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Lettere d’intento false: diligenza del cedente

La Corte di Cassazione ha stabilito che un fornitore non può beneficiare del regime di sospensione IVA se, utilizzando la normale diligenza, avrebbe dovuto sospettare che le lettere d’intento ricevute fossero false. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva annullato un avviso di accertamento, ritenendo che il giudice non avesse adeguatamente valutato gli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione Finanziaria, i quali suggerivano la natura fraudolenta delle società acquirenti. Viene quindi ribadito l’onere di diligenza in capo al cedente per non essere coinvolto in frodi fiscali.

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Pubblicato il 3 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Lettere d’intento false: la Cassazione e la diligenza del fornitore

L’utilizzo di lettere d’intento false rappresenta una delle più insidiose frodi in materia di IVA. Un’impresa che riceve una dichiarazione d’intento da un cliente, qualificato come esportatore abituale, è autorizzata a emettere fattura senza addebito dell’imposta. Ma cosa succede se il cliente non ha i requisiti e la dichiarazione è ideologicamente falsa? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini della responsabilità del fornitore, sottolineando l’importanza di un’adeguata diligenza per non essere considerati complici, anche inconsapevoli, della frode.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una società, successivamente dichiarata fallita, operante nel commercio di bevande, che si è vista recapitare tre avvisi di accertamento per gli anni dal 2011 al 2013. L’Amministrazione Finanziaria contestava l’utilizzo di lettere d’intento false rilasciate da alcune società clienti, le quali si erano indebitamente qualificate come esportatori abituali. Di conseguenza, l’Ufficio recuperava l’IVA non versata sulle vendite effettuate in regime di sospensione d’imposta, ritenendo che la società fornitrice fosse consapevole, o avrebbe dovuto esserlo, della frode.

I giudici di primo e secondo grado avevano parzialmente accolto le ragioni del contribuente, annullando parte dei recuperi fiscali. In particolare, la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto che l’Amministrazione Finanziaria non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare la conoscibilità della frode da parte del fornitore per tutte le operazioni contestate. Secondo i giudici di merito, il venditore aveva effettuato i controlli formali sulla genuinità delle dichiarazioni e non si poteva presumere una sua partecipazione all’illecito. Contro questa decisione, l’Amministrazione Finanziaria ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle lettere d’intento false

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Commissione Tributaria Regionale per un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede nella critica mossa ai giudici di merito per non aver compiutamente e correttamente valutato il quadro indiziario complessivo presentato dall’Ufficio.

La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale, conforme alla giurisprudenza nazionale ed europea: al fornitore non è consentito l’esercizio fraudolento del diritto di avvalersi del regime di sospensione d’imposta se dispone di elementi tali da sospettare l’esistenza di irregolarità. Su di lui grava un onere di diligenza, che impone l’adozione di tutte le ragionevoli misure per assicurarsi che l’operazione non faccia parte di una frode.

Le Motivazioni

La Corte ha evidenziato come la sentenza di secondo grado si sia limitata ad affermare in modo apodittico che la prova della conoscibilità della falsità non era stata raggiunta, senza però analizzare nel dettaglio i numerosi elementi indiziari forniti dall’Amministrazione Finanziaria. Questi elementi, se valutati nel loro insieme, avrebbero potuto condurre a una conclusione diversa. Tra gli indizi trascurati figuravano:

* La natura di “cartiere” delle società clienti, prive di una reale struttura commerciale e organizzativa.
* La divergenza tra il luogo di scarico dichiarato e quello effettivo della merce.
* La mancanza di strutture idonee allo stoccaggio presso le sedi delle acquirenti.
* La mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali e il mancato versamento delle imposte da parte delle cessionarie.
* L’assenza di abilitazione alle operazioni intracomunitarie e l’irreperibilità nella banca dati VIES.
* Collegamenti personali e commerciali tra le società acquirenti e altri soggetti già noti per essere coinvolti in circuiti fraudolenti.

Secondo la Corte, il giudice di merito ha errato nel non considerare che l’insieme di questi elementi avrebbe dovuto indurre un operatore professionale e avveduto a sospettare dell’irregolarità della documentazione ricevuta. La valutazione non doveva essere frammentaria, ma globale, per ricostruire la logica presuntiva dell’accertamento. In sostanza, il giudice d’appello ha omesso di spiegare perché questo coacervo di indizi non fosse sufficiente a dimostrare che il fornitore avrebbe dovuto accorgersi della frode.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un importante monito per tutte le imprese che operano con esportatori abituali. La sola verifica formale della lettera d’intento sul sito dell’Agenzia delle Entrate non è sufficiente a mettersi al riparo da contestazioni. È necessario un approccio sostanziale e diligente, che tenga conto di eventuali segnali di anomalia nel comportamento della controparte commerciale. L’esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti che suggeriscano una possibile frode impone al fornitore di adottare cautele supplementari, pena il rischio di vedersi contestata la corresponsabilità nell’evasione dell’IVA e il conseguente recupero dell’imposta non addebitata.

Chi è il responsabile principale in caso di dichiarazione d’intento rilasciata senza i presupposti di legge?
La responsabilità per l’omesso pagamento del tributo ricade primariamente sui soggetti (cessionari, committenti, importatori) che hanno rilasciato la dichiarazione d’intento falsa.

Il fornitore può essere ritenuto responsabile se riceve lettere d’intento false?
Sì, il fornitore (cedente) può essere ritenuto responsabile e perdere il beneficio della non imponibilità IVA se, sulla base di elementi presuntivi, disponeva di informazioni tali da fargli sospettare l’esistenza di irregolarità e non ha adottato le ragionevoli misure di diligenza per accertarsi della regolarità dell’operazione.

Quali elementi possono far sorgere il sospetto di una frode nel fornitore?
Elementi come la mancanza di una struttura aziendale adeguata da parte del cliente, la cessione di prodotti sottocosto, pagamenti anticipati anomali, discrepanze logistiche o lo stretto collegamento del cliente con altre società coinvolte in frodi, costituiscono indizi che, valutati complessivamente, possono fondare la prova della conoscibilità della frode da parte del fornitore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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