Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8245 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8245 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
COGNOME NOME;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, n. 1716/03/2018, depositata in data 28 maggio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnava l’ avviso di accertamento n. TVF011505199/2013, con cui l’Ufficio le imputava, sulla base dell’art. 5 del d.P.R. 917/1986 il maggior reddito accertato in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, per l’anno 2008, in proporzione delle quote (55%) possedute.
Oggetto: Società di persone -Omessa dichiarazione di redditi da partecipazione -Sequestro delle quote -Litisconsorzio necessario
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29227/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
Nello specifico, la contribuente deduceva il difetto assoluto del presupposto impositivo, derivante dalla circostanza che le quote della predetta società sarebbero state assoggettate a confisca di prevenzione sin dal 2003 con provvedimento emesso dal Tribunale di Bari. Il vincolo si sarebbe protratto fino agli anni di imposta 2007 e 2008, determinando l’impossibilità giuridica di percepire un reddito di partecipazione.
L’Agenzia delle entrate si costituiva affermando la legittimità del proprio operato, atteso che, in forza della circolare del Ministero delle Finanze 7 agosto 2000, n. 156, i redditi derivanti dall’amministrazione di beni sequestrati sono egualmente soggetti a tassazione.
Con memoria del 2 luglio 2015 l’Ufficio rappresentava , poi, che il reddito di impresa da imputare ai soci per l’anno 2008 era riportato nel quadro RF del Modello Unico Società di persone 2009, debitamente presentato dalla legale rappresentante NOME COGNOME. Evidenziava, infine, che in un primo tempo era stato disposto il sequestro del patrimonio aziendale della società e che, solo a far data dal 14.1.2011, venivano sequestrate anche le quote societarie.
La confisca di prevenzione era infine disposta dal Tribunale di Bari con provvedimento del 28.11.2013.
La Commissione tributaria provinciale di Bari rigettava il ricorso.
La contribuente interponeva gravame ribadendo che, in relazione ai periodi di imposta interessati dal l’accertamento , nessun reddito era stato da lei percepito con riguardo ai beni oggetto di confisca.
Resisteva l’Ufficio ribadendo le ragioni sostenute in primo grado.
La Commissione tributaria regionale della Puglia accoglieva l’appello evidenziando che, a dispetto dell’assoggettabilità a tassazione dei redditi prodotti da beni sottoposti a sequestro, la
contribuente aveva debitamente allegato di non aver percepito alcun reddito nei periodi d’imposta interessati dall’accertamento.
Avverso la decisione della CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio , affidandosi a quattro motivi.
La contribuente è rimasta intimata.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 18/03/2025.
Considerato che:
Con il primo strumento di impugnazione, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., l’Ufficio lamenta la violazione degli artt. 36 e 61 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, conseguendone la nullità della decisione impugnata, per avere la CTR fornito una motivazione meramente apparente, inidonea a disvelare l’iter logico seguito per giungere alle risultanze processuali. La motivazione consisterebbe, infatti, in un’unica, apodittica proposizione assolutamente inidonea a spiegare il ragionamento decisorio seguito dal giudice.
Con il secondo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., atteso che la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi sulla questione dell ‘applicazione dell’art. 5 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in combinato disposto con l’art. 14 , legge 24 dicembre 1993, n. 537, in riferimento al la documentazione prodotta dall’Ufficio attestante il reddito di partecipazione della contribuente nella Sorangelo Pasquale e C. s.n.c.. Quest’ultima aveva, invero, dichiarato un reddito di impresa, per l’anno 2008, pari ad Euro 150.892,00, che l’Ufficio aveva proporzionalmente attribuito alla COGNOME in ragione delle quote di partecipazione (55%).
Con il terzo strumento di impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in combinato disposto con l’art. 14 comma 4, legge 24 dicembre 1993, n. 537, non avendo la CTR correttamente applicato il principio di trasparenza, in ossequio al quale i redditi prodotti dalle società di persone sono imputati a
ciascun socio indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili, anche quando derivano dall’amministrazione dei beni sequestrati. Nella specie, inoltre, la confisca delle quote societarie era stata disposta solo nel novembre del 2013.
L’Agenzia delle Entrate deduce che secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale i redditi prodotti dai beni sequestrati sono soggetti a tassazione, a i sensi dell’art. 14, comma 4, della l egge n. 537/1993: a i fini della causa di esclusione dell’imponibilità, occorre che il provvedimento ablatorio sia intervenuto nello stesso periodo d’imposta cui il provento si riferisce, così operando il principio di capacità contributiva. Con la conseguenza che se l’accertamento riguardi illeciti proventi relativi a più annualità, il sequestro o la confisca sono opponibili al Fisco soltanto con riferimento all’annualità in cui detti atti ablatori siano stati posti in essere e non per quelle precedenti (Cass., 08/10/2014 n. 21195).
Con il quarto (ed ultimo) motivo l’Ufficio lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 5 comma 1 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, per avere la CTR affermato che la contribuente non avesse percepito alcun reddito, nonostante la documentazione offerta dall’Agenzia in ordine al reddito d’impresa, poi distribuito ai soci, conseguito dalla Sorangelo RAGIONE_SOCIALE in relazione all’anno d’imposta 2008.
Osserva la Corte che preliminare all’esame dei motivi di ricorso è la questione, rilevabile d’ufficio da questa Corte, del mancato rispetto dell’integrità del contraddittorio nei gradi di merito.
5.1. Questa Corte regolatrice ha ripetutamente statuito, anche pronunciando a Sezioni Unite, che «in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all’art. 5 d.P.R. 22/12/1986 n. 917 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed
indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 546/92 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio» (Cass., Sez. U., 04/06/2008 n. 14815; conf., tra le tante, Cass. 25/06/2018 n. 16730). Ne consegue che «in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento del maggior reddito delle società di persone e dei soci delle stesse, ex art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, comporta un litisconsorzio necessario tra società e soci, in difetto del quale la sentenza, anche di appello, è affetta da radicale nullità ed il procedimento deve essere rinviato al giudice di primo grado» (Cass. 22/01/2018 n. 1472).
Gli stessi principi devono ritenersi applicabili quando non sussista, come nella specie, un avviso di accertamento nei confronti della società, avendo quest’ultima dichiarato di aver percepito reddito d’impresa, e l’Ufficio contesti ai singoli soci, proporzionalmente alle rispettive quote, per il principio di trasparenza, la mancata dichiarazione dei redditi ai fini IRPEF.
Nella specie, inoltre, la ricorrente-socia non ha prospettato solo questioni personali, avendo dedotto nel ricorso introduttivo che
per effetto del sequestro del patrimonio societario i redditi prodotti dai detti beni non potevano essere tassati, così sostanzialmente contestando il reddito della società.
5.2. Invero questa Corte di legittimità non ha mancato di precisare che «nel processo di cassazione, in presenza di cause decise separatamente nel merito e relative, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, la violazione del litisconsorzio necessario tra società e soci determina la rimessione della causa al primo giudice che, tuttavia, non è necessaria ove in sede di legittimità possa disporsi la ricomposizione del contraddittorio mediante la riunione; ciò si verifica quando, oltre a sussistere la piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, la complessiva fattispecie sia caratterizzata da: identità oggettiva quanto a ‘causa petendi’ dei ricorsi; simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese; simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici del merito; identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici» (Cass. 24/02/2022 n. 6073).
Nella specie, pacifica la mancata partecipazione della società e degli altri soci (detentori della residua quota del 45%) ai gradi di merito, e risultando che i giudizi relativi ai soci sono stati trattati in modo distinto e separato, deve dichiararsi la nullità dell’intero giudizio (con assorbimento dei motivi di ricorso proposti dall’Ufficio) con rimessione della causa al giudice di primo grado, perché possa procedere alla trattazione unitaria del processo con tutti i litisconsorti.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sul ricorso, cassa la decisione impugnata dichiarando la nullità dell’intero giudizio, e rinvia innanzi alla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Bari perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio, e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 marzo 2025.