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Liberalità infragruppo: quando è un costo deducibile?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14925/2024, ha stabilito che un versamento a fondo perduto tra società dello stesso gruppo costituisce una liberalità infragruppo. Tale costo è deducibile solo entro i limiti previsti dall’art. 100 del Tuir, indipendentemente dall’interesse del gruppo a evitare il dissesto di una consociata.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Liberalità Infragruppo: Quando un Versamento a Fondo Perduto è un Costo Deducibile?

Nei complessi rapporti economici tra società appartenenti allo stesso gruppo, i trasferimenti di denaro sono all’ordine del giorno. Ma cosa succede quando una società eroga una somma a fondo perduto a un’altra consociata in difficoltà? Questo costo può essere dedotto dal reddito d’impresa? La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 14925 del 28 maggio 2024, ha fornito un chiarimento decisivo sulla natura fiscale di una liberalità infragruppo, stabilendo precisi confini per la sua deducibilità.

I Fatti del Caso

Una società, parte di un consolidato fiscale, effettuava un versamento di 1.000.000 di euro a un’altra società del medesimo gruppo, definendolo “premio decennale”. La società erogante considerava tale somma un costo d’esercizio e, di conseguenza, lo deduceva dal proprio reddito imponibile. L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, contestava tale operazione, riqualificando il versamento come una mera liberalità, non giustificata da accordi commerciali preesistenti all’interno del gruppo, e quindi non deducibile.

Il caso approdava dinanzi alle commissioni tributarie. Mentre in primo grado i giudici davano ragione alla società, qualificando l’atto come “gratuito non liberale” e quindi deducibile, la Commissione Tributaria Regionale ribaltava la decisione, accogliendo la tesi dell’Amministrazione finanziaria. Le società decidevano quindi di ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso delle società, confermando la non deducibilità del costo. Il punto centrale della decisione è stata la corretta qualificazione fiscale del versamento. I giudici hanno chiarito che un’attribuzione patrimoniale gratuita, effettuata spontaneamente e senza obbligo di restituzione tra due società dello stesso gruppo, assume la natura di una liberalità ai fini fiscali.

Le Motivazioni: La Distinzione Fiscale tra Atto Gratuito e Liberalità Infragruppo

La Corte ha smontato la tesi difensiva delle ricorrenti, incentrata sulla presunta necessità del versamento per salvare la consociata da una crisi finanziaria, sostenendo un “interesse del gruppo”. Secondo i giudici, i motivi soggettivi che spingono a effettuare una donazione – anche se validi, come il voler preservare l’immagine e la stabilità del gruppo – non modificano la natura fiscale dell’atto. In ambito tributario, ciò che conta è l’assenza di un obbligo di restituzione. Se il denaro viene dato senza che ne sia prevista la restituzione, si tratta di una liberalità.

La Cassazione ha inoltre precisato che la distinzione civilistica tra “atti a titolo gratuito non liberali” e “liberalità” non trova un’autonoma disciplina in ambito tributario. Un’attribuzione patrimoniale gratuita è, fiscalmente, una liberalità. Di conseguenza, la sua deducibilità non può essere valutata secondo il principio generale dell’inerenza dei costi, ma deve sottostare ai limiti specifici e restrittivi previsti dall’articolo 100 del Tuir (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), che disciplina appunto le erogazioni liberali. Nel caso di specie, tali limiti non erano stati rispettati.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Gruppi Societari

La pronuncia stabilisce un principio di diritto molto chiaro: “L’attribuzione patrimoniale gratuita senza obbligo di restituzione, effettuata spontaneamente tra due società appartenenti allo stesso gruppo, ai fini fiscali assume la natura di liberalità, non rilevando la distinzione civilistica tra atti a titolo gratuito non liberale e liberalità, e l’onere sopportato dalla donante risulta deducibile soltanto se risultano rispettati i limiti di cui all’art. 100 del Dpr n. 917 del 1986 (Tuir)“.

Per le aziende, questa decisione rappresenta un monito importante. I trasferimenti di risorse a fondo perduto tra consociate, anche se motivati da solide ragioni di business e di stabilità del gruppo, non sono automaticamente deducibili come costi operativi. Per poter essere fiscalmente riconosciuti, devono rientrare nelle specifiche casistiche previste per le erogazioni liberali. In assenza di tali presupposti, il costo rimane interamente a carico della società erogante, senza possibilità di abbattere il proprio imponibile fiscale.

Un versamento a fondo perduto a una società dello stesso gruppo è un costo deducibile?
No, un versamento a fondo perduto effettuato spontaneamente tra società dello stesso gruppo è qualificato come una liberalità. La sua deducibilità è ammessa solo nei limiti e alle condizioni restrittive previste dall’art. 100 del Tuir, non come un costo d’impresa generico.

L’interesse del gruppo a salvare una consociata dal fallimento giustifica la deducibilità del versamento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, i motivi soggettivi, come l’interesse a evitare il dissesto di una consociata, non sono sufficienti a cambiare la natura fiscale dell’atto. Se il versamento è gratuito e senza obbligo di restituzione, resta una liberalità ai fini fiscali, la cui deducibilità è soggetta a regole specifiche.

Qual è la differenza, ai fini fiscali, tra un atto a titolo gratuito non liberale e una liberalità?
Secondo la sentenza, in ambito fiscale questa distinzione non è rilevante. Qualsiasi attribuzione patrimoniale effettuata senza corrispettivo e senza obbligo di restituzione viene considerata una liberalità, e la sua deducibilità è disciplinata in modo specifico e limitato dalla normativa fiscale (art. 100 Tuir).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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