Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19454 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19454 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22765/2017 R.G. proposto da ASSOCIAZIONE RAGIONE_SOCIALE E RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME, in persona degli ex legali rappresentanti, nonché COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale sono rappresentati e difesi
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO n. 1286/10/17 depositata il 15 marzo 2017
Udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME NOME nell’adunanza camerale del 21 maggio 2025, riconvocata il 10 luglio 2025
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale I di Roma dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della disciolta Associazione Culturale Ricreativa e Sportiva Dilettantistica ‘RAGIONE_SOCIALE un avviso di accertamento -notificato anche agli associati NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME– con il quale, sulla scorta delle risultanze delle indagini finanziarie condotte su due conti correnti bancari intestati al predetto ente non riconosciuto, determinava il reddito d’impresa, il valore della produzione netta e il volume d’affari da assoggettare a tassazione, rispettivamente, ai fini dell’IRES, dell’IRAP e dell’IVA in relazione all’anno 2008.
Il medesimo Ufficio adottava, inoltre, nei riguardi dei sunnominati COGNOMEConcezi altri tre avvisi di accertamento inerenti allo stesso anno 2008, mediante i quali, sulla base delle riprese fiscali precedentemente operate a carico dell’associazione, imputava a ciascuno di loro un maggior reddito da partecipazione rilevante ai fini dell’IRPEF.
NOME e NOME COGNOME da un lato, e NOME COGNOME dall’altro, impugnavano sia l’avviso di accertamento concernente l’associazione che quelli personali, all’uopo proponendo due autonomi ricorsi di identico contenuto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma.
Il giudice adìto, riuniti i procedimenti, respingeva entrambi i ricorsi.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, la quale, con sentenza l’appello
1286/10/17 del 15 marzo 2017, rigettava congiuntamente proposto dalle parti private.
Avverso tale sentenza NOME e NOME COGNOME in proprio e nella qualità di ex legali rappresentanti dell”RAGIONE_SOCIALE, nonché NOME COGNOME, in proprio e quale ex della predetta associazione, hanno proposto ricorso per cassazione.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, del predetto articolo i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso per cassazione spiegato dai COGNOME consta di sette motivi, dei quali i primi cinque e l’ultimo sono stati formulati ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., mentre il sesto è stato proposto a norma del n. 4) dello stesso comma.
1.1 Con il primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 2495 c.c..
1.2 L’impugnata sentenza viene sottoposta a censura per aver riconosciuto la validità dell’avviso di accertamento notificato in data 23 dicembre 2013 all”A.C.RRAGIONE_SOCIALE, disciolta fin dal 3 ottobre dello stesso anno.
1.3 Si sostiene, al riguardo, che l’atto impositivo in questione doveva .
Con il secondo motivo è lamentata la violazione dell’art. 38 c.c..
2.1 Si rimprovera alla CTR di aver a torto reputato configurabile la responsabilità personale e solidale degli ex associati NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione ai debiti tributari facenti capo alla disciolta associazione, pur non avendo l’Ufficio dimostrato che gli stessi avessero concretamente svolto attività gestionale o negoziale in nome e per conto dell’ente.
Con il terzo mezzo è prospettata la violazione dell’art. 7, comma 1, della L. n. 212 del 2000.
3.1 Si imputa al collegio di secondo grado di aver erroneamente respinto il motivo di appello con il quale gli odierni ricorrenti avevano riproposto l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti dell’associazione, perché notificato ad essi ex
soci senza l’allegazione dei documenti ivi richiamati.
Con il quarto motivo è lamentata, in subordine, la violazione dell’art. 32, comma 1, n. 2) del D.P.R. n. 600 del 1973.
4.1 Si censura la decisione d’appello per aver considerato operante, rispetto ai contestati prelevamenti eseguiti dai due conti correnti intestati all’associazione, per un importo complessivo di 397.919,03 euro, la presunzione legale di ricavi non contabilizzati sancita dalla norma summenzionata.
4.2 Viene obiettato, sul punto, che i nominativi dei beneficiari di erano ricavabili , sicchè .
Con il quinto motivo, in ulteriore subordine, sono prospettate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 5, comma 2, del TUIR.
5.1 Si deduce che la gravata sentenza risulterebbe errata per aver ritenuto estensibile alle associazioni non riconosciute la presunzione semplice di distribuzione degli utili extracontabili operante, in base a un diffuso orientamento giurisprudenziale, nei confronti delle società di capitali a ristretta base partecipativa.
Con il sesto motivo è denunciata la violazione degli artt. 112 e 345, comma 2, c.p.c..
6.1 Si assume che l’impugnata sentenza risulterebbe affetta dal vizio di ultrapetizione, avendo la CTR qualificato come società di fatto la disciolta ‘RAGIONE_SOCIALE, e per questa via giustificato l’applicabilità, nella presente fattispecie, della norma di cui all’art. 5, comma 2, del TUIR, sebbene una simile prospettazione giuridica -non integrante -non fosse mai stata .
Con il settimo motivo, in estremo subordine, è lamentata la violazione dell’art. 67, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 47 del TUIR.
7.1 Si deduce l’erroneità dell’impugnata decisione nella parte in cui ha escluso che il medesimo reddito sia stato illegittimamente assoggettato a doppia imposizione.
7.2 Viene messo in risalto come .
Così riassunti i mezzi di impugnazione sottoposti al vaglio della Corte, va osservato che, alla stregua di quanto acclarato alla CTR:
-con l’atto impositivo emesso nei confronti della disciolta ‘A.RAGIONE_SOCIALE Duellanti’ la Direzione Provinciale I di Roma dell’Agenzia delle Entrate aveva determinato il reddito imponibile dalla stessa prodotto nell’anno 2008, provvedendo alle conseguenti riprese fiscali ai fini dell’IRES, dell’IRAP e dell’IVA;
con i tre autonomi atti impositivi adottati a carico degli associati NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME il medesimo Ufficio aveva imputato per trasparenza a ciascuno di loro, per la quota di un quarto pro capite , il reddito accertato in capo all’ente partecipato.
Si legge, in particolare, a pag. 7 della sentenza che «il ristrettissimo numero di soci (appena quattro, oltretutto almeno in parte legati da vincoli di natura familiare), rapportato al tipo di attività associativa, per sua natura finalizzata alla complessa
realizzazione di rappresentazioni non destinate soltanto agli associati, costitui (va) di per se stesso elemento da cui desumere che tutti i soci a (vesser) o fattivamente contribuito alla gestione dell’associazione» e che «in questo quadro, correttamente e (ra) stata individuata una quota di partecipazione agli utili in parti uguali tra i soci, in applicazione della presunzione legale (posta) dall’art. 5, c. 2, TUIR, rapportata al disposto del c. 3, lett. c), dello stesso art. 5 TUIR» .
Nel passaggio motivazionale immediatamente successivo i giudici d’appello hanno sottolineato che l’Amministrazione Finanziaria aveva «considerato l’associazione come esercente attività d’impresa, rilevando come essa, per quanto risultante dagli elementi in possesso, nell’anno d’imposta in esame avesse svolto soltanto prestazioni di natura commerciale, per cui ‘poteva essere equiparata, ai fini fiscali, ad una società a ristretta base» .
Indi, dopo aver evidenziato che una siffatta ricostruzione appariva «coerente con il disposto dell’art. 149, c. 1, TUIR, secondo cui, ‘indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta’» , i suddetti giudici hanno concluso che «nella sostanza… e (ra) stata ipotizzata la costituzione di una società di fatto esercente attività commerciale»; pertanto, dal momento che, «ai fini delle imposte sui redditi, le società di fatto sono equiparate alle società in nome collettivo o alle società semplici (art. 5, comma 3, lett. a TUIR), anche sotto questo profilo » doveva ritenersi «opera (nte) la presunzione legale di distribuzione degli utili in quote eguali di cui al citato art. 5, comma 2, del TUIR» .
Da quanto precede risulta palese come, secondo l’apprezzamento in fatto compiuto dalla Commissione d’appello, gli avvisi di accertamento personali notificati ai summenzionati COGNOME si fondassero sull’applicazione del principio di trasparenza di cui
all’art. 5 del TUIR, in virtù del quale «i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili (comma 1), con la precisazione che «le quote di partecipazione agli utili si presumono proporzionate al valore dei conferimenti dei soci se non risultano determinate diversamente dell’atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata di costituzione o da altro atto pubblico o scrittura privata autenticata di data anteriore all’inizio del periodo di imposta; se il valore dei conferimenti non risulta determinato, le quote si presumono uguali» (comma 2).
Il richiamato principio, hanno spiegato i giudici regionali, si attagliava al caso in esame per essere stata ipotizzata da parte dell’Ufficio l’avvenuta costituzione di una «società di fatto esercente attività commerciale» , equiparabile a una società in nome collettivo ai sensi dell’art. 5, comma 3, lettera b), del TUIR.
Il percorso argomentativo sorreggente il «decisum» si pone in linea con le difese svolte in corso di causa dalla stessa Agenzia delle Entrate, la quale anche in questa sede ha ribadito che erano stati notificati ai tre odierni ricorrenti dalla disciolta ‘A.RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE‘ (pag. 2 del controricorso, penultimo periodo del testo) e che (pag. 5 del controricorso, penultimo periodo del testo).
Esso, inoltre, appare conforme all’indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo cui, «in tema di enti collettivi non societari costituiti nella forma dell’associazione non riconosciuta, la perdita della natura decommercializzata dell’attività esercitata e la conseguente qualificazione commerciale della stessa comportano
che l’ente collettivo va qualificato alla stregua di una società di fatto se la predetta attività è svolta in comune da più associati, ai quali si applica, come ai soci, il regime di ‘trasparenza’» (cfr. Cass. n. 546/2023; nello stesso ordine di idee Cass. n. 14084/2010).
Tanto premesso, va notato che, per costante orientamento di questa Corte, in presenza di una controversia implicante la configurazione di una società di fatto, il contraddittorio deve essere necessariamente integrato, ai sensi dell’art. 14, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, nei confronti di tutti i pretesi soci; e ciò in quanto, per la particolare natura e configurazione del rapporto giuridico dedotto in giudizio e per la situazione strutturalmente comune a una pluralità di soggetti, la decisione non può conseguire il proprio scopo se non è resa nei confronti di tutti i soggetti coinvolti (cfr. Cass. n. 207/2025, Cass. n. 33393/2024, Cass. n. 2532/2024, Cass. n. 15292/2021).
Orbene, dalla lettura dell’impugnata sentenza si evince che, oltre ai qui ricorrenti NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME avrebbe preso parte all’ipotizzato sodalizio di fatto anche un’altra persona fisica.
Tale circostanza trova conferma nella constatazione che il reddito imponibile accertato dall’Ufficio in capo all’ente collettivo è stato imputato per trasparenza a ciascun socio nella misura di un quarto dell’intero.
Il quarto di cui trattasi, individuato nel ricorso per cassazione (pag. 2, quartultimo rigo) nella persona di NOME COGNOME non ha partecipato ad alcuno dei pregressi gradi di merito.
Alla luce delle considerazioni che precedono, rilevata d’ufficio la violazione del litisconsorzio necessario, non rimane che dichiarare la nullità dell’intero giudizio e cassare la sentenza impugnata, con assorbimento di ogni altra questione.
Essendo stata riscontrata una nullità del processo per la quale il collegio d’appello avrebbe dovuto rimettere le parti al giudice di
prime cure, la causa va rinviata, ai sensi degli artt. 383, comma 3, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, alla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, in diversa