Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6328 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6328 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 10/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 11391/2023, proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’ Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 3048/2022 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, depositata il 17 novembre 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Il 2 agosto 2016 l’Agenzia delle entrate notificò un avviso di accertamento a NOME COGNOME con il quale riprendeva a tassazione, ai fini Irpef per l’anno di imposta 2011, redditi percepiti e non dichiarati dalla contribuente.
Costei, infatti, aveva omesso di accludere all’imponibile i canoni di locazione di un immobile per il periodo agosto-dicembre.
La COGNOME impugnò l’atto impositivo innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bari, sostenendo che i restanti canoni non le erano stati corrisposti dalla locataria RAGIONE_SOCIALE nonostante i decreti ingiuntivi emessi a suo carico dopo l’inadempimento.
La C.T.P. respinse il ricorso.
Il successivo appello della contribuente fu accolto dalla C.G.T. di secondo grado della Puglia con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali osservarono che, sulla base della documentazione versata in atti, il contratto di locazione doveva intendersi risolto, per effetto del recesso della parte locatrice, a far data dall’aprile del 2011, donde il rilievo in base al quale gli ulteriori canoni non dovevano essere acclusi all’imponibile della contribuente.
All’accoglimento del gravame fece seguito la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle spese.
La sentenza d’appello è stata impugnata dalla contribuente con ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.
Considerato che:
Il primo motivo denunzia «violazione o falsa applicazione del d.m. 13 agosto 2022, n. 147 e del d.m. 5 marzo 2014, n. 55, come modificato dal d.m. 8 marzo 2018, n. 37».
La censura inerisce alla statuizione sulle spese, che la contribuente assume resa dalla C.G.T. con liquidazione di un importo inferiore ai minimi previsti per lo scaglione di riferimento, avuto riguardo al fatto che la pretesa erariale (per imposta evasa, accessori e interessi fino all’atto impositivo) ammontava ad € 6.056,40 , specie in considerazione del fatto che essa riguardava entrambi i gradi del giudizio di merito.
Il secondo motivo denunzia «violazione o falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 112 c.p.c. e degli artt. 24 e 11 della Costituzione».
La censura è formulata in via di subordine, per l’ipotesi in cui si dovesse ritenere che i giudici d’appello avessero liquidato le sole spese del relativo giudizio; in tal caso, infatti, la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di omessa pronunzia, poiché la parte vittoriosa aveva chiesto il riconoscimento anche delle spese di primo grado, la cui mancata liquidazione costituiva all’evidenza un’ipotesi di de negata giustizia.
Il primo motivo è fondato.
3.1. Com’è noto, in tema di liquidazione delle spese di lite questa Corte ha da tempo affermato il principio secondo cui la decisione del giudice di merito è insindacabile ove contenuta fra i minimi e i massimi tariffari, anche se non motivata (così, fra le numerose altre, Cass. n. 10343/2020; Cass. n. 26608/2017).
È stato, per vero, precisato che, non sussistendo più il vincolo legale dell ‘ inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di
determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica standard del valore della prestazione professionale e che, pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi (in tal senso, si vedano ad es., oltre alle pronunzie già richiamate, Cass. n. 30286/2017 e, in motivazione Cass. n. 6296/2019).
Tuttavia, permane prevalente, anche a seguito dell’abrogazione dei minimi tariffari, l’indirizzo giurisprudenziale che, circoscrivendone l’operatività ai soli rapporti fra professionista e cliente, ritiene che l’esistenza della tariffa mantenga la propria efficacia quando il giudice deve procedere alla regolamentazione delle spese di giudizio in applicazione del criterio della soccombenza (Cass. n. 26706/2019).
3.2. In ogni caso, la sentenza impugnata non si è conformata ad alcuno dei due indirizzi riportati.
I giudici d’appello, infatti, dopo aver dato atto delle complessive richieste della contribuente, anche in punto alle spese, e accolto il gravame sul presupposto del fatto che i giudici di primo grado avessero «del tutto travisato i fatti posti a fondamento» della loro decisione, hanno proceduto alla liquidazione delle spese di lite -evidentemente per entrambi i gradi di merito -in termini complessivi, discostandosi notevolmente dai parametri applicabili in ragione del valore della controversia.
3.3. Quest’ultimo, in particolare, andava determinato in base all’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, vertendosi qui in ipotesi di liquidazione giudiziale, e dunque nella somma corrispondente «l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l ‘ atto impugnato».
Tale importo è pari ad € 2.937,00; s i tratta, quindi, di un importo inferiore a quello indicato dalla contribuente, ma rispetto al quale la liquidazione operata dai giudici regionali si attesta ben al di sotto dei minimi stabiliti dal d.m. 5 marzo 2014, n. 55, come modificato dal d.m. 8 marzo 2018, n. 37 (applicabile alla liquidazione relativa al giudizio di primo grado, conclusosi con sentenza del 20 novembre 2017) e dal successivo d.m. 13 agosto 2022, n. 147 (applicabile al giudizio d’appello per essere stata la liquidazione operata con sentenza del settembre-novembre di tale anno).
La statuizione resa dalla C.G.T., infatti, si è limitata a riconoscere l’importo di complessivi € 500, 00 oltre accessori di legge.
Ricorre pertanto un’ipotesi che legittima questa Corte a provvedere direttamente alla liquidazione delle spese del merito, anziché cassare la sentenza impugnata con rinvio su tale solo ultimo aspetto della lite (in tal senso, fra le altre, Cass. n. 29606/2017; Cass. n. 2386/2017).
3.4. Il compenso dovuto, computato con riferimento ai minimi (cfr. Cass. n. 2386/2017), tenendo conto di tre fasi per ciascun grado ed applicati i dd.mm. di riferimento per ciascuno dei segmenti processuali, deve determinarsi:
-per il primo grado, in € 270 ,00 per fase studio, € 170,00 per fase introduttiva ed € 438,00 per fase decisionale, e così in tutto € 1.283,00;
-per il grado d’appello, in € 318 ,00 per fase studio, € 213,00 per fase introduttiva ed € 460,00 per fase decisionale, e così in tutto € 991,00.
Ai predetti importi vanno aggiunte le spese generali per € 200,00 e il rimborso forfetario al 15%, oltre agli oneri di legge.
In considerazione di quanto esposto, il ricorso va accolto e la sentenza d’appello va cassata per la parte oggetto di impugnazione.
Non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa è decisa nel merito, per la parte sottoposta ad impugnazione, con la riliquidazione delle spese dei due gradi in complessivi € 2. 274,00 per compensi professionali, oltre spese generali, rimborso forfetario ed altri accessori di legge nei termini più sopra specificati.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in punto alla decisione sulle spese e, pronunziando nel merito, liquida le spese dei due gradi di merito in complessivi € 2. 274,00 per compensi professionali, oltre accessori come in motivazione.
Condanna la controricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 1.200,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, al 15% a titolo di rimborso forfetario e agli oneri accessori.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2025.