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Liquidazione spese legali: no a importi minimi

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di liquidazione spese legali: il giudice non può mai scendere al di sotto dei minimi tariffari previsti per legge. Nel caso specifico, una società aveva impugnato la decisione di un giudice di secondo grado che, in sede di rinvio, aveva liquidato i compensi legali in misura ridotta, accorpando illegittimamente la fase istruttoria a quella decisoria. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza e rinviando la causa per una nuova e corretta determinazione dei compensi, nel pieno rispetto delle tariffe forensi.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Liquidazione Spese Legali: la Cassazione ribadisce il divieto di scendere sotto i minimi

La corretta liquidazione spese legali rappresenta un momento cruciale a chiusura di ogni contenzioso, garantendo alla parte vittoriosa il ristoro dei costi sostenuti e al professionista il giusto compenso per l’attività svolta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione è intervenuta su questo tema, riaffermando un principio cardine: il giudice non può liquidare compensi inferiori ai minimi stabiliti dalle tariffe forensi. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione sulla inderogabilità dei parametri professionali e sui limiti del potere discrezionale del giudice.

I Fatti di Causa: una lunga battaglia sulla liquidazione delle spese

Il caso trae origine da un contenzioso tributario. Una società contribuente, dopo un lungo iter processuale che aveva visto anche un precedente intervento della Cassazione, si trovava di fronte a una nuova sentenza della Corte di Giustizia di secondo grado. Quest’ultima, chiamata a decidere in sede di rinvio proprio sulla questione delle spese, le aveva liquidate in un importo che la società riteneva inadeguato. In particolare, la società lamentava che il giudice avesse calcolato i compensi per il giudizio d’appello e per quello di rinvio in misura inferiore ai minimi di legge, anche attraverso un illegittimo accorpamento di alcune fasi processuali, come quella di trattazione/istruttoria e quella decisoria.

La Decisione della Corte di Cassazione

Investita della questione, la Suprema Corte ha accolto pienamente le doglianze della società ricorrente. Gli Ermellini hanno ritenuto fondato l’unico motivo di ricorso, centrato sulla violazione e falsa applicazione delle norme che regolano i compensi professionali (D.M. 55/2014 e successive modifiche). La Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato nuovamente la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, in diversa composizione, affinché proceda a una nuova liquidazione nel rispetto dei principi sanciti.

Le Motivazioni della Sentenza: il divieto di scendere sotto i minimi tariffari

Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione di un consolidato orientamento giurisprudenziale: il giudice non ha il potere di liquidare le spese legali al di sotto dei valori minimi previsti dalle tariffe professionali. Questi parametri non sono meramente indicativi, ma rappresentano un limite inderogabile a tutela della dignità della professione forense.

La Corte ha evidenziato due errori specifici commessi dal giudice di merito:
1. Liquidazione sotto soglia: Il compenso totale liquidato per i due gradi di giudizio era palesemente inferiore a quello che sarebbe risultato dalla corretta applicazione dei minimi tariffari per lo scaglione di valore di riferimento.
2. Accorpamento illegittimo delle fasi: La Corte ha censurato l’operato del giudice di merito per aver unito la fase di trattazione/istruttoria a quella decisoria. Secondo la Cassazione, la fase istruttoria deve essere sempre considerata e liquidata, indipendentemente dal suo concreto e specifico svolgimento nel singolo caso. Questo accorpamento, finalizzato a una riduzione del compenso, costituisce una violazione delle norme tariffarie.

Le Conclusioni: un principio a tutela della professione forense

L’ordinanza in esame rafforza la tutela del lavoro dell’avvocato, stabilendo che la liquidazione spese legali non può essere soggetta a una discrezionalità del giudice che sconfini nell’arbitrio. I parametri ministeriali fissano una soglia minima che garantisce la remunerazione adeguata dell’attività professionale. La decisione chiarisce che ogni fase del processo ha un suo valore intrinseco che deve essere riconosciuto economicamente, impedendo scorciatoie liquidatorie che penalizzano il difensore. Si tratta di un principio fondamentale per assicurare equità nel processo e rispetto per la funzione essenziale svolta dalla professione legale.

Un giudice può liquidare le spese legali in un importo inferiore ai minimi previsti dalle tariffe professionali?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice non può liquidare le spese al di sotto del valore minimo previsto dalle tariffe professionali, in quanto tali minimi sono inderogabili.

È legittimo accorpare la fase di trattazione/istruttoria con quella decisoria per ridurre il compenso dell’avvocato?
No, la sentenza chiarisce che tale accorpamento è illegittimo. Il giudice deve sempre tenere conto della fase di trattazione/istruttoria, indipendentemente dal suo concreto svolgimento, e liquidarla separatamente.

Cosa succede se un giudice liquida spese inferiori ai minimi di legge?
La sentenza che liquida un compenso inferiore ai minimi tariffari è viziata per violazione di legge e può essere impugnata davanti alla Corte di Cassazione. Se l’impugnazione viene accolta, la sentenza viene annullata (cassata) e il caso rinviato a un altro giudice per una nuova e corretta liquidazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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