Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15396 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15396 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
Irpef -Diniego di rimborso -Spese processuali
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26396/2017 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliato ope legis presso la Corte di Cassazione, INDIRIZZO Roma.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
-intimata –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. SICILIA 3333/2016, depositata in data 28 settembre 2016.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnava il silenzio rifiuto, con cui l’Intendenza di Finanza di Messina (organo competente al tempo), aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere la riliquidazione della imposta
relativa al TFR e quindi il rimborso di quanto versato in più per IRPEF, in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, a seguito della ritenuta operata dal sostituto di imposta, ossia il Comune di Messina.
La C.t.p. di Messina, con sentenza n. 1160/6/1998 dichiarava inammissibile il ricorso del contribuente, non ritenendo formato il rifiuto tacito da parte dell’Ufficio finanziario nei confronti dell’istanza di rimborso.
La C.t.r. della Sicilia, con sentenza n. 121/2/2003, confermava la decisione di primo grado.
La Corte di cassazione, con ordinanza n. 7265/2009 accoglieva il ricorso del contribuente con rinvio della causa ad altra sezione della C.t.r. della Sicilia.
A seguito di riassunzione, la C.t.r. con sentenza n. 3333/27/2016, depositata in data 28 settembre 2016, accoglieva il ricorso del contribuente.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Sicilia, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo e l’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 14 aprile 2025 per la quale il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione degli artt. 91 cod. proc. civ. e 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, nonché del decreto del Ministro di Grazia e Giustizia del 5 ottobre 1994, n. 585, recante approvazione della delibera del Consiglio nazionale forense in data 12 giugno 1993 e 29 settembre 1994, e del decreto del Ministro della Giustizia 8 aprile 2004 n. 127, recante approvazione della delibera del Consiglio nazionale forense in data 25 settembre 2002, che stabiliscono i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali, in materia civile e penale, e stragiudiziali,
ed altresì degli artt. 1 e 4 del d.m. 10 marzo 2014, n. 55, recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per la professione forense a cagione dell’insufficiente liquidazione delle spese processuali, operata in misura sensibilmente inferiore agli importi (pur ridotti nella misura massima prevista) di cui alla tabella n. 24 allegata al medesimo d.m. n. 55/2014. Motivazione inesistente ed omessa su un punto decisivo del giudizio, e conseguente violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e 4, cod. proc. civ.»), il contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha determinato la misura delle spese processuali relative a tutte le fasi del giudizio -correttamente poste a carico dell’Agenzia delle Entrate per effetto della dichiarata soccombenza della medesima Amministrazione erariale e dell’applicazione del principio regolatore generale di cui all’art. 91 cod. proc. civ. – in violazione dei minimi tariffari in relazione al valore della controversia.
Il motivo di ricorso proposto è fondato solo parzialmente.
2.1. È infondato, innanzitutto, quanto alla necessità di liquidare le spese del giudizio di rinvio con riferimento ad ogni singolo grado, insegnando la Suprema Corte che, in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e,
tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte. (Cass. 08/11/2022, n. 32906).
2.2. È ancora infondato quanto alla pretesa applicazione delle tariffe o dei parametri vigenti per ciascun grado, piuttosto che per l’opera complessivamente prestata e completata secondo il principio contenuto nella sentenza Cass. 19/12/2017, n. 32529: ‘In tema di spese processuali, agli effetti dell’art. 41 del d.m. n. 140 del 2012, il quale ha dato attuazione all’art. 9, comma 2, del d.l. n. 1 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 27 del 2012, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle precedenti tariffe professionali, sono applicabili ogni volta che la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, benché questa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando vigevano le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata, operante anche con riferimento all’attività svolta nei gradi di giudizio conclusi con sentenza prima dell’entrata in vigore del decreto e anche nel successivo giudizio di rinvio ‘ .
2.3. È infondato quanto alla pretesa violazione del minimo per i compensi, dovendo applicarsi il DM n. 55/2014, all’epoca della conclusione della prestazione con l’emissione della sentenza impugnata, con scaglione dichiarato da 5.201,00 a 26.000,00, per cui il minimo complessivo per i compensi era comunque di euro 2.441,00 (anche a voler applicare tutte le voci, compresa una solo ipotetica fase cautelare), e sono state liquidate 2.500,00 euro. Conseguentemente, non essendo stato violato il compenso minimo non vi è da ragionare sulla mancata motivazione di tale violazione insussistente. Vieppiù che, con un recente arresto (Cass.
20/12/2024, n. 33642) si è sostenuto che, in tema di liquidazione delle spese processuali, la determinazione degli onorari di avvocato, secondo valori prossimi ai minimi dello scaglione di riferimento, non richiede una specifica motivazione, poiché l’entità della liquidazione non supera i valori minimi, rientrando così nell’ambito nei parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014 e del potere discrezionale del giudice, esente dal sindacato di legittimità.
2.4. Infine il motivo è infondato laddove lamenta la mancata previsione del rimborso forfettario, perché, in tema di liquidazione delle spese processuali, nel caso in cui il provvedimento giudiziale non contenga alcuna statuizione in merito alla spettanza, o anche solo alla percentuale, delle spese forfettarie rimborsabili ex art. 2 del d.m. n. 55 del 2014, queste ultime devono ritenersi riconosciute nella misura del quindici per cento del compenso totale, quale massimo di regola spettante, secondo un’interpretazione che non può ritenersi mutata a seguito dell’entrata in vigore del d.m. n. 37 del 2018, il quale ha modificato il d.m. n. 55 sopra citato, introducendo l’inderogabilità delle riduzioni massime, ma non anche degli aumenti massimi, che continuano ad essere previsti come applicabili “di regola” (Cass. 22/01/2021, n. 1421).
2.5. Il motivo di ricorso è invece fondato nella parte in cui lamenta la mancata liquidazione delle spese vive (ovvero degli esborsi) dei vari gradi, di cui alle note-spese riprodotte nel ricorso, escluse integralmente, senza alcuna motivazione, dalla decisione qui impugnata.
In conclusione, il ricorso va accolto nei limiti di cui in motivazione, la sentenza impugnata va cassata per quanto di ragione ed il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata con rinvio del giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 14 aprile 2025.