Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5908 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 5908 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
IRPEF
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17226/2017 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura allegata al ricorso, e dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, pec: EMAIL
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato, dalla quale è difesa ope legis ;
– controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 50/2017 pubblicata in data 17/01/2017, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella udienza pubblica del 5/02/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME udito il PM, in persona del sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avv . NOME COGNOME per il ricorrente; udito l’avv. NOME COGNOME per l’Avvocatura Generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale (CTR) della Lombardia rigettò l’appello di NOME COGNOME contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Milano che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento n. T9D013C03359/2014, con cui era ripreso a imposizione il reddito di partecipazione, a fini Irpef anno di imposta 2009, derivante dalla società RAGIONE_SOCIALE destinataria di altro avviso di accertamento.
In particolare , i giudici dell’appello rigettavano il motivo relativo alla incompetenza per territorio della Direzione provinciale che aveva emesso l’atto e, in relazione agli altri motivi di appello, evidenziavano che il ricorso proposto contro l’avviso di accertamento relativo alla società era stato rigettato dalla CTP con sentenza confermata con decisione emessa nella stessa udienza di discussione della causa in esame, alla quale rinviavano.
Contro tale decisione propone ricorso il contribuente sulla base di nove motivi, illustrati da successiva memoria.
Resiste l’Agenzia delle E ntrate con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per l ‘udienza pubblica del 5 febbraio 2025
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente dar conto del fatto che, con la memoria depositata in prossimità dell’udienza, i l ricorrente ha chiesto a questa
Corte di rilevare che «i principali capisaldi del ricorso rimangono acquisiti in base al principio di non contestazione», in quanto l’Agenzia controricorrente non li avrebbe confutati, avendo anzi espressamente concluso per «l’a nnullamento della sentenza impugnata».
Sotto il primo profilo, appare evidente dalla lettura del controricorso che l’amministrazione ha contestato i vari motivi mentre la richiesta di annullamento della sentenza impugnata, invero preceduta comunque dalla richiesta di rigetto del ricorso di controparte, appare un evidente errore materiale che non incide sulla valutazione del contenuto dell’atto, che deve essere compiuta con riferimento ai profili sostanziali della richiesta al giudie (Cass. S.U. n. 3041/2007; Cass. n. 4302/2023).
Quanto, poi, all’affermata sussistenza di un giudicato esterno, formatosi in seguito al rigetto della pretesa erariale concernente l’anno di imposta 2008, l’assunto della contribuente non è munito di un sufficiente grado di specificità.
Questa Corte, infatti, ha affermato in più occasioni (v. ad es. Cass. n. 36741/2022; Cass. n. 19199/2022; Cass. n. 9710/2018; Cass. n. 21395/2017) che in questi casi l’efficacia esterna del giudicato richiede che l’accertamento compiuto nel giudizio defini to con decisione irrevocabile abbia ad oggetto elementi costitutivi della fattispecie, i quali, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere «tendenzialmente permanente»; esso, per contro, non può avere alcuna efficacia vincolant e laddove l’accertamento relativo ai diversi anni di imposta si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli.
Nel caso di specie, il ricorrente non ha fornito elementi significativi della sussistenza di tale indefettibile presupposto per l’invocata operatività del giudicato esterno, limitandosi a indicare l’ordinanza di questa Corte n. 11139/2019, con la quale è stato respinto il ricorso
erariale avverso la sentenza d’appello favorevole ai soci sul rilievo del fatto che era divenuto medio tempore definitivo l’accertamento nei confronti della società, ma che non contiene alcuna indicazione circa la tipologia di accertamento compiuta nel giudizio definito.
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 14, 19 e 59 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, degli artt. 101 e 102 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., lamentando la nullità del giudizio per l ‘ omessa partecipazione dei litisconsorti necessari, trattandosi di un accertamento emesso nei confronti di società di persone.
Secondo la prospettazione dei ricorrenti, i giudici d’appello avrebbero errato nel non rilevare la sussistenza di una fattispecie di litisconsorzio necessario, adottando ogni conseguente provvedimento per la ricostituzione del corretto rapporto processuale.
La censura appare dunque riferita al fatto che, oltre al presente, pendono i giudizi relativi alla società RAGIONE_SOCIALE (cui sono succeduti i soci) e all’altro socio .
2.1. Il motivo è inammissibile.
E’ noto che Cass., Sez. U., n. 14815/2008 ha affermato il principio secondo cui, in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all’art. 5 d.P.R. n. 917 del 1986 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società, riguardi inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso
procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario, la cui violazione è rilevabile di ufficio (successivamente, ex plurimis, da ultime Cass. n. 19218/2022; Cass. n. 16524/2022; Cass. n. 18309/2022; Cass. n. 40175/2021).
E’ però fermo orientamento di questa Sezione quello per cui la nullità non debba essere dichiarata laddove si sia in presenza di una complessiva fattispecie che non rende effettivo il pregiudizio ai litisconsorti, essendo il caso caratterizzato, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, da: (1) identità oggettiva quanto a causa petendi dei ricorsi; (2) simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese; (3) simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici del merito; (4) identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici (Cass. n. 3830/2010; Cass. n. 2907/2010; Cass. n. 6135/2020; Cass. n. 36001/2021; Cass. n. 19402/2022; Cass. n. 10270/2024).
In ta le quadro giurisprudenziale s’è pertanto precisato che le pronunce riguardanti la società ed i soci adottate dallo stesso collegio in identica composizione, nella medesima circostanza e nel contesto di una trattazione sostanzialmente unitaria, implicano la presunzione che si sia realizzata una vicenda sostanzialmente esonerativa del litisconsorzio formale, sicché la parte ricorrente per cassazione, che
lamenti la violazione del principio del necessario contraddittorio con riferimento al giudizio di primo grado, ha l’onere – in conformità al principio di autosufficienza del ricorso – di descrivere lo sviluppo delle procedure nel corso di quel grado (Cass. n. 12375/2016).
Nel caso in esame, va anzitutto osservato che il motivo invece non ricostruisce correttamente i dati processuali, omettendo di riportare i dati relativi ai pregressi giudizi e alla loro trattazione contestuale, che invero emergono dalla stessa decisione di appello.
In secondo luogo, tutti gli elementi di tale complessiva fattispecie sono rinvenibili nella presente vicenda, nella quale la posizione della società RAGIONE_SOCIALE, quanto alla ripresa ai fini Irap per l’anno 2009, e quella dei soci, in ordine ai rispettivi redditi per imputazione, sono state trattate contestualmente, nelle medesime udienze, dallo stesso collegio e con decisioni coincidenti, rese sulla base di identiche argomentazioni difensive.
In proposito, non sfugge al Collegio che la richiamata giurisprudenza, nell’escludere la nullità come conseguenza della mancata integrazione del contraddittorio ab origine , ha comunque attribuito una sorta di efficacia sanante alla circostanza della successiva riunione dei giudizi innanzi al giudice di legittimità. Ciò, tuttavia, non osta a che in questo caso possa comunque addivenirsi a una pronunzia sul merito dell’impugn azione anche senza dar corso a detto incombente; e ciò in continuità con l’orientamen to di questa Corte secondo cui, laddove il ricorso per cassazione appaia inammissibile o prima facie infondato (ipotesi che, per le ragioni che si esporranno nel prosieguo, ricorre nella specie), occorre evitare comportamenti che si concretino in aggravio di attività processuali e inconcludenti formalità, senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (in tal senso, da ultimo, Cass. n. 1692/2025; in precedenza, fra le altre, Cass. n. 18890/2021; Cass. n.
11287/2018), alla luce anche della contestuale trattazione dei ricorsi nell’udienza pubblica .
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in combinazione con l’art. 132, n. 4 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto i giudici d’appello si sono limitati a una motivazione per relationem richiamando un ‘ altra sentenza della quale non hanno indicato neanche il numero.
3.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte, chiamata a scrutinare la validità della sentenza con motivazione redatta mediante richiamo di un provvedimento giudiziario reso in altro processo, ha affermato la necessità che la sentenza resti «autosufficiente», riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logicogiuridica, dovendosi così ritenersi nulla, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la sentenza che si limiti alla mera indicazione dell’esistenza del provvedimento richiamato, senza esporne il contenuto e senza compiere alcun apprezzamento delle argomentazioni assunte nell’altro giudizio e della loro pertinenza e decisività rispetto ai temi dibattuti dalle parti (cfr., fra le altre, Cass. n. 459/2022; Cass. n. 21443/2022).
E tuttavia, una tale impostazione è finalizzata al rispetto della necessità -anch’essa più volte affermata da questa Corte in riferimento all’obbligo di motivazione dei provvedimenti che la decisione consenta «l’individuazione delle ragioni poste a fondamento del dispositivo» (così Cass. n. 459/2022).
Per tale ragione, ad esempio, è stata esclusa la nullità della sentenza motivata mediante rinvio ad altro precedente dell’ufficio reso
tra le stesse parti, «in quanto il riferimento ai ‘precedenti conformi’ contenuto nell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. non deve intendersi limitato ai precedenti di legittimità, ma si estende anche a quelli di merito, ricercandosi per tale via il beneficio di schemi decisionali già compiuti per casi identici o per la risoluzione di identiche questioni, nell’ambito di un più ampio disegno di riduzione dei tempi del processo civile» (così Cass. n. 29017/2021). In questi casi, poiché la motivazione del precedente costituisce parte integrante della decisione, la parte che intenda impugnarla ha l’onere di compiere una precisa analisi anche delle argomentazioni che vi sono inserite mediante l’operazione inclusiva del precedente, alla stregua dei requisiti di specificità propri di ciascun modello di gravame, previo esame preliminare della sovrapponibilità del caso richiamato alla fattispecie in discussione.
Ed invero, che tale ultima fattispecie sia integrata dalla presente vicenda processuale è confermato dal fatto che i motivi di ricorso si riferiscono ampiamente e dettagliatamente alla sentenza d’appello resa dalla C.T.R. nel giudizio relativo alla società poi estinta (e del resto la C.T.R. richiamava espressamente la contestuale sentenza resa nei confronti della società) , sentenza pure prodotta dall’odierno ricorrente ; il che conduce a escludere che questi possa dolersi della mancata conoscenza delle ragioni della decisione.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2495, 2312 c.c. e dell’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212; contesta la legittimità della notificazione del questionario ex art. 32, comma 4, d.P.R. n. 600/1973, che aveva preceduto l’accertamento nei confronti della società, in quanto effettuata dopo la cancellazione di quest’ultima dal registro delle imprese; ne deduce, infatti, la sussistenza di una fattispecie di nullità
assoluta, non sanabile dal fatto che essa ne era stata comunque messa a conoscenza.
4.1. Il motivo è manifestamente infondato.
Se, infatti, la notifica di un atto impositivo effettuata nei confronti di una società già cancellata dal registro delle imprese è nulla, poiché l’estinzione impedisce che la società sia munita di autonoma legittimazione processuale, analoga conclusione non vale per l’invio del questionario di cui all’art. 32, comma 4, d.P.R. n. 600/1973 , il quale, come correttamente osservato dai giudici d’appello nella sentenza concernente la società, prodotta in atti, non è previsto quale presupposto o momento necessario ed indefettibile della serie proced imentale finalizzata alla rettifica che caratterizza l’accertamento tributario, ma costituisce una mera facoltà discrezionale dell’Amministrazione finanziaria, tant’è che, ove questo sia omesso, non si determina alcuna invalidità dell’accertamento medesimo (v., fra le altre, Cass. n. 38060/2021; Cass. n. 27851/2018).
5. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 53 della Costituzione, dell’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212; il ricorrente -riferendosi, evidentemente, alla sentenza resa dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società alla quale fa rinvio la decisione impugnata in questa sede -si duole del fatto che non siano stati presi in considerazione i documenti prodotti nel corso del giudizio di primo grado. Evidenzia, al riguardo, le ragioni per le quali il ritardo nella produzione non gli sarebbe imputabile e richiama, in ogni caso, la giurisprudenza che ha ritenuto legittime le produzioni tardive, sulla base del principio affermato dall’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 e del diritto alla difesa.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 267 TFUE e dell’art. 24 della l. n. 4 del 1929, in quanto l’accertamento sul quale si basa quello impugnato era stato emesso in assenza di contraddittorio procedimentale.
Anche detto motivo inerisce alla sentenza d’appello concernente la società, che viene criticata nella parte in cui non ha ritenuto necessario il rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, pur vertendosi in tema di accertamento anche per Iva.
5.1. Il quarto e il quinto mezzo di impugnazione appaiono connessi, poiché concernono entrambi il tema del contraddittorio endoprocedimentale.
Essi, pertanto, possono essere esaminati congiuntamente e vanno dichiarati infondati.
Sul punto, infatti, la C.T.R. si è conformata ai principi più volte affermati al riguardo da questa Corte; in particolare, va condiviso il rilievo circa il fatto che, per il segmento accertativo riferito all’Iva, la doglianza della contribuente avrebbe potuto trovare conforto ove gli stessi avessero assolto all’onere di allegazione specifica delle ragioni concrete che potevano esser da loro fatte valere ove il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, in quanto tali ragioni avrebbero potuto inci dere sul ‘se’ e sul contenuto dell’atto (v. Cass. n. 26068/2023; Cass. n. 37234/2022).
In proposito, e con specifico riguardo al quarto motivo, si deve ribadire che l’onere non assolto concerne il piano delle allegazioni, non già quello delle produzioni che ad esse siano, eventualmente, riferite; in proposito, e quindi anche con riferimento al quinto motivo, la sentenza d’appello relativa alla società ha affermato in termini con cui la censura non si confronta -che nel ricorso introduttivo (e nel l’atto di appello) non erano in alcun modo indicate le ragioni concrete che la società contribuente avrebbe potuto far valere nell’ipotesi di tempestiva attivazione del contraddittorio.
6. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 della Costituzione e dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, come recepiti dalla circolare 32E del 2006. Il ricorrente assume che la determinazione del credito erariale sarebbe addivenuta ad una «iperbolica percentuale di ricarico globale che non ha riscontri nell’economia reale». Contesta, in tal senso, la sentenza resa nei confronti della società, nella quale l’operato dell’Ufficio è stato ritenuto legittimo poiché è consistito nel recupero a tassazione di costi non documentati e, quindi, non deducibili.
6.1. Il motivo è inammissibile.
L’assunto che l’Ufficio avrebbe operato un abnorme «ricarico globale» delle imposte dovute, non si confronta con l’affermazione contenuta nella pronunzia richiamata dai giudici d’appello (pag. 8) circa il fatto che l’importo indicato «non è il ricarico operato dall’Ufficio, bensì semplicemente la conseguenza (in termini eco nomici) del fatto che , non avendo i ricorrenti prodotto documentazione giustificativa e distinta analitica dei costi pari complessivamente ad € 82.929,00» di tali ultimi è stato l egittimamente recuperato a tassazione l’intero ammontare, trattandosi di costi dedotti in assenza dei presupposti.
In proposito, non è pertinente il richiamo operato dalla contribuente alla circolare n. 32/E del 2006 dell’Agenzia delle entrate, secondo la quale (peraltro in conformità al consolidato orientamento di questa Corte, v. ad es. Cass. n. 2444/2024) nel caso, qui ricorrente, di accertamento induttivo puro deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria; tale indicazione opera, infatti, nel caso in cui l’Amministrazione abbia provveduto alla rideterminazione dei ricavi del contribuente, non certo, come avvenuto nella specie, al mero rilievo della mancata deduzione di costi.
Con il settimo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2313 c.c. e si duole del fatto che l’Amministrazione abbia notificato l’atto impositivo relativo alla società estinta ad entrambi i soci del sodalizio, senza operare distinzione in ordine alle rispettive «classi di responsabilità», ovvero fra socio accomandante e socio accomandatario.
7.1. Il settimo motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Non v’è infatti spazio per le doglianze della ricorrente, in relazione al proprio reddito di partecipazione, in ragione del fatto che l’avviso relativo alla società è stato notificato ad entrambi i soci, senza distinzione concernente il regime di responsabilità, irrilevante ai predetti fini.
Con l’ottavo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui la CTR ha ritenuto legittimo l’atto impositivo benché sottoscritto da funzionario privo di delega; rileva, in proposito, che la delega prodotta dall’Ufficio sarebbe «priva dei requisiti minimi per essere ritenuta valida», in quanto priva di motivazione, non conferita per il singolo atto ma per la totalità degli accertamenti concernenti un maggiore imponibile compreso fra 50.001,00 e 300.000,00 euro e priva della data di scadenza.
8.1. Il motivo è infondato
La CTR ha pronunciato , sul punto e con riferimento all’avviso societario, richiamando la sentenza su quest’ultimo, con decisione conforme ai dettami di questa Corte, laddove, in particolare, ha statuito che la delega di cui all’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 è una delega di firma (Cass. n. 28850/2019; Cass. n. 11013/2019; Cass. n. 8814/2019, superando l’originaria impostazione di Cass. n.
22803/2015; ancora Cass. n. 23433/2019; Cass. n. 18675/2020; Cass. n. 28393/2021); pertanto essa non deve essere conferita per il singolo atto e non deve indicare un termine di scadenza (Cass. n. 21972/2024), non va allegata all’atto impositivo, in quanto provvista di mera rilevanza interna (Cass. n. 5826/2023); infine l’atto è comunque valido ove, come nella specie, sia stato sottoscritto da un funzionario delegato di carriera direttiva (Cass. n. 5177/2020).
Con il nono motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 31 d.P.R. n. 600/1973 . La decisione sarebbe errata e contraddittoria laddove ha ritenuto che, in relazione al medesimo anno d’imposta, sarebbero competenti due diverse direzioni pur in presenza di un unico domicilio del destinatario; in particolare, i giudici d’appello avrebbero dovuto rilevare «il vizio sostanziale e radicale dell’avviso di accertamento» conseguente alla carenza di potere dell’organo accertativo.
9.1. Il motivo è infondato.
In riferimento a lla competenza territoriale ad emanare l’avviso di accertamento, infatti, la sentenza appellata ha motivato con chiarezza, ritenendola radicata (in capo alla Direzione provinciale II di Milano) in relazione alla residenza del Randon in Cusano Milanino.
Le ulteriori considerazioni svolte in seno alla censura esulano dal chiaro percorso argomentativo adottato dai giudici d’appello , ancorato ad un elemento fattuale preciso.
10. Il ricorso deve quindi essere respinto.
Alla soccombenza segue la condanna al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.
Al rigetto segue altresì l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali del raddoppio del contributo unificato, sulla quale non incide la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello
stato (in atti ma di cui comunque non risulta provato l’accoglimento ),in forza di Cass., Sez. U., n. 4315/2020 (secondo cui il giudice dell’impugnazione che emetta una delle pronunce previste dall’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, è tenuto a dare atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’importo ulteriore del contributo unificato anche quando esso non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di venire meno, come nel caso di ammissione della parte al patrocinio a spese dello Stato, potendo invece esimersi dal rendere detta attestazione quando la debenza del contributo unificato iniziale sia esclusa dalla legge in modo assoluto e definitivo).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 2.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 5 febbraio 2025.