Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21489 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21489 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24943/2022 R.G. proposto da:
Avv. COGNOME rappresentato da se stesso;
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE -RISCOSSIONE;
-intimata- avverso SENTENZA di Corte di Giustizia Tributaria di II grado del LAZIO, n. 4354/2022 depositata il 10/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME impugnava, davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, un provvedimento di iscrizione ipotecaria per l’importo di € 1.577,64 (pari al doppio del credito
iscritto a ruolo) sull’immobile in Roma alla INDIRIZZO notificato dal Concessionario e fondato su crediti di natura tributaria, contestando la mancata notifica delle cartelle di pagamento e la violazione del limite minimo per l’iscrizione ipotecaria. ricorso veniva dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
La COGNOME appellava la sentenza, ottenendo l’accoglimento del ricorso dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR), che annullava l’ipoteca per mancata notifica delle cartelle e per l’importo insufficiente, ma compensava le spese di lite.
La ricorrente impugnava in Cassazione la mancata liquidazione delle spese, ottenendo l’annullamento della sentenza. La CTR, in sede di rinvio, condannava l’Agenzia delle Entrate-Riscossione a pagare € 1.150,00 di spese legali.
Successivamente, la COGNOME attivava la fase di ottemperanza, notificando la sentenza all’Agenzia, che non pagava nei termini, costringendola a ricorrere alla CTR. Solo dopo l’avvio della procedura, l’Agenzia provvedeva al pagamento, portando alla dichiarazione di cessata materia del contendere con condanna alle spese per € 800,00.
La sentenza veniva impugnata in Cassazione per contestare l’importo liquidato al di sotto dei parametri tariffari. La Suprema Corte con ordinanza n. 14116/2022 la accoglieva il ricorso, rinviando alla CTR del Lazio per una nuova determinazione delle spese.
In seguito, la contribuente riassumeva la causa chiedendo la corretta liquidazione delle spese, mentre l’Agenzia rimaneva contumace.
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 4354/2022 depositata in data 10.10.2022 pur accogliendo la domanda, rilevava che , liquidando nella misura di euro 700 per il giudizio di I grado e di euro 900,00 per questo
giudizio, nonché di euro 1700,00 per il giudizio di Cassazione da liquidarsi in favore dell’avvocato NOME COGNOME.>
Ricorre per la cassazione della summenzionata decisione l’avv. COGNOME sulla base di due motivi.
La Riscossione è rimasta intimata.
MOTIVI DI DIRITTO
Il primo motivo deduce ; per avere il decidente ridotto senza motivazione le spese legali richieste dalla parte vittoriosa per il primo grado di giudizio e per il grado di rinvio, mentre ha confermato la liquidazione per il grado di legittimità; discostandosi in modo significativo (oltre il 50%) dai parametri medi di riferimento per la determinazione del compenso senza fornire adeguata motivazione. Si rammenta che secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, il giudice deve motivare ogni scostamento rilevante dai parametri medi, soprattutto quando la parte vittoriosa ha presentato una nota spese dettagliata. Inoltre, la nota spese fissa un limite alla liquidazione giudiziale, impedendo al giudice di attribuire somme superiori o inferiori senza giustificazione.
Il secondo motivo di ricorso reca . Si assume che la sentenza della CGT capitolina viola i principi sanciti dalla Cassazione con l’ordinanza n. 14116/2022; per avere il decidente liquidato le spese in modo omnicomprensivo, senza distinzione per fasi processuali e in misura inferiore ai
parametri medi previsti dal d.m. 55/2014 (aggiornato dal DM 37/2018), senza fornire adeguata motivazione, violando sia l’art. 384 c.p.c., in quanto non si è conformata al principio di diritto stabilito dalla Cassazione, reiterando l’errore già commesso nel primo grado, ovvero liquidando in modo globale e non dettagliato per fasi, senza motivare la riduzione rispetto ai parametri tariffa sia l’art. 4 d.m. 55/2014 , operando operato una liquidazione inferiore ai minimi tariffari inderogabili, sia nel primo grado che nel giudizio di rinvio.
In sintesi, la ricorrente contesta che la CGT abbia liquidato importi inferiori ai minimi previsti e in maniera omnicomprensiva, senza distinzione tra le fasi del processo e senza fornire adeguate motivazioni, violando così sia il principio di diritto enunciato dalla Cassazione che la normativa vigente.
2.Le censure, intimamente connesse, possono essere congiuntamente esaminate; esse meritano accoglimento.
3.Occorre premettere, in tema di spese processuali, che i parametri cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, vanno applicati ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto a condizione che a tale data non sia stata ancora completata la prestazione professionale, ancorché essa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata» (v. Cass. 27233 del 26/10/2018; Cass. n.12537 del 10/05/2019).
Come più volte affermato da questa Corte -ex multis, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 10466 del 19/04/2023, e Cass., Sez. 2, Sentenza n. 9815 del 13/04/2023 entrambe riguardanti fattispecie analoghe a quella in esame, alle cui motivazioni è sufficiente rinviare, ai sensi dell’art. 118, comma 1, ultimo periodo, disp. att. cod. proc. civ. –
«in tema di spese legali, in assenza di diversa convenzione tra le parti, il giudice, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. n. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 37/2018, non può scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile».
3.1.Come ha argomentato la giurisprudenza di legittimità più recente (cfr. Cass. 9815/2023, 9818/2023, 25847/2023), nella liquidazione del compenso il giudice è chiamato dall’art. 4 co. 1 d.m. 55/2014 a tenere conto dei valori medi determinati dalle tabelle allegate al decreto. Essi possono essere aumentati fino al 50% ovvero diminuiti in ogni caso non oltre il 50% e sono soggetti ad aggiornamento biennale ex art. 13, comma 6, legge n. 247/2012. Rileva in particolare la previsione che i parametri medi non possono essere diminuiti oltre il 50%, senza eccezione («in ogni caso»). Tale inderogabilità dei parametri medi è stata espressamente introdotta con una modifica apportata dal d.m. 37/2018. Anteriormente si prevedeva che nella liquidazione non si potesse scendere di regola al di sotto del 50% nella diminuzione rispetto ai parametri medi. Su questa base testuale si argomentava che la quantificazione giudiziale del compenso e delle spese fosse espressione di un potere discrezionale; se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, la liquidazione non richiedeva un’apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, mentre il giudice era tenuto a motivare la decisione di aumentare o diminuire gli importi da riconoscere, ulteriormente rispetto ai massimi ovvero a minimi. L’unico limite rigido, ma a sua volta determinato attraverso concetti elastici, era dettato dall’obbligo di non ledere il decoro professionale con l’attribuire una somma scarsissima (meramente simbolica). Così, tra le altre, Cass. 28325/2022.
4.Tale orientamento è da disattendere con riferimento alle liquidazioni sottoposte al regime del d.m. 55/2014, così come modificato dal d.m. 37/2018. In forza della ricordata modifica, non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore al 50% dei parametri medi. Il legislatore ha deciso di circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso o le spese processuali e di garantire così (cioè, attraverso una limitazione della flessibilità dei parametri) l’uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale. Da ultimo, tale intenzione legislativa ha trovato un’ulteriore espressione nella legge n. 49/2023, in materia di equo compenso delle prestazioni professionali, ove l’art. 1 dispone che «per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale», nonché – per gli avvocati – conforme ai compensi previsti dal decreto del Ministero della Giustizia ex art. 13 co. 6 l. 247/2012 (cioè, attualmente, il d.m. 55/2014)».
Si prevede inoltre (all’art. 3) che «sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera; sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto del Ministro della Giustizia ai sensi dell’art. 13, co. 6, legge n. 247/2012 per la professione forense».
5.Nel caso in esame, gli importi liquidati dal giudice di appello sono decisamente inferiori ai minimi di legge per lo scaglione sino ad €. 5.200,00 e quindi la violazione di legge è palese.
6.In linea generale, a seguito delle modificazioni introdotte nella formulazione dell’art. 4 del d.m. 10 marzo 2014 n. 55 con il d.m. 8 marzo 2018 n. 37, non è più consentito, dunque, nella liquidazione delle spese di lite, scendere al di sotto dei valori minimi della tariffa, per lo scaglione applicabile, in quanto tali valori minimi devono ritemersi avere carattere inderogabile (Cass., 13 aprile 2023, n. 9815; Cass., 20 ottobre 2023, n. 29184; Cass. 19 aprile 2023, n. 10438; Cass., 24 aprile 2024, n. 11102); diversamente, non appare del tutto esclusa, in astratto, la possibilità del superamento dei valori massimi, sebbene ciò possa avvenire, evidentemente, solo in casi del tutto eccezionali e sulla base di specifica, effettiva e adeguata motivazione.
5.1.Tale conclusione si fonda sul rilievo che l’attuale formulazione dell’art. 4, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, come, infine, modificato dal d.m. 13 agosto 2022 n. 147, mentre prevede genericamente la possibilità di un aumento fino al 50% dei valori medi dello scaglione, consente corrispettivamente, una diminuzione di essi ‘in ogni caso’ non oltre il 50%: ciò induce a ritenere che solo per la diminuzione il limite del 50% dei valori medi sia assolutamente inderogabile (‘in ogni caso’), mentre per l’aumento possano continuare ad applicarsi i principi di diritto più sopra enunciati, che consentono una deroga anche del limite massimo previsto dalla tariffa, peraltro solo in casi eccezionali e sulla base di specifica, adeguata e puntuale motivazione (così Cass., 3 giugno 2024, n. 15506; Cass. n. 25833/2024; Cass. n. 26734/24; Cass. n. 9815/2023).
6.Il giudice di rinvio si atterrà al principio di diritto già enunciato da Cass. 9815/2023, 9818/2023, 25847/2023: «salvo diversa convenzione tra le parti, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. 55/2014, così come modificato dal d.m. 37/2018, non è consentito al giudice, senza adeguata motivazione, di scendere al
di sotto degli inderogabili valori minimi, predeterminati da tale decreto e aggiornati a cadenza periodica ex art. 13 co. 6 l. 247/2012».
Pertanto, il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza va cassata con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, cui va demandata anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, nonché per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della sezione