Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14641 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14641 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale stesa a margine del ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno indicato recapito Pec, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo difensore, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore ;
-resistente –
avverso
la sentenza n. 400, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte il 27.11.2015, e pubblicata il 22.3.2016; ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME la Corte osserva:
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate notificava a NOME Maurizio gli avvisi di accertamento n. T7E011701544/12, e n. T7E011701576/12 emessi, con riferimento agli anni 2005 e 2006,
Oggetto: Irpef, Iva ed Irap, 2005/6 – Monitoraggio fiscale – Raddoppio dei termini di accertamento – NOME COGNOME – Debenza dell’Irap.
ai fini Irpef, Iva ed Irap, in relazione al reddito esportato in Svizzera, Paese dalla fiscalità privilegiata (HSBC Private RAGIONE_SOCIALE sede di Ginevra), e non dichiarato, anche in violazione della normativa sul monitoraggio fiscale.
COGNOME NOME impugnava gli atti impositivi innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino proponendo plurime censure, procedimentali e di merito assumendo, tra l’altro, che non poteva operare nel caso di specie il raddoppio dei termini di accertamento, nonché affermando l’inutilizzabilità dei dati estratti dalla c.d. lista COGNOME La CTP riteneva infondate le critiche introdotte dal contribuente, ad eccezione di quelle relative all’anno 2006, con riferimento alle giacenze sul conto estero, che non risultavano aver registrato incrementi.
Il contribuente e l’Agenzia delle Entrate spiegavano appello, principale ed incidentale, nella parte in cui erano rimasti soccombenti, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, riproponendo i propri argomenti. La CTR riteneva infondati i ricorsi proposti da entrambe le parti, e rigettava le loro impugnazioni.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la pronuncia del giudice del gravame, affidandosi a nove strumenti di impugnazione. L’Amministrazione finanziaria non si è costituita tempestivamente nel giudizio di legittimità, ma ha depositato istanza di partecipazione all’eventuale udienza di trattazione pubblica del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente contesta la violazione dell’art. 12, comma 2, del Dl. n. 78 del 2009, degli artt. 3 e 10 della legge n. 212 del 2000 (c.d. Statuto del contribuente), dell’art. 11 delle Preleggi, degli artt. 3, 53 e 117 della Costituzione, dell’art. 3 del D.Lgs. n. 472 del 1997, dell’art. 6 CEDU, degli artt.
2697 e 2698 cod. civ., e degli artt. 202 ss. cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto l’applicabilità retroattiva della citata disposizione di cui all’art. 12, comma 2, e della nuova presunzione da essa prevista, anche in materia di raddoppio dei termini di accertamento tributario.
Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione dell’art. 2, comma 2 bis , del Dl. n. 78 del 2009, degli artt. 3 e 10 della legge n. 212 del 2000 (c.d. Statuto del contribuente), dell’art. 11 delle Preleggi, degli artt. 3, 53 e 117 della Costituzione, dell’art. 3 del D.Lgs. n. 472 del 1997, dell’art. 6 CEDU, degli artt. 2697 e 2698 cod. civ., e degli artt. 202 ss. cod. proc. civ., per avere il giudice dell’appello erroneamente ritenuto l’applicabilità retroattiva della citata disposizione di cui all’art. 12, comma 2 bis , in materia di raddoppio dei termini di accertamento tributario.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente critica la violazione degli artt. 38, 39 e 42 del Dpr n. 600 del 1973, e degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., per avere il giudice del gravame erroneamente ritenuto dimostrato che i pretesi redditi esportati costituissero il provento di lavoro autonomo, e come tali fossero imponibili anche ai fini Irap ed Iva, e non costituissero piuttosto redditi da capitale.
Mediante il quarto mezzo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia ancora la violazione degli artt. 38, 39 e 42 del Dpr n. 600 del 1973, e degli artt. 2727, 2729 e 2697 cod. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto che i redditi esportati dal contribuente fossero riconducibili a proventi di attività libero professionale sul fondamento di verifiche eseguite ai sensi dell’art. 32 del Dpr n. 600
del 1973, che però è applicabile agli imprenditori, e non ai lavoratori autonomi.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il contribuente contesta la nullità della decisione adottata dal giudice dell’appello, in conseguenza della violazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 cod. civ., e dell’art. 116 cod. proc. civ., per avere il giudice dell’appello erroneamente applicato le regole della prova presuntiva, ritenendo accertato che i pretesi redditi esportati costituissero il provento di lavoro autonomo, e come tali fossero imponibili anche ai fini Irap ed Iva, sulla base del ‘mero fatto che in Italia il ricorrente esercita l’attività di consulente finanziario costituente la sua unica fonte di reddito’ (ric., p. 34).
Mediante il sesto strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente censura la nullità della sentenza impugnata, per avere il giudice del gravame proposto una motivazione meramente apparente in materia di natura dei pretesi redditi esportati dal contribuente, essendosi limitata ad aderire alle valutazioni espresse dalla CTP, senza esprimere un giudizio proprio.
Con il settimo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente critica la violazione dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 5 bis del D.Lgs. n. 446 del 1997, e dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, per avere la CTR ritenuto che il preteso maggior reddito accertato nei confronti del contribuente dovesse essere assoggettato al pagamento del Irap, senza verificare che ricorresse il necessario requisito dell’autonoma organizzazione della sua attività professionale.
Mediante l’ottavo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata, per essere il giudice dell’appello incorso nel vizio della extra -petizione perché, in
relazione all’anno 2006, sono contestate solo violazioni in relazione ai tributi Irpef, Iva ed Irap, mentre la CTR ha ritenuto di poter anche affermare la ricorrenza dei presupposti non solo per il recupero dei maggiori redditi di capitale non dichiarati, ma anche per l’irrogazione delle sanzioni in conseguenza della omessa compilazione del quadro RW della denuncia dei redditi, che non costituisce oggetto del presente giudizio.
Con il nono motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente critica la violazione del Dl. n. 259 del 2006, come conv., degli artt. 191 e 240 cod. proc. pen., dell’art. 2697 cod. civ., della Direttiva n. 77/799 CEE, degli artt. 31 bis, 32 e 42 del Dpr n. 600 del 1973, nonché degli artt. 7 e 12 della legge n. 212 del 2000, per avere il giudice del gravame ritenuto utilizzabili i dati estratti dalla lista COGNOME, ‘illegalmente … trafugati e manipolati’ (ric., p. 41).
Mediante i suoi primi due strumenti di impugnazione il contribuente contesta la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice di secondo grado, per aver ritenuto operante la previsione di legge sopravvenuta, e non retroattiva, che prevede una nuova presunzione di evasione favorevole all’Amministrazione finanziaria ed il raddoppio dei termini di accertamento. I due motivi di ricorso presentano elementi di connessione, e possono perciò essere trattati congiuntamente, per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
Sembra opportuno ricordare che il raddoppio dei termini di accertamento è previsto dall’art. 12, comma 2 bis , del Dl. n. 78 del 2009, come conv., mentre l’art. 12, comma 2, dello stesso testo ha disposto l’introduzione di una nuova presunzione in favore del Fisco.
10.1. Questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di chiarire in proposito, condivisibilmente, che ‘la presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di
natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., dalla l. n. 102 del 2009, in vigore dal 1° luglio 2009, non ha natura procedimentale ma sostanziale – sia perché le norme in tema di presunzioni sono collocate, nel codice civile, tra quelle sostanziali, sia perché una diversa interpretazione potrebbe pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione -con la conseguenza che essa non ha efficacia retroattiva. Viceversa, hanno natura procedimentale e non sostanziale e soggiacciono perciò al principio “tempus regit actum”, le previsioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter del medesimo art. 12, che raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla suddetta presunzione e quelli di decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni per l’omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, sicché esse si applicano anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1° luglio 2009), quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, indipendentemente dalla applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2′, Cass. sez. V, 14.11.2019, n. 29632.
10.2. Occorre ancora chiarire che, nel caso di specie, il giudice dell’appello non ha ritenuto operante la presunzione di cui all’art. 12, comma 2, cit., del resto non utilizzabile ratione temporis , perché ha piuttosto ritenuto dimostrata con prova documentale la esportazione e detenzione all’estero di capitali, non dichiarati, da parte del contribuente.
I primi due strumenti di impugnazione risultano pertanto infondati e devono perciò essere respinti.
Mediante i suoi motivi di ricorso dal terzo al sesto il contribuente critica, in relazione ai profili della omessa pronuncia per essersi il giudice dell’appello limitato ad aderire alle valutazioni della CTP, e della violazione di legge, la impugnata pronuncia della CTR per aver ritenuto dimostrata la natura di proventi da lavoro autonomo dei redditi non dichiarati trasferiti all’estero dal COGNOME, e pertanto assoggettati anche ai tributi dell’Iva e dell’Irap. I quattro motivi di ricorso presentano elementi di connessione, e possono perciò essere trattati congiuntamente, per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
11.1. La CTR mostra di avere ben presenti le critiche proposte dal contribuente, che ritiene indimostrata la natura di proventi da lavoro autonomo dei redditi esportati (cfr. sez. CTR, p. 7), e ricorda che già i primi giudici avevano rilevato che, a fronte delle presunzioni allegate dall’Ufficio, il quale afferma la natura di redditi da lavoro autonomo dei redditi esportati, ‘condivisibilmente, la CTP ha ritenuto lecito presumere che tali redditi derivassero dall’unica fonte di reddito dichiarata dal contribuente … tale presunzione avrebbe potuto essere vinta da prova contraria che il ricorrente neppure ha accennato a fornire …’. Quindi il giudice dell’appello osserva che, in materia di natura dei redditi esportati ‘la parte non ha saputo fornire nessuna indicazione, limitandosi ad affermare che l’onere della prova non deve gravare sul contribuente, ma va posta a carico dell’Ufficio’.
11.2. Non ricorre pertanto un’omessa pronuncia, la CTR richiama quanto deliberato dalla CTP, come le è senz’altro consentito, e spiega con chiarezza perché ritenga di condividerne le valutazioni, l’Agenzia delle Entrate ha offerto la prova presuntiva, ed il contribuente non ha offerto alcun elemento che permettesse di ritenerla superabile.
Il mero fatto che in Italia il ricorrente esercita l’attività di consulente finanziario costituente la sua unica fonte di reddito è
stata ritenuta dal giudice del fatto una sufficiente prova presuntiva della natura dei redditi esportati, ed il contribuente non ha neppure allegato circostanze idonee a contrastare questa valutazione.
11.2.1. Deve ancora essere evidenziato che la valutazione circa la natura dei redditi esportati espressa dal giudice dell’appello non si basa soltanto su accertamenti eseguiti ai sensi dell’art. 32 del Dpr n. 600 del 1973, ma soprattutto sulle stesse dichiarazioni dei redditi del contribuente, in relazione alle quali non è stata proposta alcuna contestazione di erroneità, dalle quali emerge che il COGNOME svolgeva esclusivamente attività di lavoro autonomo (consulente), ed aveva regolarmente dichiarato e versato anche l’Irap. Inoltre, la tesi del contribuente secondo cui gli accertamenti bancari sono utilizzabili solo nei confronti degli imprenditori, e in nessun caso sarebbero utilizzabili nei confronti dei liberi professionisti, risulta infondata, avendo questa Corte regolatrice recentemente avuto occasione di chiarire che, ‘in tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, giusta l’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte cost. n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti’, Cass. sez. V, 8.4.2024, n. 9403.
I motivi di impugnazione dal terzo al sesto risultano pertanto infondati, e devono perciò essere rigettati.
Con il settimo motivo di ricorso il contribuente critica la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice di secondo grado per aver ritenuto che il preteso maggior reddito accertato nei confronti del contribuente dovesse essere assoggettato al pagamento dell’ Irap, senza verificare che ricorresse il necessario requisito dell’autonoma organizzazione della sua attività professionale.
12.1. La CTR scrive che ‘quanto alla censura relativa alla non imponibilità ad IRAP del maggior reddito accertato, la censura va parimenti respinta stante che, come fa rilevare l’Ufficio, il contribuente, … solo in questa sede ha documentato le proprie deduzioni e negli anni in questione ha compilato il quadro Irap e versato l’imposta senza chiedere rettifiche o rimborsi. Anche i maggiori redditi accertati dovranno, pertanto essere assoggettati ad Irap’ (sent. CTR, p. 21).
12.2. Occorre allora rilevare che il contribuente, ricordato di avere depositato documentazione in merito in grado di appello, adempimento di cui la CTR dà atto, ha avuto cura di riportare come abbia proposto le proprie censure circa l’assenza di un’autonoma organizzazione nel corso dei gradi di merito del giudizio, sin dal ricorso introduttivo innanzi alla CTP, indicando pure i beni di cui disponeva negli anni 2005 e 2006 ed i valori delle quote di ammortamento riportati nelle proprie dichiarazioni dei redditi.
12.3. La CTR non ha ritenuto di esaminare la documentazione prodotta e le allegazioni proposte, e si è limitata ad osservare che il contribuente aveva dichiarato di essere sottoposto all’Irap ed aveva versato il relativo importo, senza presentare rettifiche o richiedere rimborsi. Invero possono essere numerose le ragioni per le quali un contribuente non proponga rettifiche della propria dichiarazione dei redditi, e non domandi rimborsi, anche quando ritenga di essere incorso in un errore e di aver versato tributi maggiori di quanto dovuto, ad esempio perché quando si è reso conto dell’errore
commesso era ormai decaduto dalla possibilità di esercitare utilmente simili facoltà, ma questo non gli inibisce, qualora sia l’Amministrazione finanziaria a pretendere da lui il pagamento di un tributo di opporre, anche in giudizio, di non esserne debitore (cfr. Cass. SS.UU., 30.6.2016, n. 13378; Cass. sez. V, 20.11.2019, n. 30151).
La decisione del giudice del gravame, che non ha esaminato le censure del contribuente e la documentazione da lui allegata, appare sul punto non condivisibile, ed il settimo motivo di ricorso deve perciò essere accolto.
13. Mediante l’ottavo strumento di impugnazione il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata, per essere il giudice dell’appello incorso nel vizio della extra-petizione perché, in relazione all’anno 2006, risultano contestate in questo giudizio solo violazioni in relazione ai tributi Irpef, Iva ed Irap, mentre la CTR ha ritenuto di poter anche affermare la ricorrenza dei presupposti non solo per il recupero dei maggiori redditi di capitale non dichiarati, ma anche per l’irrogazione delle sanzioni in conseguenza dell’omessa compilazione del quadro RW della denuncia dei redditi, che non costituisce oggetto del presente giudizio. Rileva il contribuente di aver contestato per tale causa già la decisione della CTP, ma la CTR ha ritenuto di confermarla.
13.1. Ricordato che le sanzioni relative all’omesso rispetto degli obblighi di monitoraggio in relazione all’anno 2006 sono oggetto di separato giudizio, la CTR scrive che risulta ‘accertato anche per il 2006 la riferibilità al contribuente delle somme contenute nei conti correnti citati e la loro sottrazione a tassazione, non solo ai fini della sanzione per omessa compilazione del quadro RW (sanzione poi comminata con separato atto), ma anche dell’applicazione della presunzione di fruttuosità dei capitali ex art. 6 Dl. n. 167/90. La statuizione non è affatto estranea all’oggetto del processo e risulta relativa al presupposto utilizzato dall’Ufficio, non solo per emettere
separato atto di contestazione, per omessa compilazione del quadro RW (sanzione poi comminata con separato atto), ma anche per il recupero dei maggiori redditi di capitali non dichiarati’ (sent. CTR, p. 21).
Pertanto la CTR ha ben presente, e lo ripete più volte, che l’irrogazione delle sanzioni per l’omessa compilazione del quadro RW risulta estranea al presente giudizio, e non pronunzia sul punto, limitandosi ad osservare che il comune presupposto della detenzione di capitali all’estero nell’anno 2006 fonda la presunzione di maggior reddito imponibile derivante dalla naturale fruttuosità dei capitali detenuti all’estero, che riguarda invece il presente giudizio, e solo in tal senso conferma la pronuncia del giudice di primo grado.
Non vi è quindi pronunzia extra petita , e l’ottavo motivo di ricorso deve essere respinto.
14. Con il nono mezzo di impugnazione il contribuente critica la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice del gravame per aver ritenuto utilizzabili i dati estratti dalla lista COGNOME, sebbene ‘illegalmente … trafugati e manipolati’ (ric., p. 41), dovendo trovare applicazione la preclusione di cui agli artt. 191 e 240 cod. proc. civ., e comunque mancando anche la prova della riferibilità al contribuente dei conti correnti bancari svizzeri.
14.1. La CTR ha ritenuto che la c.d. lista ‘COGNOME‘, riportante (anche) l’elenco ed i dati identificativi di correntisti italiani titolari di depositi bancari in Svizzera, corredata di schede riassuntive (fiches) riportanti consistenze e movimentazioni dei conti, nonché schemi riepilogativi, sia stata legittimamente acquisita dall’Autorità fiscale italiana da quella francese, utilizzandosi i canali di collaborazione informativa internazionale. Inoltre, nel caso di specie, la Guardia di Finanza ha ‘ampiamente appurato la riconducibilità al signor COGNOME degli importi detenuti presso la HSBC di Ginevra, di cui si contesta l’omessa indicazione nel quadro
RW, in particolare dei conti identificati con i nomi ‘Rosarba 46’ e ‘Mandorla 46’ mediante elementi gravi e precisi: acquisizione presso l’anagrafe del Comune di Pinerolo dei dati anagrafici riferibili alla carta d’identità indicata dal personale della Banca svizzera da cui si evinceva che il titolare di quel documento era il contribuente COGNOME NOMECOGNOME conferma, con accesso alle banche dati in uso alla GdF, della riconducibilità dei dati indicati dal personale dell’Istituto Svizzero relativi alla professione, al recapito della corrispondenza, oltre che dei dati anagrafici al signor COGNOME (sent. CTR, p. 16). La CTR non ha poi mancato di aggiungere, dichiarando di aderire alla valutazione dei primi giudici, che ‘vi è piena corrispondenza tra i dati della fiche’ estratta dalla lista COGNOME ‘e quelli dei prospetti riepilogativi’ (sent. CTR, p. 20)
La decisione assunta dal giudice dell’appello risulta pertanto adeguatamente motivata, ed appare anche conforme alle valutazioni espresse da questa Suprema Corte in numerose analoghe vicende.
14.2. Si è infatti osservato che ‘l’Amministrazione finanziaria, nella sua attività di accertamento della evasione fiscale può – in linea di principio – avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o dal fatto di essere stati acquisiti dalla Amministrazione in violazione di un diritto del contribuente. Sono perciò utilizzabili, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo l’eventuale reato commesso dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (che non gode di tutela nei confronti del fisco)’.
Merita di essere chiarito, in proposito, che la Suprema Corte si è pronunciata in un giudizio in cui il contribuente, proprio come l’odierno ricorrente, era stato sottoposto ad accertamento fiscale per aver investito capitali all’estero non avendoli dichiarati, e le
somme risultavano detenute proprio presso una sede svizzera della stessa Banca, la HSBC, essendo già stata disposta la distruzione dei dati contenuti nella lista (in giudizio relativo a diverso contribuente), ed avendo il contribuente invocato la inutilizzabilità dei dati ai sensi degli artt. 191 ( Prove illegalmente acquisite ) e 240 ( Documenti anonimi ed atti relativi ad intercettazioni illegali ) cod. proc. pen., proprio come nella presente vicenda processuale. La Corte di legittimità, alla cui integrale motivazione si opera espresso richiamo, ha innanzitutto chiarito che pure in quella vicenda, ‘l’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti di RAGIONE_SOCIALE un atto di contestazione con il quale sanzionava il contribuente per l’omessa compilazione del modello RW nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2006, in relazione alle movimentazioni del conto corrente esistente presso la HSBC Private Bank SRAGIONE_SOCIALE avente sede in Svizzera intestato al predetto. Gli elementi sui quali si era fondata la contestazione, rappresentati da una scheda di sintesi – denominata “fiche” contenente indicazioni del conto, del suo titolare e delle movimentazioni eseguite -erano stati trasmessi dall’autorità finanziaria francese attraverso i canali di collaborazione previsti dalla Direttiva n. 77/799/CEE e dalla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata da Italia e Francia il 5.10.1989 e ratificata con la L. n. 20 del 1992, recepita nella legislazione italiana dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31 bis’.
La Suprema Corte ha quindi sottolineato in motivazione, tra l’altro, che è ‘errata la ritenuta inutilizzabilità – da parte della CTR -dei documenti in ragione della provenienza illecita -trafugamento dei dati bancari da parte di un ex dipendente della banca svizzera HSBC, RAGIONE_SOCIALE acquisiti successivamente dall’autorità francese … la giurisprudenza di questa Corte è orientata a mantenere una netta differenziazione fra processo penale e processo tributario, secondo un principio – sancito non soltanto dalle norme sui reati tributari (D.L. 10 luglio 1982, n. 429,
art. 12, successivamente confermato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 20) ma altresì desumibile dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p., ed espressamente previsto dall’art. 220 disp. att. c.p.p., che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini della ‘applicazione della legge penale’ (Cass. nn. 22984, 22985 e 22986 del 2010; Cass. n. 13121/2012)’.
Si riconosce quindi, generalmente, che “non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale (quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc.), cfr. Cass. n. 24923/2011. Non può dubitarsi nemmeno della piena utilizzabilità di elementi qui la Lista COGNOME – rispetto ai quali l’eventuale illiceità si colloca a monte dell’azione dell’Ufficio fiscale (francese), essendo riferibile personalmente al COGNOME. In questa direzione esistono precisi indici normativi dai quali inferire la piena utilizzabilità del materiale del quale qui si discute. Ed infatti, tanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, che l’art. 41, comma 2, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1, prendono esplicitamente in considerazione l’utilizzo di elementi “comunque” acquisiti, e perciò anche nell’esercizio di attività istruttorie attuate con modalità diverse da quelle indicate nel D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 33, e nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51. Tali disposizioni individuano, quindi, un principio generale di non tipicità della prova che consente l’utilizzabilità – in linea di massima – di qualsiasi elemento che il giudice correttamente qualifichi come possibile punto di appoggio per dimostrare l’esistenza di un fatto rilevante e non direttamente conosciuto … Nè l’utilizzazione, nel procedimento
amministrativo volto all’accertamento di violazioni di natura fiscale, dei documenti provenienti dalla lista COGNOME determina una lesione di diritti costituzionalmente garantiti del contribuente’, Cass. sez. VI-V, 28.4.2015, n. 8605.
14.2.1. L’orientamento interpretativo proposto dalla Suprema Corte è stato quindi ribadito osservandosi che ‘in tema di accertamento tributario, è legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica previsione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale. Ne consegue che sono utilizzabili ai fini della pretesa fiscale, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari trasmessi dall’autorità finanziaria francese a quella italiana, ai sensi della direttiva 77/799/CEE, senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, sebbene acquisiti con modalità illecite ed in violazione del diritto alla riservatezza bancaria. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha affermato l’utilizzabilità delle risultanze della cd. lista COGNOME)’, Cass. sez. V, 5.12.2019, n. 31779.
In conclusione, la scheda relativa al ricorrente ed estratta dagli archivi della Banca HSBC, ha provenienza certa ed è utilizzabile ai fini dell’accertamento tributario.
Anche il nono motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve perciò essere respinto.
15. In definitiva deve essere accolto il settimo motivo di ricorso proposto da COGNOME COGNOME respinti gli ulteriori, e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte perché proceda a nuovo esame.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M .
accoglie il settimo motivo di ricorso proposto da COGNOME COGNOME respinti gli ulteriori, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio, e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, l’8.5.2025.