Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4704 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4704 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso nr. 1823-2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE , in persona del Direttore pro tempore
-intimata- avverso la sentenza n. 2594/2022 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LAZIO, depositata il 7.6.2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29/1/2025 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME propone ricorso, affidato ad unico motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio aveva riformato la sentenza n.
,
limitatamente alla statuizione relativa alle spese del giudizio, che erano state compensate nonostante la soccombenza dell’Agenzia delle entrate riscossione.
Agenzia delle entrate riscossione è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con unico motivo il ricorrente denuncia, in rubrica, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., «violazione e falsa applicazione degli art. 4 d.m. 55/2014, art. 2233, co. 2, cod. civ., art. 91, co. 4 c.p.c. e art. 111 Cost.» per avere la Commissione tributaria regionale liquidato le spese del primo e del secondo grado quantificandole al di sotto dei minimi tariffari di cui al D.M. 55/2014 senza fornire idonea motivazione al riguardo».
1.2. La doglianza è fondata.
1.3. La questione in esame discende dalla riformulazione – operata dall’art. 1, comma 1, lettera a) del d.m. 8 marzo 2018, n. 37 (per le liquidazioni delle spese a far tempo dal 27 aprile 2018), e che permane a seguito del d.m. 13 agosto 2022, n. 147 dell’art. 4, comma 1, del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.
1.4. Nell’iniziale formulazione dell’art. 4, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, era stabilito che, ai fini della liquidazione del compenso, il giudice dovesse tener conto dei «valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati, di regola, fino all’80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento. Per la fase istruttoria l’aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione di regola fino al 70 per cento».
1.5. Vigendo questo testo, la giurisprudenza aveva affermato che l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti dal d.m. n. 55 del 2014, non è soggetto al controllo di legittimità, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, fermo soltanto per la riduzione dei valori minimi stabiliti in forza delle percentuali di diminuzione il limite dell’art. 2233, comma 2, c.c., il quale preclude di liquidare somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione ( ex plurimis cfr. Cass. n. 28325 del 2022).
1.6. Sulla base della modifica operata dall’art. 1, comma 1, lettera a) del d.m. n. 37 del 2018 – applicabile alla presente fattispecie l’art. 4, comma 1, dispone invece che i valori medi «possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento» (nel senso dell’inderogabilità delle ‘riduzioni massime’ in conseguenza delle modifiche introdotte dal d.m. n. 37 del 2018, cfr. Cass. nn. 9690 e 1421 del 2021).
1.7. Va da ultimo precisato che la Corte di Giustizia (cfr. sentenza 427/2017) ha affermato che «l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dev’essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che, da un lato, non consenta all’avvocato e al proprio cliente di pattuire un onorario d’importo inferiore al minimo stabilito da un regolamento adottato da un’organizzazione di categoria dell’ordine forense, a pena di procedimento disciplinare a carico dell’avvocato medesimo e, dall’altro, non autorizzi il giudice a disporre la rifusione degli onorari d’importo inferiore a quello minimo, è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ma che spetta comunque al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità applicative, risponda effettivamente ad obiettivi legittimi e se le restrizioni così stabilite siano limitate a quanto necessario per garantire l’attuazione di tali legittimi obiettivi».
1.8. Nella specie, i nuovi parametri risultano predisposti dal CNF ma adottati dal Ministero della giustizia, previo parere del Consiglio di Stato e pertanto da un organo statale per scopi di interesse generale correlati all’esigenza di garantire la trasparenza e l’unitarietà nella determinazione dei compensi professionali.
1.9. Deve pertanto affermarsi che, ai fini della liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente, nella vigenza dell’art. 4, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, come modificato dal d.m. n. 37 del 2018, il giudice non può in nessun caso, salvo specifica pattuizione, diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate.
1.10. Nella vicenda in esame la liquidazione operata dalla CTR (pari ad Euro 110,00 per il primo grado e ad Euro 115,00 per il grado di appello) risulta in contrasto con tali principi, in quanto lesiva dei minimi tariffari tenuto conto del valore della controversia (pari al valore della cartella impugnata -Euro 134,16) e dei valori medi ad essa applicabili.
1.11. È opportuno inoltre evidenziare che contrariamente a quanto affermato dal giudice del gravame, non trova applicazione nel processo tributario, ai sensi dell’art. 15 d.lgs. d.lgs. 31 dicembre 1992 n. d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, il disposto dell’art. 91, quarto comma, c.p.c. secondo cui le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della causa, avendo peraltro questa Corte ritenuto che tale limitazione riguarda le sole ipotesi in cui il giudice di pace decide secondo equità (cfr. Cass. n. 182 del 2018; Cass. n. 9556 del 2014).
2.1. La sentenza va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il Collegio è nelle condizioni di decidere la causa nel merito, rideterminando le spese dei gradi di merito sulla base dei limiti tariffari.
2.2. Sulla base di tali criteri, le spese del giudizio di primo grado vanno quantificate in Euro 278,00 mentre le spese del giudizio d’appello in Euro 233,00, oltre spese forfettarie, IVA e CPA come per legge.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate in misura pari ad Euro 339,00 (Euro 126,00 per fase di
studio della controversia, Euro 142,00 per fase introduttiva del giudizio, Euro 71,00 per fase decisionale, stante il deposito di notula), tenuto conto del limitato valore della controversia, e con distrazione in favore dei difensori del ricorrente, dichiaratisi antistatari.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, liquida in Euro 278,00 le spese del giudizio di primo grado ed in Euro 233,00 le spese del giudizio d’appello, oltre spese forfettarie, IVA e CPA come per legge; condanna Agenzia delle entrate riscossione al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida e distrae in favore dei difensori antistatari del ricorrente in Euro 339,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità