Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15397 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15397 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16543 -20 23 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pecEMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
Oggetto:
TRIBUTI – IVA
di gruppo – rimborso
avverso la sentenza n. 214/13/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del LAZIO, depositata il 18/01/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE, successivamente RAGIONE_SOCIALE quale società controllante della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, impugnava il provvedimento dell’Agenzia delle entrate di diniego del rimborso dell’eccedenza di credito IVA risultante dalla dichiarazione IVA di gruppo de ll’anno d’imposta 2017 , che l’amministrazione finanziaria aveva negato sul rilievo che non era corretta « l’indicazione dell’eccedenza di credito oggetto di compensazione infragruppo, che è pari ad euro 11.581.227,00 per la società RAGIONE_SOCIALE società consortile per azioni e ad euro 464.799,00 per la società RAGIONE_SOCIALE, (campo 7 dei righi VS della dichiarazione iva di RAGIONE_SOCIALE, da riportarsi ai righi VK24 delle dichiarazioni delle due partecipanti, invece non valorizzato). L’eccedenza chiesta a rimborso dalla controllante non può infatti essere superiore alla quota di eccedenza trasferita al gruppo ma non utilizzata in compensazione infragruppo, e dunque libera (importo da indicare ai righi VK25 delle rispettive dichiarazioni delle due controllate, non potendo essere superiore alla differenza tra i righi VK23 -VK24): l’eccedenza trasferita e non compensata ammonterà pertanto ad euro 15.739,00 per Partenopea finanza di progetto, e ad euro 144.430,00 per RAGIONE_SOCIALE, e solo in tale misura può essere riconosciuta a rimborso ».
Impugnato il provvedimento, la CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Roma rigettava il ricorso della società contribuente sostenendo che « Come evidenziato dall’art. 30, comma 4 del DPR 633/72, il rimborso può avere ad oggetto l’eccedenza detraibile, non già – come nel caso di specie, secondo i calcoli
dettagliatamente sviluppati nella memoria di costituzione dell’Agenzia -le risultanze di una compensazione in cui il credito è stato calcolato, erroneamente, sulle eccedenze di versamento, quest’ultimo reso necessario in ragione dell’insufficienza del cre dito di periodo da portare in compensazione. Il credito annuale derivante da eccedenze di versamento può viceversa essere chiesto a rimborso nel caso -che pacificamente non ricorre rispetto alla COGNOME -in cui (come previsto dal comma 4 del già citato art. 30) dalle dichiarazioni dei due anni precedenti risultino eccedenze detraibili e a condizione che il rimborso sia richiesto per un ammontare comunque non superiore al minore degli importi delle predette eccedenze ».
Analoga sorte subiva l’appello proposto dalla società contribuente, rigettato dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio con la sentenza in epigrafe indicata.
3.1. Sostenevano i giudici di appello che, con riferimento all’esercizio 2017, al quale si riferiva la richiesta di rim borso, « la cosiddetta “liquidazione IVA di gruppo” risultava regolamentata dall’art. 73, ultimo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 e dal successivo D.M. n. 11065 del 1979. In particolare, l’art. 1 del citato decreto stabilisce che i versamenti IVA dovuti possono essere fatti dagli enti o società controllanti per l’ammontare complessivamente dovuto al netto delle eccedenze detraibili, anche sulla base delle compensazioni risultanti dalle dichiarazioni periodiche »; che « La risoluzione ministeriale n. 626305 del 1989 e le istruzioni per la compilazione del modello IVA del 2017, a differenza di quanto ritenuto dalla società appellante, prevedono che le eccedenze di credito vadano determinate in sede annuale, ma al fine di individuare l’ammontare delle somme per le quali può essere chiesto il rimborso si debba tener conto anche dei versamenti effettuati nel corso dell’anno dalla società controllante, anche tramite compensazione », giacché « Solo a partire dall’esercizio 2018 le modifiche apportate
attraverso l’introduzione degli artt. 70 quinquies-duodecies, hanno configurato la diversa modalità di rapporti fra le società appartenenti ad un gruppo, che perdono la propria soggettività IVA, soggettività che viene acquisita dal gruppo stesso. Nell’esercizio 2017 viceversa, come correttamente motivato dall’impugnata sentenza della CTP Roma, ogni società doveva procedere alle scadenze previste alla liquidazione IVA »; che, pertanto, con riferimento all’anno d’imposta 2017, « l’eccedenza derivante dalla liquidazione annuale può essere chiesta a rimborso solo se libera e disponibile, cioè non utilizzata a compensazione dalle società del gruppo »; in buona sostanza, « In sede di dichiarazione annuale, può essere richiesta a rimborso solo l’eccedenza di credito che non risulta dalle compensazioni eseguite alle scadenze previste dalle società controllate quali autonomi soggetti di imposta »; che « Nel caso di specie l’importo a credito che ha concorso alla determinazione del risultato della liquidazione annuale rappresenta un importo “compensato”, in quanto al momento della scadenza dell’obbligazione di versamento (periodica) alla quale erano tenute le società controllate, ha avuto il concreto effetto di sollevare la capogruppo per l’importo corrispondente, che altrimenti avrebbe dovuto inderogabilmente assolvere. Pertanto il credito annuale, formatosi per effetto di siffatte eccedenze di versamento, non potrà che trovare riconoscimento in compensazione/detrazione, od a rimborso, ma solo sotto il diverso, e residuale, presupposto del minor credito del triennio, una volta riportato a nuovo per tre annualità consecutive».
Avverso tale statuizione la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e illustrato con memoria, cui replica l’intimata con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la « Violazione e falsa applicazione degli artt. 30, comma 4, e 73 del d.P.R. 26 ottobre
1973, n. 633 e dell’art. 6 del D.M. 13 dicembre 1979, n. 11065 in relazione agli artt. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e 62 d.lgs. n. 546/1992».
1.1. La ricorrente, premesso che nella specie non si faceva questione sull’esistenza per l’anno d’imposta 2017 d i una eccedenza di credito IVA, sostiene che i giudici di appello, incorrendo in una evidente contraddizione, avevano errato nel ritenere, da un lato, che l’eccedenza a credito chiesta a rimborso costituiva un importo utilizzato in compensazione e, dall’altro, che la capogruppo non era legittimata a chiedere il credito maturato a rimborso, ma avrebbe dovuto riportarlo a nuovo nel successivo esercizio, non per l’ assenza dei presupposti per il riconoscimento del rimborso in capo alle consociate che avevano maturato detto credito, ma perché l’importo a credito era stato già oggetto di compensazione.
1.2. Muovendo dal presupposto che la società contribuente non aveva mai disconosciuto che le società facenti parti del perimetro di liquidazione dell’IVA di gruppo manteng ono una propria soggettività ai fini fiscali, la ricorrente sostiene che le affermazioni rassegnate dai giudici di appello erano errate in diritto nella parte in cui si sosteneva che « le disposizioni introdotte dall’art. 1, c. 24, della Legge 11 dicembre 2016, n. 232, che hanno inserito il Titolo V-bis nel corpus del d.P.R. n. 633/1972, av rebbero ‘cancellato’, a partire dal 2018, la c.d. ‘liquidazione IVA di Gruppo’, sostituendola con il ‘Gruppo IVA’, disciplinato dagli articoli da 70-bis a 70-duodecies, mentre, al contrario le due procedure sono tutt’ora esistenti e parallele » (ricorso, pag. 14) in quanto «la liquidazione IVA di gruppo è regolata dall’art. 73, comma 3, come da ultimo novellato dal D.M. 13 febbraio 2017, contenuto nel Titolo VI del d.P.R. n. 633/1972) e dal D.M. 13 dicembre 1979 , mentre la disciplina del Gruppo IVA trovasi nel Titolo V-bis ed è rappresentato dagli artt. da 70-bis a 70-duodecies; il quadro è completato dal D.M. 6 aprile 2018, con il quale sono state
dettate disposizioni di attuazione della disciplina». I giudici di appello avevano, quindi, travisato la portata delle disposizioni censurate, avendo, di fatto, disconosciuto «la valenza delle risultanze della dichiarazione annuale di gruppo presentata dalla controllante, assumendo che sia necessario avere riguardo alle liquidazioni periodiche riconducibili ai singoli soggetti d’imposta e ciò basandosi sull’equivoco per cui il mantenimento della soggettività delle consociate ai fini fiscali imponga di avere riguardo, per l’appunto, alle dichiarazioni periodiche, ai fini del computo dei crediti compensati » (ricorso, pag. 15).
1.3. Sostiene la ricorrente che « la questione oggetto di giudizio attiene alle modalità di calcolo funzionali al computo del credito/debito IVA (e segnatamente, nel caso di specie, alla quantificazione dell’importo rimborsabile alla capogruppo) risultante dalla dichiarazione annuale nell’ambito della procedura della cd. ‘IVA di gruppo’ e, in particolare, verte su come debba essere determinato l’importo relativo al credito IVA risultante dalla liquidazione di gruppo da considerarsi utilizzato in compensazione, in base alle indicazioni desumibili dalla normativa epigrafata »; che « Nella disciplina della ‘liquidazione IVA di gruppo’ tracciata dall’ultimo comma dell’art. 73 e dal D.M. 13 dicembre 1979, ciascuna società partecipante al ‘gruppo’ mantiene la propria individualità e responsabilità nei confronti del proprio Ufficio delle Entrate competente, mentre la società controllante assume, in buona sostanza, il mero compito ragionieristico di contabilizzare i rispettivi saldi attivi e passivi in un ammontare unic o a debito o a credito nella liquidazione dell’imposta »; che « L ‘art. 73 sopra citato demanda alla normativa secondaria il potere di determinare, le “modalità” delle dichiarazioni e dei versamenti (cfr. Civile Sez. U sentenza 2.2.2016, n. 1915) »; che « E’ solo la dichiarazione annuale a dare evidenza degli importi effettivamente utilizzati in compensazione; come desumibile dai
principi ricavabili dalle indicazioni della stessa prassi ministeriale »; che « La decisione è dunque fondata sull’equivoco che si debba tener conto delle singole liquidazioni periodiche e non delle risultanze della dichiarazione annuale di gruppo (che ne costituisce l’effettivo compendio), ma, tuttavia, pur non disconoscendo che detta dichiarazione annuale si sia chiusa con un’imposta a credito, il Giudice di appello conclude affermando che detto importo non possa essere chiesto a rimborso poiché ‘formatosi per effetto di siffatte eccedenze di versamento’ e assumendo che esso ‘non potrà che trovare riconoscimento in compensazione/detrazione, od a rimborso, ma solo sotto il diverso, e residuale, presupposto del minor credito del triennio, una volta riportato a nuovo per tre annualità consecutive ‘ ».
1.4. Secondo la ricorrente, « È dunque evidente che la decisione si pone in contrasto con le norme che governano la disciplina della liquidazione IVA di gruppo come interpretate dalla stessa Amministrazione finanziaria che, in due risalenti e mai smentiti pronunciamenti di prassi, ossia le risoluzioni del 9 dicembre 1987 n. 365025 e del 20 dicembre 1989 n. 626305, ha precisato che l’importo del credito consolidato che ha giocato nella compensazione, per definizione pari al debito che risulta estinto per effetto della compensazione (e per il quale deve essere prestata apposita garanzia, così R.M. 9 dicembre 1987, n. 365025) è ‘pari all’importo delle proprie eccedenze di credito (differenza tra crediti trasferiti e debiti trasferiti) che ha trovato effettiva compensazione con eccedenze di debito (differenza tra debiti trasferiti e crediti trasferiti) di altre società del gruppo, tutte determinate in sede di dichiarazione annuale, momento esclusivo questo in cui è possibile verificare gli effetti reali della comp ensazione di ciascuna società nell’ambito del gruppo di cui fa parte’ (in questi termini, R.M. 20 dicembre 1989, n. 626305) ».
1.5. Afferma ancora la ricorrente che la decisione impugnata si pone anche in contrasto con il granitico orientamento della giurisprudenza unionale (cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza 11 aprile 2013, causa C-138/12), in base al quale, « in materia di rimborsi IVA, il principio di neutralità, quale concretizzato dalla giurisprudenza relativa all’interpretazione dell’art. 203 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, deve essere interpretato nel senso che misure nazionali di natura conservativa che incidano sulla restituzione dell’eccedenza dell’IVA, se non sono a priori in contrasto con l’ordinamento dell’Unione, perché tendono ad assicurare un interesse ugualmente degno di tutela, e cioè quello dell’Erario in presenza di situazioni quali frodi fiscali o semplicemente crediti dello Stato, devono però rispondere al principio di proporzionalità, che si estrinseca nel fatto che, pur potendo gli Stati fare ricorso a tali misure, le stesse devono portare il minor pregiudizio possibile agli ob iettivi ed ai principi stabiliti dalla normativa dell’Unione. In particolare, tali misure non devono porre in discussione sistematicamente il diritto alla detrazione dell’IVA ed il suo esercizio, che è principio fondamentale del sistema comune di tale imposta istituito dalla normativa euro-unitaria (v. sentenza 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95, C-47/96) ».
2. Con il secondo motivo viene dedotta la «Nullità della sentenza per violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 36, comma 2, n. 4 d.lgs. n. 546/1992, in relazione agli artt. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. e 62 d.lgs. n. 546/1992», per « radicale assenza di motivazione sub specie motivazione apparente e illogicità manifesta ». « La CGT di II Grado, infatti, ha negato la spettanza del credito sull’assunto, del tutto illogico, secondo il quale il credito sarebbe effettivo, ma non fruibile a rimborso, e ciò non per l’esistenza di cause ostative alla rimborsabilità dello stesso (quali il mancato rispetto dei criteri ex art. 30 del d.P.R. n. 633/1972, il mancato riconoscimento delle
compensazioni operate in sede di liquidazione di gruppo per mancata prestazione della garanzia ecc.), ma poiché trattavasi di importo pretesamente ‘compensato ‘».
2.1. La motivazione della sentenza impugnata sarebbe « caratterizzata da irriducibile contraddittorietà » là dove i giudici di appello sostengono che « nel caso di specie, sulla base delle risultanze della dichiarazione annuale, risulta una eccedenza di versamenti IVA per gli importi indicati dalla società appellante, situazione che legittima il riporto di tale posta nella prima dichiarazione utile. Tale eccedenza, tuttavia, non può formare oggetto di richiesta di rimborso, ammissibile solo se la predetta eccedenza è libera e disponibile, cioè non già utilizzata in compensazione ».
2.2. Sostiene la ricorrente che « Tanto affermando, il Giudice di appello giunge a una conclusione del tutto contraddittoria, ossia che il credito sarebbe stato utilizzato in compensazione, ma sarebbe ancora nella disponibilità della capogruppo, che pur non potendolo chiedere a rimborso potrebbe liberamente utilizzarlo nella dichiarazione relativa al successivo esercizio ».
Tale ultimo motivo, che dev’essere esaminato prioritariamente per ragioni di ordine logico-giuridico, è infondato avendo la sentenza restituito una motivazione che è chiara ed intrinsecamente coerente avendo dato atto che l’importo del credito IVA esposto nella dichiarazione annuale di gruppo non poteva essere interamente compensato in quanto dalle dichiarazioni periodiche delle società facenti parte del gruppo risultava che queste ultime avevano proceduto in tali dichiarazioni a compensare i propri debiti con i crediti periodicamente maturati. In buona sostanza, l’eccedenza IVA chiesta a rimborso non era «libera e disponibile» in quanto già utilizzata in compensazione. I giudici di appello, richiamando il principio affermato da Cass. n. 23424 del 2020, secondo cui « nel regime previsto dall’art. 73, ultimo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 (cosiddetta liquidazione
IVA di gruppo), prima delle modifiche apportate decorrenti dal 2018 che hanno introdotto il cosiddetto “gruppo IVA”, le società controllate non perdono la loro soggettività a fini fiscali, e restano responsabili quali soggetti passivi d’imposta, a norma del penultimo comma del citato art. 73 », hanno affermato che « Alla luce dei predetti principi» pur risultando nel caso di specie, sulla base delle risultanze della dichiarazione annuale della società controllante, un’eccedenza di versamenti IVA, questa non poteva formare oggetto di richiesta di rimborso in quanto non era «libera e disponibile, cioè non già utilizzata in compensazione », come invece accertato nel caso di specie.
3.1. L’argomentazione non è quindi contraddittoria in quanto secondo i giudici di appello il dato contabile delle eccedenze risultante dalla dichiarazione annuale IVA della controllante non corrispondeva, ed era dunque influenzato, ai fini della richiesta di rimborso, dall’utilizzo in compensazione infragruppo di una gran parte dei crediti apportati dalle due partecipanti. In tale ottica, l’affermazione pure fatta dai giudici di appello, circa la possibilità di riportare la « restante eccedenza nel successivo esercizio », non è idonea a rendere contraddittoria la sentenza impugnata, trattandosi di affermazione niente affatto incidente sulla spettanza del rimborso, ma dettata a delinearne la cornice normativa: la statuizione, in realtà, si riferisce alla disposizione dell’art. 30, quarto comma, del d.P.R. n. 633/72, già richiamata dal giudice di primo grado, e non applicabile nel caso in esame, a norma della quale il contribuente può chiedere il rimborso dell’eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione annuale se dalle dichiarazioni dei due anni precedenti risultano eccedenze detraibili e nei limiti del minore degli importi di tali eccedenze.
4. Il secondo motivo è inammissibile ed infondato e va, pertanto, rigettato.
È inammissibile là dove censura l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di appello circa l’avvenuta compensazione infragruppo delle eccedenze di credito IVA maturate dalle singole società partecipate.
5.1. La sentenza impugnata ha accertato che « Nel caso di specie l’importo a credito che ha concorso alla determinazione del risultato della liquidazione annuale rappresenta un importo “compensato”, in quanto al momento della scadenza dell’obbligazione di versamento (periodica) alla quale erano tenute le società controllate, ha avuto il concreto effetto di sollevare la capogruppo per l’importo corrispondente, che altrimenti avrebbe dovuto inderogabilmente assolvere ».
5.2. Il giudizio di fatto circa l’utilizzazione in compensazione di gran parte dell’eccedenza di credito chiesta a rimborso, operato dai giudici di appello nella sentenza impugnata, è censurabile in sede di legittimità esclusivamente nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., che è violazione nella specie neppure dedotta e, comunque, preclusa dalla cd. doppia decisione di merito conforme, già prevista dall’art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ. e attualmente dall’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., oppure per motivazione assolutamente mancante o apparente, che nella specie si è però esclusa, come si è detto esaminando il secondo motivo di ricorso.
5.3. Peraltro, il ricorso, al fine di dimostrare la spettanza dell’importo chiesto a rimborso, propone una diversa ricostruzione delle modalità di determinazione del credito chiesto a rimborso così sconfinando in questioni puramente di fatto, contravvenendo in tal modo al consolidato principio giurisprudenziale secondo cui « È inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da
realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito » (Cass. n. 8758 del 2017).
5.4. A ciò aggiungasi che la ricorrente nemmeno deduce che la compensazione rilevata dai giudici di appello non vi sia stata; anzi, in memoria, assumendo che il credito rimborsabile andrebbe determinato « sulla base della somma algebrica progressiva dei crediti e dei debiti maturati nel corso dell’anno », ammette che siano stati effettuati « versamenti in sede delle singole liquidazioni periodiche presentate dalle consociate » (v. pag. 3).
In realtà, la ricorrente punta sulle modalità con cui andava determinata l’Iva di gruppo, e sotto tale profilo il motivo è anche infondato in quanto l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di appello è conforme a diritto, in particolare all’interpretazione offerta in più occasioni da qu esta Corte in materia di liquidazione dell’IVA di gruppo.
5.5. Si è affermato, infatti, che « In tema di liquidazione dell’IVA di gruppo, la compensazione è ammissibile soltanto per i crediti che siano confluiti nella dichiarazione presentata dalla controllante e che influiscano sull’imposta complessivamente dovuta sia dalla controllante, sia dalle controllate, le quali restano responsabili, quali soggetti passivi d’imposta, a norma dell’art. 73, comma 3, penultimo periodo, d.P.R. n. 633 del 1972; diversamente la compensazione non è ammissibile, per difetto del presupposto della reciprocità, con debiti e crediti che non confluiscano nella dichiarazione iva di gruppo, in quanto si tratta di poste delle quali va esclusa la cessione ed in relazione alle quali, per conseguenza, la controllante non ha alcuna legittimazione » (Cass. n. 23420/2020).
5.6. Molto chiaramente Cass. n. 10376/2022 ha affermato che:
-) il regime dell’iva di gruppo è mera procedura liquidatoria e di versamento del tributo, in virtù della quale la capogruppo compensa
le eccedenze di credito e i debiti iva delle società del gruppo e versa l’imposta a debito oppure computa la differenza a credito nel periodo successivo, salvo chiederne il rimborso (cfr., in tema, Cass., ord., 19 maggio 2017, n. 12642);
-) a seguito dell’opzione per tale regime le società del gruppo perdono la disponibilità dei saldi emergenti dalle proprie risultanze periodiche, che sono trasferiti alla capogruppo entro il termine di liquidazione dell’imposta e da questa annotati nei propri registri;
-) conseguentemente, la capogruppo può procedere alla compensazione orizzontale – ossia all’utilizzo del credito i.v.a. per compensare un’altra imposta – solo limitatamente al credito iva di gruppo, ossia al credito i.v.a. emergente dai prospetti riepilogativi annuali della dichiarazione di gruppo, con tributi diversi;
-) infatti, la compensazione è ammissibile soltanto per i crediti che siano confluiti nella dichiarazione presentata dalla controllante e che influiscano sull’imposta complessivamente dovuta sia dalla controllante, sia dalle controllate, le quali restano responsabili, quali soggetti passivi d’imposta, a norma dell’art. 73, terzo comma, penultimo periodo, d.P.R. n. 633 del 1972 (cfr. Cass., ord., 26 ottobre 2020, n. 23424);
-) nel novero delle eccedenze detraibili di cui alla predetta norma – sottratte, dunque, all’autonoma e individuale compensabilità da parte delle società del gruppo – rientrano non soltanto quelle maturate dalle società controllate, ma anche quelle della stessa controllante a prescindere dall’anno di maturazione dei crediti che le compongono, perdendo tutte le società del gruppo – compresa la controllante – la disponibilità dei saldi emergenti dalle proprie risultanze periodiche (così, Cass., ord., 11 novembre 2020, n. 25352).
Sono quindi i saldi, debitori e creditori, delle liquidazioni periodiche delle società del gruppo che confluiscono nella
dichiarazione annuale della controllante, che procede, quindi, alla liquidazione di gruppo, che, quindi, devono essere disponibili; disponibilità che, invece, il giudice d’appello ha appunto escluso con riguardo a quelli creditori, perché già compensati dalle controllate in sede di liquidazioni periodiche.
5.7. La descritta modalità di liquidazione dell’IVA di gruppo ha trovato ulteriore conferma in Cass. n. 12135/2022, in cui si è molto chiaramente riaffermato che la disciplina dell’Iva di gruppo trova la sua fonte normativa nella previsione di cui all’art. 73, d.P.R. n. 633/1972 e nella successiva normativa secondaria di attuazione e che il regime dell’Iva di gruppo è una mera procedura liquidatoria e di versamento del tributo, in virtù della quale la società capogruppo compensa le eccedenze di credito e i debiti Iva delle società aderenti (c.d. compensazione verticale) e versa l’imposta a debito oppure computa la differenza a credito nel periodo successivo, salvo chiederne il rimborso, ed è sempre la capogruppo che può procedere alla c.d. compensazione orizzontale, ma del solo credito Iva di gruppo, che è quello emergente dai prospetti riepilogativi annuali della dichiarazione di gruppo, con tributi diversi; in particolare, nell’ambito della liquidazione di gruppo, al ricorrere di determinati requisiti, i versamenti periodici (mensili o trimestrali), nonché il conguaglio di fine anno, debbono essere effettuati dalla società controllante, che determina l’imposta da versare o il credito del gruppo, calcolando la somma algebrica (non già quella ‘progressiva’, come si deduce in memoria) dei debiti e dei crediti risultanti dalle liquidazioni di tutte le società partecipanti e da queste trasferiti al gruppo a compensazione: posto che la compensazione postula la sussistenza di crediti e debiti reciproci tra i medesimi i soggetti, è logico che sia la controllante ad occuparsi del versamento cumulativo o della determinazione del credito del gruppo, previa compensazione delle posizioni debitorie e creditorie.
5.8. In buona sostanza, la natura meramente procedimentale del regime dell’Iva di gruppo comporta che le società controllate non perdono la loro soggettività ai fini fiscali, sicché la compensazione, la quale richiede il requisito della reciprocità, ai sensi dell’art. 1241, cod. civ., ossia, come si è visto, la sussistenza di crediti e debiti reciproci tra i medesimi soggetti, è ammissibile soltanto per i crediti che siano confluiti nella dichiarazione presentata dalla controllante e che influiscano sull’Iva, complessivamente dovuta sia dalla controllante, sia dalle controllate, le quali restano responsabili, quali soggetti passivi d’imposta, ai sensi dell’art. 73, comma 3, d.P.R. n. 633/1972.
5.9. Alla stregua di tali principi, cui la sentenza impugnata si è scrupolosamente attenuta, il motivo di ricorso in esame, come detto, si presenta anche infondato nel merito.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 23.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 26 febbraio 2025.