Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22606 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22606 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11423/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO. (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO COGNOME n. 219/2024 depositata il 06/03/2024. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
A seguito di accertamenti della GDF propiziati da indagine penale, è stato emesso l’avviso di accertamento n. TQ7023I01275/2012 (per l’anno d’imposta 2007), con il quale la Direzione Provinciale di Macerata dell’Agenzia delle Entrate ha accertato in capo alla Società contribuente RAGIONE_SOCIALE un maggior reddito di impresa di € 1.930.643,95 recuperando a tassazione la maggiore IRAP dovuta (nella misura di € 99.429,00), oltre sanzioni ed interessi.
L’adita CTP di Macerata si è dichiarata incompetente e, previa riassunzione, la CTP di Ancona, con la sent. n. 567 del 29 novembre 2013, ha parzialmente accolto il ricorso con cui si contestava la sussistenza della plusvalenza derivante dalla cessione di un contratto di leasing relativo ad un capannone industriale, rideterminando il reddito tassabile nella minor somma di Euro 1.304.943, 95.
E’stato proposto appello, ma in autotutela l’ufficio ha rideterminato la sopravvenienza tassabile nel minor importo di Euro 216.443,90 quantificando l’IRAP effettivamente dovuta in Euro 11.147 in luogo degli importi originariamente pretesi. La CTR Marche, a tal punto, presto atto di tale sopravvenienza, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere con la sent. n. 651 del 4 dicembre 2017, con la quale ha altresì ritenuto la prevalente soccombenza (virtuale) dell’ufficio nella misura del 65% (il resto compensate), condannando l’amministrazione a rifondere al contribuente la somma di Euro 8.000 oltre accessori.
Il ricorso in cassazione proposto dal contribuente relativamente al solo capo delle spese è stato deciso con ordinanza n. 30657, in data 25 novembre 2019, della Sesta Sezione di questa S.C.
La vicenda processuale ha poi visto, da un lato, la proposizione di un ricorso per revocazione nei confronti di detta ordinanza da parte dell’Ufficio (secondo il quale il collegio di legittimità non si sarebbe avveduto di un vizio di notifica). Dall’altro, il contribuente ha invece riassunto il giudizio di merito proprio sulla scorta della citata ordinanza cassatoria.
Il giudizio riassunto in sede di rinvio da NOME COGNOME è stato quindi deciso dalla Corte di Giustizia Tributaria di II° delle Marche con la sent. n. 219/2024 -oggetto del presente ricorso – che ha condannato l’Agenzia alle spese, in modo distinto, per tutti i gradi del giudizio.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla scorta di tre motivi di impugnazione. La ricorrente ha altresì richiesto in via preliminare la riunione del presente giudizio a quello di revocazione dalla stessa intrapreso nei confronti dell’ordinanza di legittimità del 2019.
Resiste il contribuente con controricorso; inoltre, in vista dell’udienza camerale del 20/05/2025, egli ha altresì depositato una memoria ex art. 380 comma 1.bis c.p.c.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di II grado delle Marche, n. 219/2024 si fonda sui seguenti motivi:
Violazione e falsa applicazione degli articoli 15 e 61 del D. Lgs. n. 546/12992 e dell’articolo 91 cod. proc. civ., nonché dell’articolo 2909 cod. civ., in relazione all’articolo 360, n. 3), cod. proc. civ. Il
contribuente non è integralmente vittorioso e l’an della pretesa tributaria è stata confermata
Nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione degli articoli 36 e 61 del D. Lgs. n. 546/1992, e dell’articolo 132 cod. proc. civ., in relazione all’articolo 360, n. 4), cod. proc. civ. Vi è un passaggio motivazionale che sembra collegare la condanna alle spese all’esito di altro giudizio in cui il COGNOME ha subito la compensazione delle spese nonostante l’accoglimento del ricorso
Violazione e falsa applicazione del D.M. Giustizia n. 55/2014, nonché dell’articolo 100 cod. proc. civ., in relazione all’articolo 360, n. 3), cod. proc. civ.
In via pregiudiziale la ricorrente ha altresì richiesto la riunione del presente ricorso a quello per revocazione avverso la decisione n. 30657/2019 adottata delle Sesta Sezione di questo S.C.
In ordine logico, va in primo luogo respinta la richiesta di riunione proposta dalla ricorrente in quanto, al di là di ogni altro profilo, nelle more di questo procedimento, il giudizio di revocazione che si vorrebbe trattare congiuntamente al presente è stato definito con una pronuncia di inammissibilità, emessa da questo S.C. con l’ordinanza n. 34358/2024, pubblicata in data 24/12/2024.
Tanto premesso, c on il primo motivo di ricorso l’ufficio contesta la liquidazione delle spese operata dalla sentenza n. 219/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di II grado delle Marche, in quanto in contrasto con il principio di soccombenza. Infatti, a dire della ricorrente, la stessa non avrebbe potuto essere integralmente condannata stante l’esistenza di una soccombenza unicamente parziale.
Il motivo di impugnazione così proposto risulta infondato.
Esso risulta formulato, in primo luogo, in termini generici senza affrontare il fatto che la sentenza impugnata, in realtà, come si
legge persino nello stralcio riportato nell’ambito dello stesso ricorso, ha operato la liquidazione delle spese non in modo onnicomprensivo, bensì, con corretta metodologia, in modo distinto per ciascun grado di giudizio , sia pure in un’ottica di unitaria considerazione dell’esito finale del contenzioso.
A ben vedere il motivo neppure si confronta, poi, con la motivazione della sentenza adottata all’ esito del giudizio di rinvio, qui oggetto di censura, posto che la stessa non ha affatto condannato integralmente l’ufficio alla refusione delle spese, ma dando atto in motivazione del fatto che l’ufficio aveva rideterminato in autotutela l’importo delle imposte dovute, in diminuzione rispetto a quanto inizialmente preteso con l’atto di accertamento impugnato, ha ritenuto congruo disporre una compensazione del 30% che è stata puntualmente applicata per ciascun grado di giudizio, mentre per il resto occorre pur sempre tener conto del c.d. principio di causalità nell’insorgere della lite, della necessità di ricorrere al giudice per ottenere la riduzione di quanto preteso dall’erario e della necessità dell’attività defensionale svolta nel processo.
4. Inammissibili appaiono invece gli altri motivi di ricorso, che in quanto connessi possono essere affrontai congiuntamente.
Con il secondo, infatti, si censura un passaggio motivazionale (secondo cui nella regolamentazione delle spese si sarebbe tenuto conto dell’esito di altro giudizio fra le medesime parti) che non trova alcun addentellato con l’effettiva statuizione resa in punto di spese, laddove, come si è già rilevato, la compensazione nella misura del 30% è stata applicata in forza del comportamento tenuto dalle parti nel presente processo e dell’effettiva soccombenza complessiva. La contestazione, pertanto, si muove sul piano di un’ipotetica connessione esistente fra un passaggio argomentativo che, pur in sé non chiarissimo, non reca traccia di
una effettiva ed oggettiva incidenza sul contenuto decisorio della sentenza impugnata.
Del resto, si è da tempo riconosciuto che rispetto alle affermazioni estranee all’effettiva “ratio decidendi” della sentenza, svolte “ad abundantiam”, con argomentazioni meramente ipotetiche e virtuali, non vi è l’onere né l’interesse della parte soccombente ad una loro impugnazione in sede di legittimità, con la conseguenza che gli eventuali motivi proposti al riguardo devono essere dichiarati inammissibili (vds. Cass. S.U. n. 8087 del 02/04/2007 e le successive pronunce conformi, fra cui Cass. n. 30354 del 18/12/2017).
Con il terzo motivo, invece, al di là di una formale contestazione apparentemente ricondotta al tema della violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c., si introducono una serie di contestazioni di carattere meritale che riguardano la qualificazione di alcune fasi processuali effettuata dal giudice del merito o la stessa quantificazione delle spese di giudizio portate in condanna. Peraltro, anche su questo profilo, nessuna contestazione specifica è svolta in ordine ad un avvenuto superamento dei ‘massimi tariffari’ previsti dal d.m. n. 55/2014 richiamato, come pure per il valore della causa ci si limita a dedurre che lo stesso era ‘inferiore’ a quanto dichiarato o a non considerare -rispetto alla posizione processuale del COGNOME -che lo stesso, oltre che in proprio, a seguito della cancellazione della società RAGIONE_SOCIALE ha partecipato al giudizio anche quale socio/successore di tale ente collettivo. Il ricorso mira, in definitiva, per questo profilo di doglianza, a ripercorrere in modo critico le valutazioni meritali che hanno condotto il giudice del rinvio ad operare la quantificazione della condanna alle spese, traducendosi in un tentativo -in questa sede inammissibile -di ottenere una nuova valutazione dei fatti e dei documenti di causa, contraddicendo così il principio per cui ‘ con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di
cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (cfr. Sez. 1 – , Ordinanza n. 19613 del 04/08/2017 e, da ultimo, Sez. 5 – , Ordinanza n. 9860 del 15/04/2025).
In definitiva, pertanto, il ricorso deve essere respinto con aggravio di spese, liquidate come in dispositivo.
Poiché risulta soccombente la parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1- quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna l’amministrazione ricorrente al pagamento delle spese di giudizio con distrazione in favore dell’avv. NOME COGNOME che se ne è dichiarato antistatario, spese che liquida complessivamente in € 5.500,00, oltre al rimborso forfettario nel 15 %, iva ed accessori di legge se dovuti, oltre esborsi per € 200,00.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione