Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23066 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23066 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’a vv. NOME COGNOME;
– ricorrente
–
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE , in persona del Direttore pro tempore ;
– intimata
–
Avverso la sentenza n. 231/2022 resa dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, depositata in data 19 gennaio 2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Il contribuente NOME COGNOME impugnava l’intimazione di pagamento avente ad oggetto varie cartelle per parte delle quali la CTP dichiarava cessata la materia del contendere in relazione al disposto dell’art. 4 del d.l. n. 119/2018, ed in parte prescritte, disponendo la compensazione delle spese.
SPESE DI GIUDIZIO
La CTR, adìta per la riforma della sentenza di primo grado in punto spese, accoglieva il gravame e liquidava le spese di primo grado in € 700,00 e quelle del giudizio d’appello nella medesima somma, il tutto in favore del legale antistatario.
Il citato contribuente ha proposto ricorso in cassazione affidato ad un unico motivo, mentre l’ Amministrazione è rimasta intimata.
CONSIDERATO CHE
1.Con l’unico motivo il ricorrente denuncia ‘VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 4 DECRETO MINISTERIALE 5 APRILE 2014 N.55 DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA COME MODIFICATO DAL DM 37/2018 E DELLE TABELLE 1-2 DEI PARAMETRI AD ESSO ALLEGATE, ART. 15 D.LGS. 546/1992 IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 3 C.P.C.’.
In particolare, il contribuente deduce, da un lato, che il Giudice di appello, operando una liquidazione complessiva dei compensi, e non già per fasi, avrebbe violato l’art. 4 del DM 55/14 in quanto non ha consentito di stabilire la correttezza della liquidazione stessa e la sua conformità, anche in ragione del principio di inderogabilità posto ai valori minimi con riferimento a ciascuna fase di giudizio dal richiamato art. 4, alle tabelle 1-2 dei parametri allegati al DM Giustizia n. 55/2014 come aggiornato dal DM 37/2018, ed applicabile, ai sensi dell’art. 7 del medesimo decreto, alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore avvenuta in data 27.4.2018 (nel caso di specie la sentenza oggetto di ricorso in Cassazione è stata emessa in data 14.10.2021 e depositata in data 19.1.2022, e pertanto in data successiva al 3.4.2014, data di entrata in vigore del DM 55/2014, ed al 27.4.2018, data di entrata in vigore del DM 37/2018). La liquidazione globale delle spese e dei compensi non sarebbe consentita, dovendo, invece, essere eseguita in modo tale da mettere la parte interessata in grado di controllare se il giudice abbia rispettato i limiti delle relative tabelle.
L’unica ipotesi in cui la liquidazione o nnicomprensiva potrebbe essere ritenuta legittima si verificherebbe ove sia di importo tale da escludere che una sola singola fase possa essere stata liquidata in misura inferiore al valore minimo. Ma, nella specie, essa sarebbe illegittima.
Dall’altro lato il Milano sostiene che si sarebbe configurata, altresì, la violazione dei parametri sia medi che minimi previsti dal DM 55/2014, poiché il valore della controversia era nel primo grado di giudizio, pari ad € 2.747,96 pari al valore dei ruoli esattoriali e delle cartelle di pagamento di cui è stato chiesto ed ottenuto l’annullamento all’esito del giudizio di primo grado (al netto del valore della domanda per la quale è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere con riferimento ai ruoli esattoriali annullati ex lege ); nel secondo grado di giudizio pari al valore delle spese legali liquidate per il primo grado di giudizio (in base al criterio del cd. disputatum integrato dal decisum ); tuttavia essendo la misura della liquidazione operata per il giudizio di primo grado oggetto di censura con il presente ricorso di legittimità, la determinazione del valore, su cui parametrare, e censurare, la liquidazione delle spese del secondo grado di giudizio, andava determinata in misura pari al valore risultante dall’applicazione dei parametri medi di cui al DM 55/14 per il primo grado di giudizio (scaglione di valore da € 1.100,01 ad € 5.200,00).
Dunque, ad avviso del ricorrente, la quantificazione operata violava immotivatamente sia i parametri medi, sia quelli minimi.
Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Tenuto conto dei valori evincibili dallo stesso ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, deve in effetti rilevarsi come il valore della controversia rientrava nei parametri sopra esplicati e le attività (studio, introduttiva, trattazione e decisione) risultano essere state eseguite secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata.
Alla luce di ciò si ricava come i giudici di primo grado abbiano effettuato una liquidazione al di sotto dei minimi previsti dal d.m. citato, emanato in attuazione delle previsioni di cui all’art. 13, comma 7, l. n. 247/12.
Invero, come già chiarito da questa Corte, la previsione dell’art. 4, comma primo, del d.m. 55/14 come modificata dal d.m. n. 37/18 ‘è difforme dal punto di vista letterale dalle precedenti disposizioni regolamentari, che non contemplavano un vincolo espresso in ordine alla massima riduzione applicabile, limitandosi a disporre che detta riduzione non poteva di regola essere superiore al 50%. Sulla scorta di tale ultimo elemento testuale e alla luce del ritenuto carattere non vincolante dei parametri di liquidazione, questa Corte era giunta a sostenere che la quantificazione del compenso e delle spese processuali fosse espressione di un potere discrezionale riservato al giudice, e che la liquidazione, se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, non richiedeva un’apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, dovendosi invece giustificare la scelta del giudice di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, fatto salvo l’obbligo di non attribuire somme simboliche, lesive del decorso professionale (Cass. 28325/2022; Cass. 14198/2022; Cass. 19989/2021; Cass. 89/2021; Cass. 10343/2020). A tale approdo interpretativo, tuttora valido per le spese processuali e i compensi professionali regolati dal D.M. 55/2014, non può darsi continuità anche per quelli sottoposti al regime introdotto dal D.M. 37/2018: non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore alla percentuale massima del 50% dei parametri medi e ciò per effetto di una scelta normativa intenzionale, volta a circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso -o le spese processuali – e a garantire, attraverso una limitata flessibilità del parametri tabellari, l’uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro
della professione e del livello della prestazione professionale.(…) L’attuale previsione è quindi volta proprio a specificare ‘con maggiore chiarezza l’inderogabilità delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base da parte degli organi giudicanti, e ciò anche in considerazione del fatto che l’art. 13, comma 7 della legge n. 247 del 2012 prevede fra i criteri cui si deve attenere l’Amministrazione quello della ‘trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali’ ( in questi complessivi termini cfr. la recente Cass. n. 9815/2023).
E’ stato poi chiarito come la previsione di un minimo inderogabile non si pone in contrasto con la disciplina euro-unitaria.
La liquidazione operata con riferimento alle spese del giudizio di primo grado è, dunque, all’evidenza avvenuta in violazione dei suddetti principi ponendosi al di sotto del minimo inderogabile.
Altrettanto dicasi con riguardo alla liquidazione delle spese relative al grado d’appello , in cui – del pari – la stessa si è posta al di sotto dei minimi, avendo come parametro la liquidazione media delle spese di primo grado, oggetto della domanda (medio tabellare € 2.290,00, per cui l’importo minimo delle spese liquidabili era qui € 1.228,00).
Quanto osservato determina l’accoglimento del motivo con assorbimento di ogni ulteriore profilo.
Il ricorso deve essere dunque accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata nei sensi in precedenza rilevati (con l’attribuzione delle spese da riliquidare in favore del difensore antistatario del ricorrente) ed il derivante rinvio della causa alla CGT del Lazio, che -in diversa composizione -provvederà altresì a regolare le spese del presente giudizio.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, che, in
diversa composizione, provvederà altresì a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2025