Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14925 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14925 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
Oggetto: Ires 2014 – Gruppo di società – ‘Premio straordinario’ Natura -Distinzione tra atti a titolo gratuito non liberali e liberalità -Attribuzione patrimoniale senza previsione della restituzione -Limiti di deducibilità -* Principio di diritto.
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , e RAGIONE_SOCIALE , in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentate e difese, giusta procure speciali allegate al ricorso, dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, che hanno indicato recapito PEC, non avendo le società eletto domicilio fisico;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’RAGIONE_SOCIALE, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 307, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto il 12.1.2021, e pubblicata il 17.02.2021; ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; la Corte osserva:
Fatti di causa
L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE notificava alla RAGIONE_SOCIALE (consolidante), ed alla RAGIONE_SOCIALE (consolidata), l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, avente ad oggetto la rettifica della dichiarazione Ires per l’anno 2014, disconoscendo la deducibilità di un versamento di € 1.000.000,00, qualificato dalle società come ‘premio decennale’, effettuato dalla RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE, altra società del gruppo, ritenendo l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE trattarsi di una mera liberalità, non essendo previsto dagli accordi commerciali del gruppo la corresponsione di un simile ‘premio’.
Le contribuenti impugnavano l’avviso di accertamento, con separati ricorsi, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, proponendo plurime censure. La CTP riuniva i ricorsi e, ritenuto il versamento ‘un atto gratuito non liberale’, che pertanto non incorreva nei limiti di deducibilità RAGIONE_SOCIALE liberalità di cui all’art. 100 del Tuir, risolvendosi perciò in un costo deducibile, accoglieva i ricorsi ed annullava l’atto impositivo.
Avverso la pronuncia sfavorevole conseguita nel primo grado del giudizio spiegava appello l’RAGIONE_SOCIALE. La CTR riteneva invece fondate le difese proposte dall’Amministrazione finanziaria, pertanto riformava la decisione della CTP e riaffermava la piena validità ed efficacia dell’atto impositivo.
Le società hanno proposto ricorso per cassazione, avverso la pronuncia assunta dalla CTR, affidandosi a due motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Le ricorrenti hanno anche depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., le contribuenti contestano la violazione degli artt. 75, 100 e 163 del Dpr n. 917 del 1986 (Tuir),
in considerazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., per avere il giudice del gravame ‘escluso che il versamento a fondo perduto infragruppo tra società ‘consorelle’ fosse costo deducibile per il soggetto erogatore’ (ric., p. 2) mentre, poiché la CTR qualifica il versamento come un finanziamento, lo stesso è imponibile in capo al beneficiario, ed è deducibile in capo al finanziatore, altrimenti rimane violato il divieto di doppia imposizione (ric., p. 18).
Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., le ricorrenti censurano la violazione degli artt. 118, 122, 127, 72 e 81 del Dpr n. 917 del 1986 (Tuir), nonché dell’art. 40 bis , comma 2, del Dpr n. 600 del 1973, perché la CTR ha erroneamente ritenuto che avendo qualificato il versamento come un ‘finanziamento’ ne consegua la indeducibilità, mentre la qualificazione, se intesa come importante un ‘obbligo di restituzione, determina anche l’irrilevanza reddituale della somma in capo alla consolidata percipiente (RAGIONE_SOCIALE) che, invece, l’aveva tassato. In ragione di tale qualificazione, ne deriva l’assenza di un reddito complessivo di gruppo in capo alla medesima consolidante, che comporta la illegittimità del recupero’ (ric., p. 3).
Sembra opportuno evidenziare che in realtà, mediante ciascuno dei loro mezzi d’impugnazione, le società ricorrenti propongono plurime censure.
Tanto premesso, mediante il primo motivo di ricorso le contribuenti lamentano la violazione di legge in cui ritengono essere incorso il giudice del gravame avendo escluso la deducibilità dell’erogazione a fondo perduto infra -gruppo effettuata dalla RAGIONE_SOCIALE, qualificando peraltro detto versamento come un finanziamento, con la conseguenza che deve ritenersi lo stesso imponibile per il beneficiario, mentre simmetricamente rappresenta un costo deducibile per il finanziatore, anche perché occorre
rispettare il principio costituzionale di capacità contributiva, ed evitare di incorrere nel divieto di doppia imposizione. Del resto, aggiungono le ricorrenti nella loro memoria, occorre applicare il principio della c.d. simmetria fiscale, ‘per cui a fronte della deduzione, deve esserci la tassazione e a fronte della tassazione (in capo all’ accipiens ) deve esserci la deduzione (in capo al disponente)’ (mem., p. 6), come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale con pronuncia n. 264 del 2017.
3.1. L’Amministrazione finanziaria ha replicato sostenendo l’inammissibilità del primo mezzo di impugnazione proposto dalle ricorrenti, rilevando come ‘nel ricorso di primo grado la ricorrente non avesse lamentato alcuna violazione del principio di doppia imposizione’ (controric., p. 10). La contestazione risulta fondata, ma non può trascurarsi che le ricorrenti non si limitano a criticare, nel loro primo motivo di ricorso, solo la violazione del principio di doppia imposizione.
3.2. In realtà le società ben individuano che la questione centrale del giudizio consiste nell’esatta qualificazione, ai fini fiscali, del versamento, in realtà una rinunzia a crediti, di 1.000.000,00 di Euro effettuato dalla RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE. Nella prospettazione dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non essendovi alcun previo patto sociale e neppure una prassi di gruppo che prevedesse simili attribuzioni, tale versamento non può che qualificarsi come una liberalità e pertanto, non rientrando nell’ambito RAGIONE_SOCIALE liberalità ammesse a deduzione dall’art. 100 del Tuir, deve negarsene la deducibilità.
Le società affermano che la rinunzia è stata operata, all’interno di un gruppo, per porre fine alla situazione ormai parafallimentare della RAGIONE_SOCIALE, sussistendo in tal senso un evidente interesse, anche d’immagine, da parte del gruppo e pure della RAGIONE_SOCIALE che ne faceva parte, ad evitarne il dissesto, ragion per cui il costo deve anche qualificarsi come inerente.
3.3. La CTR riassume la qualificazione dell’atto operata dall’Amministrazione finanziaria, non mancando di ricordare come incidentalmente l’Ente impositore avesse ritenuto il costo anche non inerente, nella misura in cui la stessa RAGIONE_SOCIALE lo aveva giustificato come un’attribuzione patrimoniale volta a risolvere la difficile situazione finanziaria di altra società del gruppo, pertanto non finalizzata alla produzione. La CTR ha quindi ritenuto che, sebbene vi fosse un interesse strumentale della RAGIONE_SOCIALE nell’effettuare il versamento al fine di evitare il crollo finanziario della RAGIONE_SOCIALE, ‘ciò non giustifica la sua collocazione tra i ‘costi’ (con conseguente abbattimento dell’imponibile della RAGIONE_SOCIALE) in mancanza di idonea prova, quale un contratto o comunque di un accordo che lo prevedesse, contrariamente a quanto posto in essere dalla politica aziendale del gruppo che normalmente collegava l’erogazione dei premi a specifici sconti sul venduto. Il premio in realtà costituiva un finanziamento e come tale doveva essere trattato dal punto di vista fiscale’. Inoltre il giudice del gravame ha negato che abbia un rilievo, ai fini fiscali, la distinzione operata dal giudice di primo grado tra atti a titolo gratuito non liberali e liberalità, che ‘in tale ambito non trova alcun riscontro. Correttamente quindi l’Ufficio ha rilevato che per l’operazione contestata non poteva trovare applicazione l’art. 100 Tuir’ (sent. CTR, p. 2 s.).
3.4. La valutazione espressa dal giudice dell’appello appare condivisibile, in quanto la CTR non esclude che a priori un versamento a titolo gratuito intervenuto tra due società infragruppo possa risolversi in un onere deducibile per la società erogante, ma nega che sia stata fornita la prova della ricorrenza dei presupposti di legge nel caso di specie, ‘in mancanza di un contratto o comunque di un accordo che lo prevedesse, contrariamente a quanto posto in essere dalla politica aziendale del gruppo che normalmente collegava l’erogazione dei premi a specifici sconti sul
venduto’, non apparendo a tal fine sufficiente il riferimento operato dalle società alla sussistenza di un generico interesse del gruppo societario, neppure specificamente finalizzato alla produzione.
Occorre peraltro rettificare alcune espressioni utilizzate dal giudice dell’appello. Come evidenziato dal riferimento conclusivo operato dalla CTR ai limiti di deducibilità RAGIONE_SOCIALE liberalità di cui all’art. 100 del Tuir, appare evidente che il giudice dell’appello ha inteso attribuire al versamento per cui è causa la natura di atto liberale, e di tanto si trova conferma nella condivisibile valutazione secondo cui la distinzione civilistica tra atti gratuiti non liberali e liberalità non riceve un proprio riconoscimento ed una propria disciplina in ambito tributario.
La CTR definisce però le somme attribuite dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE come un ‘finanziamento’, e tanto può ingenerare equivoci, perché con il termine finanziamento si intende normalmente un prestito, pertanto un versamento di somma con impegno alla restituzione. Nel caso di specie l’attribuzione patrimoniale, pacificamente, è avvenuta a titolo definitivo, senza prevedersi alcun obbligo di rimborso. Sembra pertanto corretto qualificare l’atto come una attribuzione patrimoniale a fondo perduto, pertanto una liberalità.
3.4.1. Evidenziato che in concreto la RAGIONE_SOCIALE ha rinunciato a precedenti crediti maturati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, può allora ricordarsi come questa Corte abbia già avuto modo di statuire che ‘la donazione indiretta è caratterizzata dal fine perseguito di realizzare una liberalità – e non già dal mezzo giuridico impiegato, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall’ordinamento – e consiste in atti o negozi la cui combinazione produce l’effetto di un’attribuzione patrimoniale gratuita, come nel caso del pagamento di un debito altrui con rinuncia all’azione di regresso, a nulla rilevando l’esistenza di un interesse del solvens all’adempimento’, Cass. sez. II, 18.9.2019, n. 23260.
In definitiva i motivi soggettivi che inducono ad effettuare una donazione – peraltro sempre sussistenti, chi dona lo fa perché intende soddisfare anche un proprio interesse – non importano che, in ambito tributario, un’attribuzione patrimoniale gratuita senza obbligo di restituzione non costituisca comunque una liberalità, e sia perciò deducibile (solo) nei limiti in cui la deduzione è ammessa ai sensi dell’art. 100 Tuir. Nel caso di specie è pacifico che tali limiti non risultano rispettati, ed il costo sostenuto dalla NOME è stato correttamente ritenuto dalla CTR non deducibile.
Nei limiti in cui risulta ammissibile, pertanto, il primo motivo di ricorso è comunque infondato, e deve perciò essere respinto.
Mediante il secondo strumento di impugnazione le ricorrenti censurano la violazione di legge in cui reputano essere incorso il giudice dell’appello per aver erroneamente ritenuto che, avendo qualificato il versamento come un ‘finanziamento’, ne debba conseguire la indeducibilità, mentre la qualificazione, se intesa come importante un ‘obbligo di restituzione, determina anche l’irrilevanza reddituale della somma in capo alla consolidata percipiente (RAGIONE_SOCIALE che, invece, l’aveva tassato. In ragione di tale qualificazione, ne deriva l’assenza di un reddito complessivo di gruppo in capo alla medesima consolidante, che comporta la illegittimità del recupero’ (ric., p. 3).
4.1. L’Amministrazione finanziaria ha contestato l’inammissibilità pure del secondo motivo di ricorso, perché invocherebbe l’invalidità dell’atto impositivo anche per la violazione degli artt. 40 bis e 122 ss. del Tuir, questione mai proposta nei gradi di merito del giudizio. Anche in questo caso il rilievo appare corretto, ed anche in questo caso la critica introdotta dalle ricorrenti è più ampia.
4.2. Le società, invocando la disciplina propria del gruppo societario, sostengono che se il versamento, qualificato dalla CTR come un finanziamento, avrebbe dovuto essere restituito,
nell’ambito del gruppo non si sarebbe registrato alcun reddito integrativo, ed il recupero a tassazione risulterebbe illegittimo.
Invero, a parte le considerazioni dell’Amministrazione finanziaria sull’applicabilità della normale disciplina tributaria anche alle operazioni concluse tra società appartenenti allo stesso gruppo, salvo eccezioni, occorre osservare che il presupposto da cui muovono le ricorrenti, l’avere la CTR ritenuto che il versamento dovesse qualificarsi come un finanziamento da restituire, risulta infondato.
Si è già evidenziato che il giudice dell’appello utilizza un terminefinanziamento -inadatto, perché suscettibile di ingenerare ambiguità, ma dalla lettura della decisione impugnata emerge evidente che il giudice dell’appello ha condivisibilmente inteso qualificare il versamento come una liberalità, un’attribuzione patrimoniale a fondo perduto, e non un prestito da restituire.
4.3. Chiarezza induce a ritenere opportuno indicare, in proposito, il principio di diritto secondo cui: ‘L’attribuzione patrimoniale gratuita senza obbligo di restituzione, effettuata spontaneamente tra due società appartenenti allo stesso gruppo, ai fini fiscali assume la natura di liberalità, non rilevando la distinzione civilistica tra atti a titolo gratuito non liberale e liberalità, e l’onere sopportato dalla donante risulta deducibile soltanto se risultano rispettati i limiti di cui all’art. 100 del Dpr n. 917 del 1986 (Tuir)’.
Anche il secondo motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve essere rigettato.
In definitiva il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite dei gradi di merito del processo possono essere compensate tra le parti, mentre le spese processuali del giudizio di legittimità seguono l’ordinario criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura RAGIONE_SOCIALE questioni affrontate e del valore della controversia.
5.1. Deve anche darsi atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrenti, del c.d. doppio contributo.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M .
rigetta il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , in persona dei legali rappresentanti pro tempore .
Compensa tra le parti le spese di lite dei gradi di merito del processo, e condanna le ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite del giudizio di cassazione in favore della costituita controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7.3.2024.