. Erano assenti, nella specie, elementi certi, precisi e concordanti, idonei a pretendere la prova contraria da parte anche della ricorrente la quale aveva rivestito nella società RAGIONE_SOCIALE unicamente la qualifica di socio accomandante, carica cessata peraltro in data 25 giugno 2007. I giudici di appello, inoltre, non avevano letto correttamente gli atti
di causa, non avvedendosi che nell’atto di cessione quote era stato indicato il corrispettivo delle cessioni (9.500,00 euro) e la parte venditrice aveva dichiarato di averle già ricevuto dalla parte acquirente, rilasciando ampia e liberatoria quietanza. I giudici di secondo grado non avevano detto nulla sulla circostanza che nell’avviso di accertamento era stata accertata l’inesistenza della sede legale in INDIRIZZO di Busto Arsizio, mentre la sede della società RAGIONE_SOCIALE era in INDIRIZZO Anche la circostanza di avere percepito introiti esigui nel 2007 e nel 2009 non teneva conto del fatto che nel 2007 la ricorrente era fuoriuscita dalla società, mentre l’anno 2009 non era oggetto del contendere nel giudizio.
Deve rilevarsi, in via preliminare, la violazione del principio del contraddittorio per la mancata partecipazione al giudizio di primo grado e di secondo grado di NOME COGNOME, socio della società irregolare in nome collettivo denominata RAGIONE_SOCIALE
4.1 Ed invero, in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario
originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo n. 546 del 1992 ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (Cass., Sez. U., 4 giugno 2008, n. 14815; Cass., 14 dicembre 2012, n. 23096; Cass., 28 novembre 2014, n. 25300; Cass., 20 aprile 2016, n. 7789; Cass., 25 giugno 2018, n. 16730; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27603).
4.2 Pertanto, ove in sede di legittimità venga rilevata una violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata né dal collegio di primo grado (che avrebbe dovuto disporre immediatamente l’integrazione del contraddittorio, ovvero riunire i processi in ipotesi separatamente instaurati dai litisconsorti necessari, ai sensi dell’art. 29 del decreto legislativo n. 546 del 1992), né dal collegio d’appello (che avrebbe dovuto rimettere la causa al primo giudice, ai fini dell’integrazione del contraddittorio con tutti i soci della società contribuente, ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. b) del decreto legislativo n. 546 del 1992, in modo da assicurare un processo unitario per tutti i soggetti interessati), deve disporsi, anche d’ufficio, l’annullamento delle pronunce emesse a contraddittorio non integro, con rinvio della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 383 ultimo comma, cod. proc. civ. (Cass., Sez. U., 16 febbraio 2009, n. 3678 e, di recente, Cass., 16 marzo 2018, n. 6644; Cass., 23 ottobre 2020, n. 23315; Cass., 22 febbraio 2021, n. 4665).
4.3 Ciò posto, nel caso in esame, emerge dalla sentenza impugnata e dal ricorso per cassazione, che nel giudizio di primo grado, promosso con distinti ricorsi presentati da COGNOME NOME e NOMECOGNOME non è stato regolarmente evocato in giudizio il socio (della società irregolare in nome collettivo denominata RAGIONE_SOCIALE
essendo risultate vane tutte le ricerche di un suo domicilio o recapito nel territorio dello Stato (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
In conclusione, quindi, rilevata la violazione del litisconsorzio necessario, deve disporsi anche d’ufficio l’annullamento delle pronunce emesse a contraddittorio non integro, con rinvio della causa al giudice di primo grado, ex art. 383, comma 3, cod. proc. civ., che provvederà a rinnovare il giudizio di merito a contraddittorio integro e a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara la nullità della sentenza impugnata e della sentenza di primo grado, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Varese, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 21 novembre 2023.